Reem Hazzan è stata invitata a parlare a una manifestazione anti-Netanyahu ad Haifa, ma ha rifiutato dopo che gli organizzatori hanno censurato il suo discorso. La sua esperienza mostra perché l’attuale movimento di protesta sta alienando i palestinesi.
Fonte: English version
Di Yoav Haifawi – 8 marzo 2023
Immagine di copertina: Reem Hazzan con in mano un megafono durante una protesta ad Haifa. (Foto: Hadash – Fronte Democratico per la Pace e l’Uguaglianza – Haifa)
Le attuali proteste in Israele che si stanno svolgendo in tutto il Paese stanno contrapponendo il nuovo governo di estrema destra israeliano contro i sostenitori sventolanti la bandiera israeliana del precedente “rispettabile” governo di destra. Un meme che circola su questo conflitto interno presenta utili istruzioni per la partecipazione a “una guerra civile” come se fosse un evento sportivo e infine aggiunge: “Gli arabi gareggeranno contro il vincitore”.
I palestinesi, sia quelli che sono riusciti a rimanere nelle loro terre o nelle vicinanze dopo la Nakba del 1948 (un quarto dei quali sono “sfollati interni”) sia quelli che vivono sotto diretta occupazione militare o sotto assedio in Cisgiordania e a Gaza, sono gli “eterni esclusi” dalla “Democrazia Ebraica” di Israele. Il governo precedente, sotto Naftali Bennett e Yair Lapid e il loro “Blocco del Cambiamento”, ha cercato di dimostrare le sue credenziali sioniste essendo più duro dei suoi predecessori contro i palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde: uccidendo più persone, intensificando le incursioni notturne nelle città e villaggi palestinesi, aumentando il numero di detenzioni amministrative, conducendo campagne di demolizione di case e pulizia etnica. Ora, il nuovo governo Netanyahu ha fretta di dimostrare che può essere ancora più oppressivo e brutale su tutti i fronti.
Sulla base di queste dolorose esperienze, pochi palestinesi sentono il bisogno di unirsi alla campagna dell’attuale opposizione sionista per salvare la “democrazia di Israele”.
Al centro della campagna di protesta c’è la difesa dell’indipendenza della Corte Suprema di Israele. I palestinesi conoscono questa Corte soprattutto per il suo ruolo nel conferire legittimità formale a tutti i crimini contro di loro negli ultimi 75 anni. Sotto il governo precedente, questa Corte ha approvato il più drastico piano governativo per la pulizia etnica a Masafer Yatta, nel Sud della Cisgiordania. E, proprio questo mese, questa Corte ha emesso un altro decreto cercando di spingere il governo a completare la pulizia etnica di Khan al-Ahmar, a Est di Gerusalemme, su richiesta di un’associazione militante di coloni.
La scorsa settimana la Campagna per Uno Stato Democratico (One Democratic State Campaign) ha pubblicato una dichiarazione, invitando i palestinesi e i loro sostenitori ebrei a non unirsi al movimento di protesta sionista volto a preservare l’ingannevole “rispettabilità” della “democrazia ebraica”. Oggi voglio approfondire più in dettaglio gli sforzi di quei palestinesi ed ebrei di sinistra che stanno cercando di influenzare il movimento dall’interno.
Da un lato, gli organizzatori della protesta chiaramente non vogliono alcuna partecipazione araba significativa. Mentre parlano di “democrazia”, evitano di menzionare in alcun modo la sistematica oppressione e discriminazione contro i palestinesi ovunque si trovino. L’unica volta che alcuni di loro rivolgono improvvisamente gli occhi ai palestinesi con cittadinanza israeliana, noti anche come palestinesi del ’48, è per accusarli di non aver partecipato alla loro protesta e per rilanciare la campagna di odio contro i rappresentanti dei partiti arabi alla Knesset, a cui attribuiscono il fallimento del governo precedente.
Durante le ultime campagne elettorali israeliane, molte ONG ben finanziate hanno lavorato per convincere i palestinesi del ’48 a partecipare alle elezioni, sostenendo che non è importante per chi si vota, ma è fondamentale partecipare. Ora, alcune delle stesse forze stanno lavorando per imporre una simile “israelizzazione” delle masse arabo-palestinesi chiedendo la loro partecipazione al movimento di protesta. Tuttavia, con gli attuali slogan del movimento di protesta, questo è un compito difficile.
