Usa e Israele: l’unica democrazia del Medio Oriente, uno Stato di Apartheid (Parte 4)

Il più grande errore dell’Occidente è quello di aver sempre voluto convivere con gli “arabi addomesticati” nella più grande tradizione coloniale. E il mondo arabo non è destinato a servire da sfogo per la patologia bellicista occidentale; né è il luogo di delocalizzazione dell’esternalizzazione del ricorrente antisemitismo della società occidentale.

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Di Renè Naba – 26 gennaio 2023

La carneficina

Prima nell’ordine delle vittime, la dinastia Hashemita, nelle sue due varianti ramo giordano e ramo iracheno, pagherà il prezzo più alto cercando un accordo separato con gli israeliani a spese dei palestinesi. Il Re Abdallah I° di Giordania, assassinato all’interno della Moschea di Al Aqsa nel 1951, sarà così il primo nella lunghissima lista di coloro che hanno pagato con la vita il loro servilismo verso il loro protettore britannico, il promotore della dichiarazione Balfour.

Sette anni dopo, suo nipote, Re Faisal d’Iraq, fu detronizzato e giustiziato pubblicamente il 14 luglio 1956, per aver aderito al Patto di Baghdad, la prima violazione del patto di difesa collettiva araba. Il suo Primo Ministro, Noury ​​Said, sarà linciato dalla folla lo stesso giorno per aver incoraggiato il Regno Unito a impegnarsi in un’aggressione tripartita contro l’Egitto, esortando il Primo Ministro britannico Anthony Eden a impegnarsi in una spedizione punitiva contro Gamal Abdel Nasser, leader della lotta nazionalista araba, nei termini tramandati ai posteri: “Colpiscilo, colpiscilo ora, colpiscilo forte”.

Camp David

Machiavellico nel suo disegno, il trattato di pace egiziano-israeliano fu nefasto nei suoi effetti e per le sue conseguenze, sia per l’Egitto, sia per il suo firmatario egiziano sia per il suo successore che lo sostenne: Anouar El Sadat, il negoziatore del Trattato di Pace Israeliano-Egiziano a Washington del 25 marzo 1979, fu assassinato due anni dopo, il 6 ottobre 1961. Il suo successore Hosni Mubarak, intanto, è stato destituito dopo trentadue anni di regno disastroso per la sua persona e infamante per la dignità del suo Paese che ha sottoposto alla logica del vassallaggio israelo-americano durante questo lungo periodo.

La defezione dell’Egitto dal campo di battaglia fu controbilanciata dalla caduta della dinastia Pahlevi in ​​Iran, custode del Golfo e fornitore di energia di Israele.

Conferendo spessore strategico agli oppositori dell’ordine egemonico israelo-americano nell’area, l’avvento della Repubblica Islamica Iraniana ha indotto un nuovo equilibrio di potere a livello regionale. E, paradossalmente, dalla firma del Trattato di Pace Egiziano-Israeliano, e nonostante la defezione dell’Egitto, Israele non ha mai più conseguito una vittoria militare decisiva.

Nel 1982, Bashir Gémayel, capo delle milizie cristiane libanesi, eletto alla presidenza della Repubblica libanese all’ombra dei carri armati israeliani, dopo aver raso al suolo il campo palestinese di Tall El Zaatar quattro anni prima, nel 1976, perirà sotto la macerie del suo quartier generale alla vigilia della sua investitura. La Forza Multilaterale Occidentale, composta da Stati Uniti, Francia e Italia, inviata in Libano per sostituire gli israeliani nella pacificazione di Beirut dopo il massacro dei campi palestinesi di Sabra e Chatila, sarà costretta a fare i bagagli a seguito di micidiali attacchi contro I quartier generali occidentali che causarono la morte di oltre 300 soldati.

Nel 2000, lo Stato Ebraico si è ritirato militarmente dal Libano, sotto l’effetto dei colpi infertegli da Hezbollah, senza negoziati diretti né trattati di pace.

