Harun è nato, è rimasto paralizzato ed è stato ucciso dal sistema coloniale israeliano. La lotta per smantellarlo inizia nella grotta dove ha trascorso i suoi ultimi anni.
Fonte: English version
Yuval Abramo – 16 febbraio 2023
Immagine di copertina: Harun Abu Aram nel suo villaggio di Al-Rakeez a Masafer Yatta, West Bank. (Emily Glick)
Harun Abu Aram è morto. Per due anni ha vissuto completamente paralizzato in una grotta sporca, senza acqua corrente, afflitto dal dolore. Questa è stata la sua vita dal momento in cui, nel gennaio 2021, un soldato israeliano arrivò sulle colline a sud di Hebron, nella Cisgiordania occupata, per confiscare un generatore elettrico e sparare ad Harun al collo. L’esercito si è rifiutato di permettere alla sua famiglia di costruire una casa per lui, nonostante fossero nella propria terra, costringendoli a vivere in una grotta. Questo è il volto delle espulsioni israeliane e della pulizia etnica nella regione di Masafer Yatta.
Martedì mattina, a 26 anni, Harun ha esalato il suo ultimo respiro. Sua madre Farisa, soprannominata Shamiya, non ha mai lasciato il suo fianco. Lavava il suo corpo paralizzato con un secchio d’acqua. Rimaneva sveglia con lui mentre di notte si contorceva dal dolore Le sue sorelle lo amavano profondamente, e gli tenevano il telefono davanti al volto ogni volta che i parenti chiamavano per chiedere di lui.
Incontrai sua madre per la prima volta alla fine del 2020, quando arrivarono le ruspe israeliane per demolire la casa di famiglia. Era stata costruita per Harun, che avrebbe dovuto sposarsi e crescere una famiglia in una delle sue stanze. Un ispettore dell’Amministrazione Civile, l’organo militare che governa i territori occupati, rimproverò Shamiya per non aver recuperato nessuno degli effetti personali della famiglia.
Il bulldozer distrusse la casa con dentro tutto, compresi i mobili della cucina. Doha, la sorella minore di Harun, piangeva mentre guardava la sua casa fatta a pezzi. Ricordo come la polvere si attaccava ai suoi capelli e come sua madre, una donna orgogliosa, disse: “Hanno demolito, noi continueremo a costruire”.
Alcune settimane dopo, Harun fu colpito mentre tentava di impedire ai soldati israeliani, arrivati nel suo villaggio di Al-Rakeez, di confiscare un generatore comune.
“Terrorismo geografico”
Gli ultimi anni hanno visto soldati armati tentare sempre più aggressivamente di impedire ai palestinesi la costruzione di edifici confiscando loro gli attrezzi, spesso per volere dei coloni israeliani che vivono nelle vicinanze. A volte, gli stessi coloni cercano di fermare le costruzioni palestinese, come hanno fatto sabato scorso nella città di Qarawat Bani Hassan, dove hanno sparato e ucciso il 27enne Methqal Abd al-Halim Rayan. Altre volte, i soldati utilizzano droni per scattare foto aeree e inviarle all’Amministrazione Civile, la quale poi invia gli ispettori. Questa è una parte del vasto sistema coloniale israeliano, che impedisce sistematicamente ai palestinesi di costruire le loro case in aree come le colline a sud di Hebron.
Il terribile ronzio di questi droni è sempre stato presente durante le innumerevoli volte che ho visitato Al-Rakeez, uno dei villaggi più piccoli di Masafer Yatta. Droni che spiavano nelle case dei contadini poveri, costringendoli a costruire di notte, di nascosto.
L’uccisione di Harun è il risultato di questo sistema coloniale e, più specificamente, della visione del mondo malata che considera l’edificazione palestinese una forma di “terrorismo”, creando così un pretesto per “contrastarla” con la forza militare.
Ai politici israeliani piace chiamarla la “battaglia per l’Area C”. Durante le udienze dell’epoca presso la commissione per gli affari esteri e la difesa della Knesset, il deputato del Likud Avi Dichter si riferì agli edifici palestinesi come “terrorismo geografico”. Il deputato di destra Gideon Sa’ar disse che “determinerà i futuri confini del paese” e il parlamentare di estrema destra Bezalel Smotrich, che oggi è ministro delle finanze, affermò che “l’esercito israeliano è responsabile della “battaglia”.
In una delle sue apparizioni pubbliche, Meir Deutsch, il capo dell’organizzazione di destra Regavim, una delle maggiori forze a sostenere questa “battaglia”, ha parlato di un “paradosso” a cui aveva recentemente assistito. I soldati, ha detto, stavano esercitandosi a fuoco vivo su bersagli di cartone nelle colline a sud di Hebron, mentre a 300 metri da loro i palestinesi erano impegnati a costruire. “Il nemico sta conquistando il territorio e i nostri soldati continuano a sparare a bersagli di cartone”, ha detto.
Queste persone, che hanno il potere di inviare uno degli eserciti più potenti del mondo a perseguitare le persone più vulnerabili tra il fiume e il mare – famiglie che costruiscono quasi sempre sulla loro terra privata – hanno creato per sè stesse un mondo fantastico, nel quale starebbero combattendo contro un pericoloso piano dell’Autorità palestinese per impossessarsi della terra ebraica.
