L’estrema destra ebraica da quasi 80 anni chiama i palestinesi ‘nazisti’, facendoli passare per nemici irredimibili in una guerra eterna.
Fonte: English version
Di Natasha Roth-Rowland – 20 aprile 2023
Immagine di copertina: Attivisti israeliani di estrema destra del movimento Im Tirzu dell’Università di Tel Aviv espongono un libro che mostra il leader palestinese Amin al-Husseini con una svastica, durante una protesta contro la cerimonia annuale della Nakba, 11 maggio 2014. (Tomer Neuberg/Flash90)
Yom HaShoah, o Giorno della Memoria dell’Olocausto, è un’occasione solenne in Israele e in tutta la diaspora ebraica. Si tengono cerimonie commemorative, spesso partecipate dai sopravvissuti; le testimonianze sugli orrori del regime nazista sono diffuse sui social media e sulla stampa; e, in Israele, una sirena antiaerea suona per due minuti, fermando gran parte del Paese.
L’occasione però è anche un’opportunità per gli hasbaristi di condividere una delle loro calunnie preferite e più ripugnanti: che il popolo palestinese sia, in realtà, nazista.
La fandonia dei palestinesi come nazionalsocialisti non compare solo durante il Giorno della Memoria dell’Olocausto, sebbene sia probabilmente l’occasione più propizia in cui dispiegarla. È una affermazione che è stata elevata allo status di luogo comune Hasbara, volto a tentate di giustificare moralmente e preventivamente qualsiasi brutalità che Israele compie sui palestinesi, implicando che essenzialmente se la sono cercata.
Questa macchia assume numerose forme. Una versione è quella che chiamerò la versione modernista, come recentemente offerta dal Ministro della Diaspora israeliano di estrema destra Amichai Chikli, che ha definito l’Autorità Palestinese un’organizzazione “neo-nazista” che è “l’entità più antisemita sulla terra”, commenti che suonano fuori luogo a chiunque abbia una vaga familiarità con la genealogia del neonazismo.
Una forma più comune è l’interpretazione revisionista, resa popolare dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu diversi anni fa: l’insistenza sul fatto che Amin al-Husseini, il Gran Mufti di Gerusalemme durante il Mandato Britannico e la guerra del 1948, rappresentasse il sentimento della totalità dei palestinesi durante i suoi calorosi incontri con Adolf Hitler, e che era stato lui a dare al Führer l’idea della Soluzione Finale. Husseini aveva effettivamente professato il suo sostegno a Hitler; come fecero alcuni gruppi nazionalisti arabi e persino un certo numero di ebrei di estrema destra attivi in Palestina all’epoca, il Mufti vedeva la potenziale collaborazione nazista come un mezzo per raggiungere i suoi obiettivi politici anti-britannici. Eppure, non c’era consenso filo-nazista tra i palestinesi o il più ampio mondo arabo.
La rappresentazione dei palestinesi come nazisti ha una lunga storia, e tali paragoni sono stati fatti fin dall’immediato dopoguerra del secondo conflitto mondiale, se non prima. L’11 settembre 1945, ad esempio, la Nuova Organizzazione Sionista d’America (New Zionist Organization of America) di destra, un gruppo revisionista allora guidato da Benzion Netanyahu, padre dell’attuale Primo Ministro israeliano, pubblicò un annuncio sul New York Post che si riferiva ai palestinesi come “nazisti orientali”.
Non molto tempo dopo, un membro di un gruppo di giovani sionisti di estrema destra negli Stati Uniti affermò che il Gran Mufti al-Husseini era stato “recentemente dimostrato responsabile del piano per lo sterminio degli ebrei europei”, la stesso grossolano travisamento sbandierato da Netanyahu nel 2015.
Questo linguaggio era tipico dei proclami dell’estrema destra sionista all’epoca. Con gli orrori dell’Olocausto ancora freschi, gran parte della campagna per uno Stato ebraico si basava sull’invocazione di tali paragoni e sulla presentazione di qualsiasi ostacolo alla statualità come prolungamento di un comprovato continuum di annientamento; anche gli inglesi, che allora controllavano la Palestina, furono accusati di nazismo.