Il Libano aveva già anticipato questo evento abrogando sette anni prima, sotto la pressione popolare, il Trattato di Pace Libanese-Israeliano siglato nel 1983, sotto il mandato del Presidente falangista Amine Gemayel. Un doppio senso di marcia nella storia del conflitto arabo-israeliano, che eleva il Libano al rango di mediatore diplomatico regionale.

Nel 2006 Israele fu addirittura costretto ad accettare un cessate il fuoco perché non era riuscito a sconfiggere Hezbollah al termine di una guerra di sessanta giorni, il massiccio sostegno americano e l’incoraggiamento del capo del Clan Hariri, il Primo Ministro Fouad Siniora, il cui abbraccio alla Segretaria di Stato Condoleezza Rice a Beirut sotto i bombardamenti israeliani, sarà l’estremo segno dell’infamia. Sul fronte meridionale di Israele, nonostante quattro guerre consecutive contro l’enclave palestinese, lo Stato Ebraico non è ancora riuscito a sconfiggere Hamas a Gaza, che ora lo schernisce con i suoi missili fino a Tel Aviv. Da allora, tutti i successivi scontri in Medio Oriente hanno assunto la forma di guerre asimmetriche, segnate dalla sconfitta dell’unica potenza atomica del Medio Oriente contro questi combattenti furtivi che praticano una guerra ibrida, combinando guerra convenzionale e guerriglia.

Così, man mano che gli oppositori dell’ordine egemonico israelo-americano diventavano più efficaci, la Palestina, un tempo causa principale degli arabi, fu gradualmente svenduta dalle stesse persone che avrebbero dovuto difenderla, in particolare l’Arabia Saudita, nella sua qualità di custode dei luoghi santi dell’islam e che aveva fatto dell’islamismo politico la sua fonte di reddito.

In retrospettiva, il terrorismo islamico ha permesso alle petromonarchie di sbarazzarsi agevolmente dei loro oppositori, con il pretesto dell’esaltazione religiosa, mentre distruggeva i loro potenziali rivali. Ad esclusivo vantaggio degli Stati Uniti, protettori di Israele.

Richard Nixon, il Presidente americano che organizzò un ponte aereo per rifornire l’esercito israeliano direttamente sul campo di battaglia durante la guerra dell’ottobre 1973, sarà costretto a dimettersi meno di un anno dopo, il 9 agosto 1974, sotto minaccia di impeachment per lo scandalo Watergate, l’intercettazione illegale della sede del Partito Democratico.

Lo Scià dell’Iran, uno dei più feroci oppositori di Nasser, fu estromesso dal potere cinque anni dopo, nel 1979, da una rivolta popolare, l’anno della conclusione del Trattato di Pace Israeliano-Egiziano.

Alla ricerca di un riparo, l’America rifiuterà, paradossalmente, l’asilo al suo miglior custode nel Golfo. Al termine di un lungo peregrinare, il Re dei Re sarà accolto dall’Egitto, il Paese contro il quale aveva ardentemente incitato Israele ad attaccare.

La proclamata Repubblica Islamica dell’Iran al momento della sua destituzione, compenserà strategicamente la defezione dell’Egitto dal campo di battaglia contro Israele, a causa della conclusione di un trattato di pace con lo Stato Ebraico. Meglio ancora, nonostante una guerra decennale condotta per conto delle petro-monarchie dall’Iraq baathista e un embargo quarantennale decretato dagli Stati Uniti, raggiungerà lo status di “potenza nucleare di soglia” e capofila della sfida regionale all’egemonia israelo-americana nell’area.

Il Re Saudita Faisal avrà il suo momento di gloria nel 1973, attivando l’arma del petrolio, non tanto a sostegno dello sforzo bellico arabo contro Israele, secondo la versione petro-monarchica, ma al fine di indebolire le economie dell’Europa occidentale e del Giappone di fronte all’economia americana devastata dal dissesto finanziario rappresentato dalla guerra del Vietnam (1958-1975). Faisal tuttavia sarà, a sua volta, assassinato nel 1975 dal proprio nipote, laureato in un’università americana, illustrando così la corrosività dello “Stile di Vita Americano” per i beduini del deserto.

