Fonte: Gad Lerner – Il Fatto Quotidiano
In passato, per neutralizzare i potenziali responsabili di attentati, i militari facevano ricorso ad azioni mirate, solitamente notturne. Stavolta, invece, come già il mese scorso a Jenin, il nuovo governo di estrema destra ha scelto di sparare all’impazzata mettendo nel conto un alto numero di vittime.
Un calcolo cinico, mirante a provocare da parte dei palestinesi ritorsioni altrettanto sanguinose e a sospingerli verso una terza intifada dall’esito tragico e fallimentare. Lo scopo di questa strategia irresponsabile è fin troppo chiaro: ricompattare la società israeliana nell’urgenza dell’autodifesa. Netanyahu e i suoi alleati suprematisti non si aspettavano che la loro riforma della giustizia, tesa a limitare i poteri della Corte Suprema, suscitasse in risposta una vera e propria sollevazione popolare, per giunta appoggiata da settori importanti dell’establishment. Bibi ha bisogno innanzitutto di sottrarsi ai processi che potrebbero determinarne l’impeachment. Ma per ottenere ciò non può fare a meno dei suoi partner che puntano all’annessione dei territori occupati e a trasformare in leggi dello Stato le normative oscurantiste degli ultraortodossi. Per questo oggi molti israeliani denunciano apertamente il pericolo di una svolta autoritaria.
Per quanto sia spiacevole a dirsi, dobbiamo chiamare le cose con il loro nome: anche in Israele fascismo chiama guerra. La vittoria elettorale di forze che si richiamano esplicitamente a un “potere ebraico”, tuttora minoritarie ma ormai bene insediate nei posti di comando, è il primo passo di un progetto che per consolidarsi ha bisogno di portare la tensione alle stelle.