Abbiamo assistito qui, ad Haifa, allo sfortunato caso di uno dei principali attivisti palestinesi che cercava di mobilitare tale partecipazione. Si è ritrovato a distribuire un videomessaggio della cantante israeliana Aya Korem, che chiedeva la difesa dei tribunali israeliani. È stato un profondo imbarazzo, poiché nel video, Korem spiega che è solo la rispettabilità internazionale dei tribunali israeliani che consente ai soldati che commettono crimini di guerra, come l’uccisione della giornalista Shireen Abu-Akleh, di evitare di essere incriminati presso il Tribunale Penale Internazionale.
Allo stesso modo, il Generale Benny Gantz, uno dei leader dell’opposizione, la cui campagna elettorale si è basata sul suo “primato” di uccisione di migliaia di palestinesi a Gaza nel 2014, lo ha spiegato in un discorso alla protesta settimanale di Haifa il 25 febbraio 2023: “Per decenni, ho protetto Israele. E mentre proteggevo Israele, la Corte mi proteggeva”.
Gli organizzatori della protesta locale di Haifa, un gruppo chiamato “protesta popolare”, sono orgogliosi del loro “approccio inclusivo” di essere l’unica parte del movimento di protesta ad aver invitato ogni settimana un oratore arabo alla principale manifestazione del sabato sera. Ma il 18 febbraio, la relatrice araba designata, Reem Hazzan, non ha fatto il suo intervento. Fu presto condiviso sui social media e successivamente pubblicato su Haaretz che gli organizzatori non erano d’accordo sul contenuto del discorso che intendeva pronunciare.
Reem Hazzan ha acconsentito alla mia richiesta di concedere un’intervista per spiegare l’accaduto. Mi ha anche dato il testo del suo discorso previsto e una lettera che ha scritto ad altri attivisti subito dopo essere stata censurata.
Prima di introdurre le sue parole, devo esporre alcuni retroscena. Innanzitutto, nell’invito alla manifestazione del 18 febbraio, il cognome di Reem era scritto in modo errato. Questo è un episodio quasi inevitabile ogni volta che un arabo palestinese viene “incluso” nella sfera israeliana. Hazzan è stata descritta nell’invito come “attivista politica e femminista”. Questo è certamente vero. Inoltre, è segretaria della Sezione e del Comitato Distrettuale di Haifa del Partito Comunista di Israele.
In alcuni Paesi occidentali essere un “comunista” potrebbe sembrare essere di estrema sinistra. Tuttavia, nella politica palestinese locale, il Partito Comunista è considerato la forza politica più moderata (escludendo alcune formazioni politiche opportunistiche prive di principi) e mantiene il partenariato arabo-ebraico al centro della sua ideologia e pratica, anche quando la la realtà politica non mostra molta fattibilità a questo approccio. Nell’attuale movimento di protesta, il Partito Comunista si è impegnato attraverso coalizioni più ampie di attivisti democratici (per lo più ebrei). Ad Haifa la principale formazione di questo tipo è “il blocco contro l’occupazione”, che forma un gruppo distinto all’interno della protesta, lanciando slogan contro l’occupazione del 1967 e per “democrazia e uguaglianza per tutti”.
Hazzan mi ha raccontato di come, con l’avvicinarsi della manifestazione del 18 febbraio, abbia ricevuto molte telefonate dagli organizzatori, che le chiedevano di presentare in anticipo il testo scritto del suo discorso previsto. Sentiva che erano molto preoccupati per quello che avrebbe potuto dire, ma affermavano che si trattava di una prassi procedurale comune, poiché volevano assicurarsi, ad esempio, che il discorso non fosse troppo lungo. Ha assicurato loro che il suo programma di testo aveva una funzione di conteggio delle parole e che poteva promettere di limitarsi alle 350 parole consentite. Hanno detto che tutti gli oratori stavano presentando i loro discorsi in anticipo, ma lei ha verificato e ha scoperto che non era esattamente così.