Anouar El Sadat, l’uomo che si impegnò a cancellare l’eredità del suo mentore Gamal Abdel Nasser accoglierà, come un gran signore, il decaduto monarca iraniano, un megalomane che tuttavia incitò con forza Israele ad attaccare militarmente l’Egitto infliggendogli una severa sconfitta militare. Ma colui che si è autoproclamato “Presidente musulmano di un Paese musulmano” per attivare la leva islamista per neutralizzare i laici d’Egitto, nasseriani e comunisti, sarà a sua volta assassinato da un neo-islamista.

Alla fine, Yitzhak Rabin, l’ex Capo di Stato Maggiore israeliano durante la guerra del giugno 1967, interlocutore privilegiato dello Scià dell’Iran, divenuto Primo Ministro e cofirmatario del Trattato di Pace con l’Egitto di Sadat, sarà a sua volta assassinato da un ultra-sionista.

Re Hussein di Giordania, rompendo la solidarietà araba a favore della connivenza con Israele, nemico ufficiale del mondo arabo, organizzò un bagno di sangue ad Amman nel settembre 1970 per reprimere la guerriglia palestinese e garantire la sopravvivenza del Trono Hashemita. Porterà fino alla morte, al termine di una lunga malattia, nel 2002, l’appellativo di “Macellaio di Amman”. Il suo complice, il Primo Ministro Wasfi Tall, sarà assassinato nel 1971 al Cairo, un anno dopo il settembre nero giordano, per ordine del suo Re. Alla fine di questa serie di eventi, cinque dei principali protagonisti di questo dramma, tutti alleati di primo piano degli Stati Uniti, inclusi due premi Nobel per la pace (Rabin e Sadat), scompariranno violentemente dalla scena pubblica, quattro di loro assassinati, mentre la Repubblica Islamica dell’Iran divenne il baluardo della lotta per la liberazione della Palestina e del Medio Oriente dal dominio israelo-americano.

Infine, ultimo ma non meno importante, Rafic Hariri, il Primo Ministro libanese, che sognava di realizzare una “autostrada della pace Libano-Golfo”, in coppia con il Primo Ministro israeliano Shimon Perez, rimarrà ucciso in un attentato con un’autobomba nel 2005.

Il Generale Wissam Al Hassan, ex capo della sicurezza del miliardario libanese saudita, divenuto poi capo della sicurezza per il Clan saudita americano in Libano, verrà ucciso in un attentato con un’autobomba nel 2011, tre mesi dopo l’attentato contro l’Alto Comando militare siriano, al culmine della guerra in Siria, di cui era incaricato di supervisionare la destabilizzazione dal Libano per provocare la resa dell’ultimo Paese sul campo di battaglia (insieme al Libano) a stringere un patto con Israele.

Sei omicidi di importanti esponenti filo-occidentali (Faisal, Sadat, Rabin, Wasfi Tall, Bachir Gemayel, Rafic Hariri) mentre, allo stesso tempo, due leader israeliani, il Presidente Moshe Katzav (tangenti) e il Primo Ministro Ehud Olmert (appropriazione illecita), sono stati condannati a pene detentive dai tribunali del loro Paese e un terzo, Benyamin Netanyahu, è accusato di corruzione.

In nome della difesa del “mondo libero”, cinque Paesi del Medio Oriente sono stati sottoposti a un blocco occidentale unilaterale: l’Iran per 44 anni; la Siria per 12 anni, lo Yemen per 8 anni e il Libano per 4 anni senza che la NATO sia riuscita a forzare la situazione a suo favore, mentre il cielo israeliano è diventato una pioggia di fuoco a causa dei razzi artigianali lanciati da Hamas, così come il cielo dell’Arabia Saudita per i razzi rudimentali lanciati dagli Houthi e nel mentre gli Hezbollah libanesi ridicolizzavano la diplomazia americana in modo memorabile rompendo il blocco libanese con importazione di carburante iraniano e mettendo fine al monopolio aereo mediorientale detenuto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale dalla NATO e da Israele con l’installazione di una base aerea russa a Hmeymine, in Siria, a seguito della guerra siriana (2011-2021)

Il processo storico non può essere ridotto a processo mediatico. Israele, durante il primo mezzo secolo della sua indipendenza (1948-2000), è uscito vittorioso da tutte le guerre che lo hanno opposto agli eserciti arabi convenzionali, ma la tendenza si è invertita dall’inizio del 21° secolo, con l’attuazione della strategia della guerra asimmetrica.

