A causa del controllo del regime di Assad sulle aree colpite, la risposta internazionale al terremoto in Turchia e Siria ha trascurato in modo sproporzionato la sofferenza siriana e il bisogno di aiuto della popolazione. Questo sfida i principi dell’umanitarismo, sostiene Emad Moussa.
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Emad Moussa – 8 febbraio 2023
Immagine di copertina: Edificio crollato a seguito del terremoto del 7 febbraio 2023 ad Afrin, Cinderes, Siria. [GETTY]
Con una magnitudo 7,8 il terremoto Turchia-Siria ha fatto crollare edifici a più piani come un mazzo di carte, mentre le strade si sono aperte come se fossero fatte di burro.
I corpi delle vittime emerse da sotto le strutture crollate hanno dipinto un quadro orribile dei loro ultimi momenti, mentre cercavano di salvare se stessi e le loro famiglie. I dispersi sono ancora centinaia. E poiché la polvere deve ancora depositarsi, il disastro è potenzialmente sulla buona strada per diventare uno dei più devastanti degli ultimi decenni.
L’ultima volta che la Turchia ha subito un terremoto di dimensioni gravi è stato nel 1999. Colpì la provincia di Kocaeli con una magnitudo di 7,4, provocando la morte di oltre 17.000 persone.
”Le complessità dei soccorsi nel nord della Siria sono arrivate a mettere alla prova anche i limiti dell’empatia umana. E’ stato dimostrato che alcuni disastri meritano più di altri un intervento umanitario e una copertura mediatica. Non in virtù della loro gravità o severità, ma dal presunto valore etnico, politico o sociale degli esseri umani che li vivono.”
L’ultimo terremoto devastante della Siria, noto come terremoto di Aleppo, ebbe luogo nel 1138. Attualmente è considerato il terzo terremoto più mortale nella storia documentata – dopo i terremoti cinesi dello Shaanxi del 1556 e del Tangshan del 1976 – e si ritiene che abbia ucciso circa 230.000 persone.
Ma la Siria di oggi è geopoliticamente più complicata. La situazione nella Siria nordoccidentale in particolare, dove vi sono alcune delle regioni più colpite e che è casa di milioni di persone già sfollate a causa della guerra civile. Ora stanno affrontando sia le tragiche conseguenze del terremoto, sia la continua repressione del regime di Assad.
Degli 11.000 morti finora conteggiati (numero destinato inevitabilmente a salire), circa 2.500 sono stati segnalati in Siria.
Si può solo immaginare come i soccorritori siriani nelle regioni controllate dall’opposizione abbiano riutilizzato le competenze acquisite salvando i civili dagli attacchi aerei di Assad, per estrarre le persone da sotto gli edifici colpiti dal terremoto.
Quasi un terzo delle case ad Aleppo e Idlib, secondo un rapporto del 2017 della Banca Mondiale, era già stato danneggiato o distrutto dal conflitto. Ora la distruzione è molto più estesa, aggiungendosi ai 120 miliardi di dollari di danni alle infrastrutture dal 2011.
Da allora le perdite per il PIL siriano sono state stimate in 268 miliardi di dollari. Il tasso di inflazione del 150% e un aumento multiplo dei prezzi, la siccità e la distruzione delle infrastrutture idriche, in particolare negli ultimi due anni, hanno spinto quasi il 90% dei siriani al di sotto della soglia di povertà e hanno distrutto la sicurezza alimentare e i mezzi di sussistenza. Ciò non solo rende le persone estremamente vulnerabili alle intemperie, ma limita anche l’efficacia di qualsiasi intervento di soccorso.
Mentre la crisi umanitaria ha colpito tutta la Siria, la situazione nel nord è stata particolarmente grave, resa ancora più disperata dal terremoto, che ha coinciso anche con le gelide temperature invernali.
Coloro che sono sfuggiti alla distruzione diffusa si trovano nell’impossibilità di accedere alle cure mediche a causa di servizi sanitari già esauriti e impoveriti. Secondo quanto riferito, gli ospedali della zona hanno ricevuto nuovi pazienti ogni ora, per lo più bambini. Le persone riempiono i corridoi e vengono curate sul pavimento. Ciò è aggravato da un’enorme mancanza di personale e attrezzature.
Politicizzare la tragedia
Ci si aspetterebbe che un’emergenza umanitaria di tale portata renda irrilevante – o almeno allevii – eventuali rivalità o ostacoli politici. Ma, mentre gli eventi continuano a svolgersi, non sembra essere così. Purtroppo, ancora una volta ci troviamo di fronte alla cupa politicizzazione dell’umanitarismo che continua a minare l’accesso delle persone ai diritti umani fondamentali.
Le sanzioni occidentali alla Siria sono state citate come uno degli ostacoli che bloccano un’adeguata e supplementare fornitura di aiuti che fornirebbe un sollievo immediato a coloro che ne hanno bisogno nelle regioni colpite dal terremoto.