Sabato ha presentato il testo quasi finito. Anche se inizialmente gli organizzatori hanno detto che chiederle di condividere il suo testo era solo un “tecnicismo”, presto sono tornati da lei con lamentele sul contenuto. Hanno detto che era “cupo” e “pessimista” e non aveva fatto abbastanza per mobilitare il pubblico arabo a partecipare alle manifestazioni. Di fatto, aveva riflettuto profondamente su cosa si potesse fare per convincere il pubblico arabo, e il suo testo aveva lo scopo di condividere le sue conclusioni con i manifestanti.
Nel discorso ha spiegato:
“Esiste una connessione diretta tra il rifiuto della pace da parte di Israele, l’intensificarsi dell’occupazione, lo smantellamento dello Stato Sociale e i danni ai lavoratori, la distruzione della democrazia e la deriva autocratica. L’opinione pubblica araba e le classi inferiori si sentiranno unite nella protesta quando questa protesta agirà non solo per fermare gli attacchi contro le fondamenta liberali del regime israeliano, per mantenere “l’ordinaria amministrazione”. Ci sentiremo uniti, e saremo insieme nella lotta, quando l’obiettivo sarà cambiare le politiche di razzismo e discriminazione, e stabilire un nuovo patto sociale basato sulla ricerca della pace e dell’uguaglianza. Quando la lotta per la democrazia mirerà alla vera democrazia: non democrazia solo per gli ebrei, ma democrazia per tutti”.
E infine, ha cercato di concludere con un tono ottimista: “Avete bisogno di noi. Abbiamo tutti bisogno l’un l’altro. Questo è il senso della solidarietà. Solo insieme vinceremo. Haifa guiderà il cambiamento: il potere è nelle nostre mani!”
Queste esortazioni piuttosto basilari per la pace e l’uguaglianza erano, a quanto pare, al di là di ciò che “al portavoce arabo” è permesso pronunciare alla manifestazione “più inclusiva” di Haifa per la “democrazia”. Hazzan mi ha detto che ha cercato di modificare il suo discorso e aggiungere un po’ più di positività e ottimismo, ma a quel punto gli organizzatori avevano chiarito le loro priorità. Le è stato detto di presentare un testo modificato, altrimenti non le sarebbe stato permesso di parlare. Di fronte a questo ultimatum, ha sentito che l’intero processo era sbagliato. Gli organizzatori parlavano con lei, rappresentante del pubblico arabo, da una posizione di potere. Hanno replicato all’interno del movimento di protesta gli stessi atteggiamenti antidemocratici che caratterizzano lo Stato israeliano. Ha consultato i suoi compagni e ha deciso di non presentare alcun nuovo testo. Quella notte non c’era nessuno che parlasse arabo alla manifestazione di Haifa.
In una lettera aperta agli attivisti democratici, diffusa la stessa notte, Hazzan ha spiegato la sua posizione:
“Abbiamo la responsabilità di stimolare la discussione su cosa sia una lotta democratica e su come costruire l’unità nella lotta. La sinistra e la comunità araba non dovrebbero permettere ad altri di usarli come strumento. Abbiamo la responsabilità di spiegare e gridare che non c’è democrazia senza uguaglianza, nessuna democrazia con occupazione e nessuna democrazia senza la partecipazione della comunità araba palestinese. Il mio discorso potrebbe essere da correggere agli occhi di alcuni e inappropriato agli occhi di altri. In ogni caso, censurare le opinioni politiche significa preservare l’autocrazia, non combatterla. È difficile essere alleati in un tale sistema progettato per preservare l’equilibrio del potere. Dobbiamo pensare insieme a una vera alternativa alla lotta per la democrazia e alla fine dell’occupazione”.
Mentre stavo scrivendo questo rapporto sabato 4 marzo, ho scoperto che il “portavoce arabo” della manifestazione di Haifa quella notte era un Tenente Colonnello di riserva nell’esercito israeliano. Sono abbastanza sicura che questa volta gli organizzatori non fossero così preoccupati di sapere anticipatamente ciò che avrebbe detto.
Yoav Haifawi è un attivista anti-sionista e autore dei blog Free Haifa e Free Haifa Extra.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org