Da allora tutti i suoi scontri militari con i suoi avversari arabi si sono conclusi con battute d’arresto militari, sia in Libano nel 2006 contro lo sciita libanese Hezbollah, sia nel 2008 a Gaza, in Palestina, contro il sunnita palestinese Hamas.

Israele è stato toccato nelle sue fondamenta da queste controprestazioni al punto da vivere una situazione “schizotimica”: uno Stato di diritto, certo, ma esclusivamente nei confronti dei suoi cittadini di fede ebraica, uno Stato di Apartheid nei confronti della componente palestinese della sua popolazione, un regime di non diritto e illegalità nelle sue colonie e sulla scena regionale, al punto che molti osservatori (non solo arabi e non solo musulmani) tendono a considerarlo come lo Stato canaglia n° 1 sulla scena internazionale.

Israele si impegna in pratiche perverse contro i palestinesi. Non si accontenta di demolire le case delle famiglie dei martiri, privando i loro familiari dei permessi di lavoro e di circolazione, perfino della loro condizione di residenti di Gerusalemme. Ci sono centinaia di persone di tutte le età i cui corpi Israele non restituisce, che sono state uccise in attentati o per errore, e le cui spoglie sono conservate nei “cimiteri dei numeri” o nei congelatori degli obitori.

Le drammatiche conseguenze di questa pratica sadica per le famiglie che non possono seppellire i loro morti, non possono piangerli e finiscono per perdere la salute e la vita nelle loro angosciose ricerche e sforzi.

Spesso combattute tra il senso di colpa per non poter offrire una sepoltura dignitosa ai propri figli e la necessità di non cedere pubblicamente, le famiglie stanno letteralmente morendo.

A volte, Israele finisce per restituire loro, dopo decenni, questi corpi oltraggiosamente congelati, ma in condizioni degradanti. Ogni cerimonia funebre è vietata, la sepoltura deve avvenire di notte, e in un luogo diverso dalla città o dal villaggio del defunto. Al funerale non sono ammessi più di 20 partecipanti e la lista con i loro nomi deve essere inoltrata a Israele.

Queste diatribe razziste anti-arabe sono così rappresentative che hanno reso il bestiario israeliano un segno distintivo del linguaggio governativo israeliano.

A quasi cento anni dalla sua fondazione, la Casa Nazionale Ebraica appare così retrospettivamente come la prima operazione di delocalizzazione su larga scala realizzata su base etnico-religiosa con l’obiettivo di addebitare al mondo arabo l’antisemitismo ricorrente della società occidentale.

E la Palestina, in questo contesto, è diventata un immenso sfogo di tutte le frustrazioni represse generate dalle periferie di Kiev (Ucraina) e Tbilisi (Georgia) fino alle profondità di Brooklyn (Stati Uniti), la più grande prigione del mondo, il più grande campo di concentramento all’aperto per i palestinesi, i proprietari originari del Paese.

Il diritto di Israele ad esistere non può implicare il dovere di annientare il popolo palestinese, né il suo diritto alla sicurezza, l’insicurezza permanente dei Paesi arabi.

È un viaggio curioso quello che i sopravvissuti ai ghetti di Varsavia e altrove hanno fatto per “murarsi” in terra d’Oriente, segno di uno stallo della società israeliana sessant’anni dopo la trasformazione della sua “Casa Nazionale” in Stato indipendente. La mobilitazione identitaria è il segno di una crisi interna del sistema politico, la ghettizzazione, il segno di una regressione perché porta all’espulsione dell’intruso e non al riconoscimento dell’altro.

