Gli israeliani si paragonano all’Ungheria, ma sono più simili all’Afghanistan

Sotto l’influenza delle forze fondamentaliste, Israele si sta allontanando sempre di più dall’influenza dell’Occidente. E come in altre parti del Medio Oriente, potrebbe arrivare il momento in cui gli americani decideranno di ridurre le perdite.

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Di Ofri Ilany – 18 febbraio 2023

Immagine di copertina: Afgani cercano di fuggire da Kabul dopo la caduta del Paese sotto il controllo dei Talebani nel 2021 Foto: Wakil Kohsar / AFP

Le immagini in tv sembrano tratte da un documentario storico. Il Presidente, con le mani tremanti, dichiara che siamo di fronte al collasso costituzionale. Le stazioni ferroviarie sono piene di manifestanti, che provano euforia per la coesione e il risveglio politico. Ma è difficile non notare che questa è una comunità particolarmente ristretta, all’interno della società israeliana. Alle manifestazioni si poteva cantare l’inno dei movimenti giovanili socialisti-sionisti delle Camicie blu del passato, più l’inno attuale, e la maggior parte dei partecipanti interveniva con grida di “esultazione”. Chiunque voglia essere onesto con se stesso noterà che la protesta è per lo più limitata alla comunità laico-ashkenazita. Siamo gli unici preoccupati per la situazione.

Qual è il precedente storico rilevante di ciò che sta accadendo ora in Israele? Negli ultimi mesi, i processi politici in atto qui sono stati spesso paragonati all’erosione della democrazia liberale in Ungheria sotto Viktor Orbán. Tra l’altro questo parallelismo ci dice che, per quanto riguarda la maggior parte di noi, anche la nostra immaginazione distopica è piuttosto limitata. Anche quando immaginiamo uno scenario catastrofico, preferiamo credere di essere in Europa. Sono stato in Ungheria qualche mese fa. Ho visto un Paese dell’Europa centrale invecchiato e sonnolento, con musei, opera e torta Sacher. Certo, il governo di Orbán controlla i media e inonda lo spazio pubblico con campagne contro la “propaganda pedofila” LGBTIA. Inutile dire che l’Ungheria porta anche le cicatrici lasciate dagli oscuri passati regimi. Tuttavia, l’Ungheria è membro dell’Unione Europea e si trova sul Danubio, a due ore da Vienna. Ci piacerebbe essere l’Ungheria.

In effetti, il paragone rilevante con la situazione attuale di Israele è molto meno gradevole: la caduta di Kabul. È vero, la situazione non è ancora così disperata. Per il momento nessuno si aggrappa alla pancia di un aereo in decollo: l’assalto all’aeroporto non è ancora iniziato. Ci sono ancora alcune tappe sulla strada per arrivarci. E non è dato sapere cosa succederà. Ma nonostante tutte le differenze, gli eventi che si svolgono in Israele nel 2023 e in Afghanistan nel 2021 appartengono fondamentalmente allo stesso processo. Anche qui c’è un’élite filo-occidentale che sta perdendo il controllo del territorio, è messa al muro, e allo stesso tempo comincia a cercare una via d’uscita.

In un momento di crisi, la verità si rivela come un fulmine a ciel sereno. Gli eventi della scorsa settimana, e in particolare il crescente coinvolgimento dell’amministrazione Biden nella crisi politica in Israele, evidenziano la nostra situazione attuale. Come l’Afghanistan di Hamid Karzai e Ashraf Ghani, la facciata della democrazia liberale in Israele viene mantenuta grazie agli stretti legami con l’istitutivo statunitense. Ma sotto l’influenza dei gruppi fondamentalisti religiosi nella società, Israele ora minaccia di isolarsi dall’Occidente. Certo, la destra israeliana è anche collegata in rete con gli Stati Uniti e finanziata con denaro statunitense; Ma è legata a un’altra America, che oggi è di per se ostile al progetto occidentale. Questa è un’America cospiratrice, caotica, religiosa e putinista.

Nel frattempo, gli investitori americani ed europei che guidano l’economia tecnologica israeliana cominciano a schiarirsi le idee e a fare i conti. Abbiamo sempre spiegato loro che Israele è più che cammelli ed estremismo religioso, ma improvvisamente non sono più veramente convinti di questo. E in un modo o nell’altro, è questo capitale globale che sostiene la maggior parte di noi. Nel momento in cui le nostre linee di credito verso l’Occidente saranno chiuse, diventerà chiaro che Israele è solo un altro arido Paese del Medio Oriente con alcuni luoghi santi. Con il dovuto rispetto per i pomodorini e le start-up, c’è bisogno anche di qualcuno che li compri, e quel qualcuno non è in Medio Oriente.

A una manifestazione alla Knesset (Parlamento) hanno gridato: “Yariv Levin, questa non è la Polonia”. Ma mentre urlavamo, molti si sentivano già il passaporto polacco in tasca. Non ho il passaporto straniero, ma non mi illudo: esisto solo grazie al denaro europeo. Posso testimoniare di persona che per un decennio e mezzo ho effettivamente vissuto grazie a fonti di finanziamento europee o americane: investitori tedeschi, fondazioni olandesi, istituzioni accademiche di New York. Solo questi in qualche modo hanno interesse a sostenere qualcuno come me. Non è solo una questione di soldi: il nostro orientamento è occidentale, le fonti di influenza sono occidentali e la nostra visione è occidentale.

Vivere come al tempo delle capitolazioni ottomane

Le persone di origine europea che vivono in Israele non sono realmente in grado di mettere radici in questo luogo e assimilarsi alla popolazione mediorientale. Può non essere piacevole pensare a noi stessi in questo modo, ma questa è la verità: proprio come nell’impero ottomano del 19º secolo, esistiamo grazie alle potenze occidentali che esercitano la loro influenza come facevano nei trattati di capitolazione di quei giorni. Potrebbe essere stato un errore storico fare affidamento su questo potere, ed è tutt’altro che certo che ci fosse un’altra opzione, e in ogni caso è troppo tardi per correggerlo ora. Al momento attuale, non ha senso essere moralisti e parlare sentimentalmente di integrazione nella regione, che a sua volta è spesso finanziata da fondi tedeschi. Stancano anche le discussioni sul rafforzamento dell’identità ebraica della sinistra. Questo è simile a qualcuno che ha perso l’ultimo treno, e ancora insiste ad aspettare alla stazione.

La battaglia non è persa: le forze statunitensi-occidentali che sostenteranno Israele per decenni hanno investito qui un bel po’ di capitali e prestigio. Non rinunceranno così facilmente alla loro presa su questo pezzo di terra. L’affinità degli ebrei americani e dei luoghi santi della cristianità ci salva anche dal destino di essere solo un altro Paese mediorientale intollerante e oppressivo. Se Netanyahu persiste con i suoi eccessi, gli americani gli ricorderanno con più forza chi è il vero padrone di casa. Tuttavia, come in Afghanistan, potrebbe venire il momento in cui i proprietari terrieri decideranno di ridurre le perdite. C’è un limite a per quanto tempo si può evitare il problema.

Cosa fare nel frattempo? Dobbiamo continuare a combattere, ma anche ricordare da dove veniamo. Come i nostri antenati ebrei di tutte le generazioni, dipendiamo dalle potenze imperiali. Siamo principalmente integrati nelle nostre reti globali. Non c’è vergogna nell’essere mobili: è ciò che ci distingue dagli alberi. Anche coloro che rimangono qui fisicamente farebbero bene a stringere la presa sulla liquidità globale. E a un certo punto, quando la casa è in fiamme, dovremo metterci tutti in salvo.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org