Pur impegnandosi a fornire aiuti umanitari ai siriani attraverso “partner non governativi”, peraltro senza nominarli, Washington – per una questione di politica – ha escluso qualsiasi contatto diretto con il governo di Assad.
La Mezzaluna Rossa siriana,che ha inviato 3.000 volontari nelle aree colpite, ha esortato insieme ad altri i governi occidentali a revocare le sanzioni. Questo appello è finora caduto nel vuoto.
A complicare ulteriormente la situazione è stata la chiusura del valico di Bab al-Hawa tra la Siria e la Turchia a causa dei danni causati dal terremoto alle strade circostanti. L’attraversamento è l’unico percorso approvato dalle Nazioni Unite per gli aiuti negli ultimi nove anni.
Ma la debacle non è unidirezionale.
Invece di fare un passo indietro per facilitare il flusso di aiuti, e nonostante abbia accolto con favore qualsiasi tipo di assistenza, Damasco ha affermato che qualsiasi intervento di soccorso dovrà passare attraverso il governo siriano.
Significa che, nonostante l’emergenza senza precedenti, il regime di Assad rimane restio a consentire aiuti nella regione controllata dall’opposizione. Teme che gli aiuti minino la sovranità siriana e limitino le possibilità del governo di riprendere il controllo della regione.
Empatia selettiva
Certamente, alcune delle vie di soccorso approvate sono state seriamente danneggiate e anche le infrastrutture di alcune delle agenzie umanitarie, come Syria Relief, situata vicino a Gaziantep, l’epicentro del terremoto, sono state distrutte. Tuttavia, oltre a tutto ciò, le complessità dei soccorsi nel nord della Siria hanno messo alla prova i limiti dell’empatia umana.
E’ stato dimostrato che, in effetti, alcuni disastri meritano più di altri un intervento umanitario e una copertura mediatica. Non in virtù della loro gravità o severità, ma del presunto valore etnico, politico o sociale degli esseri umani che le sperimentano.
Quasi immediatamente dopo il terremoto, diversi paesi occidentali si sono mobilitati per inviare aiuti e squadre di soccorso in Turchia, ma hanno offerto poco o niente alla Siria. Molti hanno limitato il loro intervento alle condoglianze o semplicemente hanno espresso disponibilità ad aiutare i siriani colpiti dal disastro.
Il capo degli affari esteri dell’UE e il commissario per la gestione delle crisi dell’UE hanno affermato in una dichiarazione congiunta che l’UE ha inviato in Turchia diverse squadre di ricerca e soccorso, comprendenti 1.155 soccorritori e 72 cani da ricerca, dopo che Ankara ha chiesto aiuto. In fondo alla dichiarazione, hanno affermato che l’Europa è pronta a sostenere anche le persone colpite in Siria, ignorando il fatto che i siriani hanno effettivamente chiesto alla comunità internazionale un intervento umanitario.
Il capo della NATO, Jens Stoltenberg, ha espresso “piena solidarietà” alla Turchia, affermando che “gli alleati della NATO stanno mobilitando il sostegno [alla Turchia] ora”. Non una parola sulla Siria.
Il ministro degli Esteri britannico, James Cleverly, ha affermato che 76 specialisti di ricerca e soccorso, attrezzature, cani da salvataggio e una squadra medica di emergenza sarebbero stati inviati in Turchia. Il riferimento alla Siria è stato solo in termini di mantenimento dei contatti da parte del governo con l’organizzazione di soccorso dei Caschi Bianchi, finanziata dal Regno Unito, che opera nel nord della Siria.
Allo stesso modo, Germania, Polonia, Grecia e Giappone hanno parlato esclusivamente della Turchia. Il Canada ha rilasciato una dichiarazione ambigua in cui esprime sostegno alle vittime senza specificare il paese.
La questione dell’empatia selettiva – l’atto di entrare in empatia con un certo gruppo più che con altri – è comune nelle relazioni internazionali. È guidato da vari fattori: valori condivisi, affiliazioni politiche/etniche simili e/o interessi reciproci, tra le altre cose. Quando questi fattori vengono utilizzati per valutare le relazioni tra Turchia occidentale e Siria occidentale, la prima ha il sopravvento. Crea una gerarchia di supporto, assistenza e attenzione da parte dei media.
Per questo, oltre all’empatia, l’intervento umanitario dovrebbe basarsi anche sull’elemento della giustizia e su standard di diritti umani rigorosamente definiti. Questo non vuol dire che questa sia una formula magica priva di pregiudizi personali e politici, ma almeno contribuirebbe a sviluppare un dinamismo in cui l’umanitarismo possa essere dispiegato in modo più efficace.
Il dottor Emad Moussa è un ricercatore e scrittore specializzato in politica e psicologia politica di Palestina/Israele.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org