La pioggia di razzi palestinesi che si è abbattuta sulle città israeliane, il 12 maggio 2021, segnerà una pietra miliare nella storia del conflitto israelo-palestinese per la sua forte carica simbolica e la sua intensità, confermando in modo inequivocabile la centralità della questione palestinese nella geopolitica del Medio Oriente, portando di sfuggita la dimostrazione che lo spazio israeliano è indifeso di fronte a razzi di fabbricazione artigianale, mettendo a repentaglio la dirigenza araba sunnita dopo la sua collettiva sottomissione di fronte allo Stato Ebraico.

Richiamo all’ordine delle circonvoluzioni dei vari piani di pace

Il “Piano di Spartizione” delle Nazioni Unite ha offerto ai palestinesi il 47% del totale del territorio della Palestina del Mandato Britannico che originariamente apparteneva ai palestinesi. Poi, per una sorta di riduzione successiva, tutte le altre iniziative di pace proponevano piani decrescenti:

• Gli “Accordi di Oslo” (1993) hanno offerto ai palestinesi un’area ridotta della metà: il 22% del totale che originariamente apparteneva loro.

• La “Generosa Offerta” di Ehud Barak ai Palestinesi ha ridotto l’offerta al minimo indispensabile: 80% del 22% del totale del territorio originale.

• Il “Piano d’Azione” immaginato da Bush per i palestinesi allo scopo di ottenere il sostegno arabo per la guerra in Iraq propone la creazione di uno Stato palestinese a varie condizioni che costituiscono un capolavoro di ipocrisia diplomatica e malafede.

• La costituzione di uno Stato palestinese è soggetta alle seguenti condizioni:

• La rinuncia alla lotta armata, cioè la resistenza all’occupazione, nonché la neutralizzazione di tutti i combattenti e la loro smobilitazione.

• Rinuncia al diritto al ritorno dei profughi nelle case dei loro antenati.

• Nomina di rappresentanti politici approvata da Stati Uniti e Israele.

• L’accettazione dei fatti compiuti sul campo, in particolare la separazione della Cisgiordania da Gerusalemme attraverso il Muro costruito da Sharon, nonché le strade di collegamento militari degli agglomerati palestinesi, riservate all’uso esclusivo degli israeliani. Questa disposizione interrompe la continuità territoriale palestinese, nello stesso modo in cui lo Stato di Israele aveva interrotto il continuum strategico arabo.

• La rinuncia a Gerusalemme come capitale.

• La modifica dei programmi scolastici in una narrazione approvata dagli americani e dagli israeliani.

• L’istituzione della pianificazione familiare e del controllo delle nascite per frenare la galoppante demografia dei palestinesi.

Il soddisfacimento di queste condizioni potrebbe aprire la strada alla costituzione di uno Stato palestinese al termine dei negoziati con gli israeliani che coprirebbe l’80% del 22% del 47% del territorio originale.

Per tutte queste ragioni, mi è sembrato necessario proporre questa lettura inversa della Storia della Palestina, poiché è vero che il passato illumina molto crudelmente il presente, e senza dubbio il futuro, e che è altrettanto vano vivere nella penombra e nella retorica per alla fine ammettere, e qui mi rivolgo agli amici dello Stato Ebraico che affermano di essere attaccati alla sua esistenza, che Israele conoscerà la legittimità solo quando sarà stato pienamente riconosciuto dalla sua vittima, il Palestinesi, liberamente, sovranamente, senza precondizioni.

Gli occidentali sostengono il diritto alla sicurezza di Israele e il diritto all’esistenza del popolo palestinese, senza alcuna considerazione sulla sua sicurezza. A giudicare dalle molteplici azioni preventive condotte da Israele nel corso della sua storia, la vera equazione, il giusto, consiste nel rivendicare non un diritto alla sicurezza per Israele e un dovere all’insicurezza per i Paesi arabi, ma un uguale diritto alla sicurezza per tutti i Paesi dell’area, compresa la Palestina, perché è legittimo tanto per Israele quanto per i Paesi arabi avere pari diritto alla sicurezza.