Sia Israele che l’Autorità palestinese si sono rifiutati di pagare per il trattamento medico di Harun. Ho visto sua madre supplicare i soldati che l’avevano fermata al posto di blocco di lasciarle “costruire solo una casa, una stanza, in modo che io abbia un posto pulito dove prendermi cura di lui”. La guardavano e non capivano l’arabo. Diversi uomini dovevano sollevare Harun fuori dalla caverna quando necessario. La gente ha raccolto denaro per aiutare la famiglia.
L’esercito ha continuato ad arrivare alla casa di famiglia anche dopo la sparatoria. I soldati hanno confiscato la tenda di solidarietà che era stata eretta lì dopo la sparatoria, hanno emesso ordini di demolizione per i pozzi vicini e hanno fermato la madre di Harun al posto di blocco per confiscare il veicolo della famiglia che usava per portare suo figlio in ospedale, perché non immatricolato.
Quando aveva 11 anni, Harun comparve nel film del 2012 “Good Garbage”. In esso si vede Harun che rovista in una discarica, con la faccia sporca, smistando i rifiuti dagli insediamenti vicini. Prende un materasso giallo. Sua madre gli dice che dovrebbe portare i vestiti che trova in modo che possa lavarli. Quando torna a casa, sua madre si preoccupa per il suo volto, bruciato dal calore degli incendi nella discarica.
Harun, senza guardare direttamente sua madre, dice: “Il sole ci sta uccidendo e ci mentono quando pesano il ferro”. Qualcosa negli occhi di sua madre cambia subito, e all’improvviso lei lo guarda con paura, quasi rabbia. “Devi sopportare tutto questo”, gli dice. “Questo ci è stato imposto. Chi è forte vive e chi non è forte non vivrà. Solo chi è forte può vivere”.
Una collina, due leggi
Non conoscevo Harun. Oggi il suo essere, che vale più di due decenni di vita, è ridotto a quello di uno sconosciuto, di una vittima. I molti strati da cui era composto sono a me invisibili. Non sono io a scrivere di Harun o ad elogiarlo. Lo stato in cui era ridotto, lo so, è stato difficile per lui, non solo riguardo al suo corpo e a quello che gli era successo, ma anche alla sua immagine, alla persona che era.
Sua madre sussurrò che lui voleva morire. Quando fu visitato per la prima volta in ospedale, due anni fa, il suo corpo non si mosse, ma i suoi occhi si riempirono di lacrime. La perdita della sua dignità, la sua dipendenza da lei, in particolare come bambino un tempo così indipendente, mandato a mantenere la sua famiglia in così giovane età, dovevano essere insopportabili.
È difficile da immaginare. La grotta dove viveva divenne un centro visitatori. Decine di giornalisti e attivisti sono passati di lì negli ultimi due anni, sbirciando un attimo, fotografandolo steso quasi senza vita sul suo materasso. Ricordo come, un giorno, Harun voltò la testa dall’altra parte e gridò loro di uscire.
Col passare del tempo, il portavoce dell’IDF ha cambiato scuse. In un primo momento affermò che la sparatoria era in risposta al lancio di pietre e all’attacco di 150 palestinesi. Quella bugia era facile da confutare, poiché c’erano sia riprese video che molti testimoni oculari. Il filmato mostra un Harun a piedi nudi eretto accanto ai membri della sua famiglia, aggrappato al loro generatore, mentre i soldati cercano di confiscarlo. Successivamente, l’esercito ha affermato che la sparatoria non era stata intenzionale e che era avvenuta solo dopo che i soldati si erano sentiti in pericolo di vita. Alla fine, il portavoce ha deciso che il proiettile che ha spezzato la parte superiore della spina dorsale di Harun era stato scaricato accidentalmente quando i palestinesi avevano cercato di afferrare la pistola del comandante.
Subito dopo la sparatoria, l’esercito annunciò di aver aperto un’indagine. Nei due anni successivi, ho contattato regolarmente l’esercito per controllare le indagini. L’ultima volta che li ho contattati è stato nell’ottobre 2022, quando, come al solito, mi dissero che l’inchiesta non era ancora conclusa. Ora l’esercito ha annunciato che le indagini sono terminate e che l’assassino non sarà perseguito.
A un minuto a piedi dalla grotta in cui è morto Harun si trova l’avamposto dell’insediamento di Avigail, costruito nel 2001. Le sue case sono ancora in piedi, nonostante gli ordini di demolizione impartiti a ognuno di loro. Martedì, il governo ha annunciato che avrebbe legalizzato formalmente l’avamposto, che da tempo gode di strade asfaltate, elettricità e acqua corrente. Una collina, due leggi.
Mentre scrivo queste righe, i bulldozer stanno tornando a Masafer Yatta per un’altra ondata di demolizioni. Lo scorso maggio, la Corte Suprema israeliana ha autorizzato l’esercito a sfrattare oltre 1.000 residenti palestinesi dai villaggi che sono presenti sulle mappe dalla fine del XIX secolo, apparentemente in modo che i soldati possano addestrarsi lì. I protocolli delle decennali riunioni del gabinetto israeliano chiariscono che il piano per espellere i palestinesi di Masafer Yatta è stato ideato per consentire l’insediamento ebraico-israeliano nell’area.
Harun è nato ed è stato ucciso da un sistema di apartheid coloniale. La lotta per smantellarlo inizia all’ingresso della grotta in cui ha trascorso i suoi ultimi anni.
Yuval Abraham è un giornalista e attivista che vive a Gerusalemme.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org