Ricordiamoci che, alla fine, finché c’è un rivendicatore non si perde un diritto, e una falsa simmetria non serve alla buona amministrazione della giustizia.

Epilogo: L’unica democrazia in Medio Oriente, uno Stato di Apartheid

L’unica potenza atomica del Medio Oriente è ostacolata nell’uso delle armi nucleari dalle sue ricadute su Israele, a causa della contiguità territoriale dello Stato Ebraico con la Palestina; inoltre, ora accerchiato alle due estremità, in un’alleanza inversa tra il sunnita palestinese Hamas nel Sud della Striscia di Gaza, e lo sciita libanese Hezbollah, nel Nord della Galilea e nel Sud del Libano.

Con in più il ritorno della Russia, attraverso la porta principale in Medio Oriente, con l’allestimento di una base aerea a Hmeymine, in Siria, rompendo così il monopolio aereo detenuto dall’alleanza israelo-americana dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Peggio ancora: “L’unica democrazia in Medio Oriente” è ora uno “Stato di Apartheid”, come lo spaventoso regime del Sudafrica dell’era coloniale, secondo l’organizzazione umanitaria americana “Human Right Watch”.

“L’occidente cristiano pensò di estinguere i suoi debiti con l’ebraismo e di mostrargli la sua solidarietà espiatoria creando lo Stato d’Israele in vista di normalizzare la condizione ebraica diasporica in chiare componenti nazionali”,  scrisse Abraham B. Yehoshua.

Ma allo stesso tempo ha trasmutato la sua disputa bimillenaria con una religione a lungo considerata “deicida” in un conflitto arabo-israeliano e in un conflitto islamo-giudaico, negando la simbiosi andalusa. In tal modo, l’Occidente ha trasferito in terra araba i fastidiosi problemi dell’antisemitismo ricorrente nelle società occidentali.

La storia del Mondo Arabo contemporaneo rimarrà incomprensibile a chiunque non prenda in considerazione la ferita originaria rappresentata dall’instaurazione dello Stato di Israele in Palestina, poiché è vero che tra tutte le maggiori date che costellano la storia degli arabi, la data del 15 maggio 1948, è senza dubbio la più traumatica.

Al di là delle considerazioni bibliche, la creazione di un’entità occidentale nel cuore del Mondo Arabo all’intersezione della sua parte asiatica e della sua parte africana, ha suggellato la rottura definitiva nella continuità territoriale dello spazio nazionale arabo, la rottura dal punto di articolazione tra la rotta continentale e la rotta marittima della “Via delle Indie”, la rotta commerciale delle carovane che collegava il corridoio siro-palestinese al suo prolungamento egiziano, una rottura strategica nel continuum nel punto di confluenza delle rotte navigabili arabe (il Giordano, lo Yarmouk, l’Hasbani e lo Zahrani) e i suoi giacimenti petroliferi, fonte della sua ricchezza, del suo decollo economico e della sua potenza futura.

Uno shock traumatico a tutti gli effetti. Sarà giustamente vissuta come tale, come un’amputazione del patrimonio nazionale, una spoliazione dell’identità araba. Condizionerà in modo permanente il rapporto tra il Mondo Arabo e l’Occidente nell’epoca contemporanea e spiegherà gran parte della sua natura conflittuale, delle sue successive derive, delle sue ripetute esplosioni e, non ultima delle conseguenze, la repulsiva avversione e l’istintiva diffidenza che il Mondo Arabo continua a nutrire di fronte a qualsiasi iniziativa occidentale.

Rony Braman

“C’è un processo, ma non è di pace. È di conquista. È in corso e non ha cessato di esserlo dal 1948. Qualsiasi persona in buona fede, indipendentemente da qualsiasi giudizio morale o politico, può solo constatare questa dinamica di continua espansione. A medio termine, penso che Israele sia condannato a causa della sua incomprensione e delle sue scelte imperiali che l’hanno portato ad appoggiarsi all’Impero statunitense piuttosto che cercare un accordo con i suoi vicini”

“Il binazionalismo, per quanto nemico giurato del sionismo, ha infatti vinto nella sua versione peggiore, quella sudafricana dell’Apartheid. Ma l’Apartheid non può durare”

“Ecco perché penso che questo progetto sionista sia condannato. Sono particolarmente preoccupato per il futuro della minoranza ebraica in Medio Oriente nei prossimi vent’anni, visto l’odio che ha seminato intorno a se”, ha profetizzato Rony Brauman, anticonformista Premio Nobel per la pace. (Intervistato su Middle East Review N°6 giugno luglio 2010: “Il punto di vista di Rony Brauman sull’azione umanitaria nel mondo e in Medio Oriente” intervistato da Frank Tétard e Chiara Rettennella).

Ma per quanto sofisticata possa essere questa strategia, l’Occidente, all’origine di questo problema, soffre, inesorabilmente, per le violazioni della propria etica, così come la sua creatura, per la cui decine di soldati ogni anno lasciano il proprio Paese, alla ricerca di un paradiso artificiale, che non è la Terra Promessa, ma un paradiso allucinatorio, rispondente al nome melodioso di “Goa Karma”.

Spesso traumatizzati dai tre anni di servizio militare e dalle operazioni belliche a cui hanno dovuto partecipare, si lanciano in un’avventura, come gli hippy degli anni ’70, con la speranza di trovare un nuovo senso alla loro vita, in un mondo governato da regole diverse dalle proprie. Tra utopie ed eccessi, si mettono alla ricerca dell’illusione di un mondo di pace. Alcuni hanno rotto tutti gli ormeggi, per sprofondare in una marginalità a volte ancora più minacciosa per la loro identità, lontano dagli stereotipi della propaganda, dal caro prezzo pagato per il bellicismo, il volto nascosto di Israele.

Alla fine di questo studio, la domanda che si pone è se il sostegno incondizionato e assoluto dei Paesi occidentali a Israele non costituisca in ultima analisi un aiuto al suicidio dello Stato Ebraico?, secondo l’espressione del pacifista israeliano Uri Avnery. Solo il futuro lo dirà.

Il più grande errore dell’Occidente è quello di aver sempre voluto convivere con gli “arabi addomesticati” nella più grande tradizione coloniale. E il mondo arabo non è destinato a servire da sfogo per la patologia bellicista occidentale; né è il luogo di delocalizzazione dell’esternalizzazione del ricorrente antisemitismo della società occidentale.

Il culmine dell’evoluzione del movimento sionista, le elezioni legislative israeliane del 1° novembre 2022, le quinte in quattro anni, hanno riportato Binyamin Netanyahu al potere grazie al trionfo elettorale, non del Likud, ma della destra suprematista, guidata dal peso massimo politico in ascesa Itamar Ben-Gvir. Un bel risultato per un Paese generalmente descritto dai Paesi occidentali come “l’unica democrazia del Medio Oriente”.

La bandiera palestinese sventolata durante i Mondiali di calcio in Qatar nel novembre 2022, in particolare dalla squadra marocchina al momento della qualificazione alle semifinali, è stata un affronto all’artefice degli “Accordi di Abramo”, Jared Kushner, genero dell’ex Presidente Donald Trump, presente a Doha e a tutti i “normalizzatori” arabi, in particolare al Re del Marocco Mohamad VI°, in quanto costituiva un messaggio subliminale a significare la permanenza della causa nazionale palestinese nella coscienza collettiva araba e il rifiuto di gli accordi arabo-israeliani, ridotti ormai ad un atto di formalizzazione dei rapporti fino ad allora clandestini tra le monarchie arabe e lo Stato Ebraico.

Renè Naba è un giornalista-scrittore, ex capo dell’Arab Muslim World (Mondo Arabo Musulmano) al servizio diplomatico dell’AFP, poi consigliere del direttore generale di RMC Middle East, capo redattore, membro del gruppo consultivo dell’Istituto Scandinavo dei Diritti Umani e dell’Associazione di Amicizia Euro-Araba.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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