Né erano solo i presunti nemici del sionismo ad essere descritti in questi termini: il grande progetto sionista era descritto come una scelta tra Stato ed estinzione. In un tipico esempio, Nathan Friedman-Yellin (in seguito Yellin-Mor), uno dei leader del gruppo terrorista ebraico clandestino Lehi, firmò una lettera ai sostenitori americani dell’organizzazione con le parole: “Come ebrei, sta a noi decidere se incontrarci all’ingresso delle camere a gas o in una grande e libera Patria”.
La destra ebraica ha applicato l’etichetta di “nazista” ad altre minacce percepite nei confronti di Israele nel corso dei decenni: il Presidente egiziano Gamal Abdel Nasser è stato considerato un “nuovo Hitler” negli anni ’50, per esempio, e Netanyahu ha spesso paragonato il regime islamico iraniano ai nazisti. Tuttavia, mentre questi parallelismi sono sempre inutili e astorici, solo nel caso palestinese vengono applicati a un gruppo che Israele, negli ultimi 70 anni e più, ha sistematicamente espulso, incarcerato e segregato.
Ci sono numerose ragioni per questa persistente assimilazione dei palestinesi ai fascisti genocidi responsabili dello sterminio degli ebrei europei. Il più banale di questi è che si tratta di una pratica iniziata negli anni ’40 e ’50 e mai scomparsa. È anche un modo per giocare sulla colpa storica di una comunità internazionale che non ha fatto abbastanza per fermare i nazisti; una minaccia simile sta sorgendo ancora una volta e questa volta non si può dire che non lo si sapeva.
Ma la funzione più ampia e più pericolosa della calunnia è nella libertà che intende concedere a Israele nei suoi abusi, contribuendo così al progetto più ampio di oscurare le cause profonde della violenza in Israele-Palestina. Descrivere le proprie vittime usando la scorciatoia riconosciuta a livello internazionale per puro male rende l’orribile questione della colonizzazione e dell’occupazione non solo ammissibile, ma un imperativo morale. Sotto questa pretesa, sfollamenti forzati, incarcerazioni di massa, uccisioni extragiudiziali e demolizioni di case non sono crimini di guerra o violazioni dei diritti umani, ma piuttosto strumenti necessari in una disperata lotta esistenziale contro un nemico irredimibile.
Inoltre, definendo i palestinesi gli eredi dell’antisemitismo annientatore, Netanyahu, Chikli e il resto del loro coro hasbarista stanno spargendo i semi della guerra eterna; il vero male, dopotutto, non può mai essere completamente distrutto. Stanno anche inquadrando qualsiasi opposizione a quella guerra (ad esempio chiedendo diritti nazionali, umani o civili per i palestinesi) come un attacco agli ebrei, nel migliore dei casi un segno di sconsiderata ignoranza, e nel peggiore una prova di accanito “odio per gli ebrei”. Se si sta cercando giustizia e riscatto per i nazisti, secondo questo ragionamento, allora non ci può essere altra spiegazione se non che si è antisemiti, che si voglia ammetterlo o meno.
Il fatto che tali confronti siano una profanazione della memoria collettiva ebraica evidentemente poco importa a coloro che li impiegano, non da ultimo quando lo fanno poiché molti di noi si prendono il tempo per piangere la devastazione operata sui nostri antenati dagli attuali nazisti. Il potere retorico nell’invocare il trauma storico ebraico per giustificare l’ingiustificabile è troppo prezioso, e quel meccanismo troppo radicato, perché i politici israeliani e altri membri dell’estrema destra ebraica se ne allontanino. Il fatto che ci siano fascisti che camminano nei corridoi della Knesset (Parlamento), alcuni dei quali nutrono le proprie fantasie eliminazioniste, è un ulteriore sfregio a questa memoria, nonostante le loro affermazioni di agire per difenderla.
Alla fine, quando le cause e l’eredità dell’Olocausto vengono distorti, come lo sono costantemente dal governo israeliano e dall’estrema destra ebraica, tutti perdono. Ma il premio di un mandato unilaterale per opprimere e terrorizzare i palestinesi è, a quanto pare, troppo grande per rinunciarvi.
Natasha Roth-Rowland è editrice e scrittrice presso +972 Magazine. Ha conseguito un dottorato di ricerca in storia presso l’Università della Virginia e ha scritto la sua tesi sulla storia dell’estrema destra ebraica in Israele-Palestina e negli Stati Uniti. Natasha ha precedentemente trascorso diversi anni come scrittrice, editrice e traduttrice in Israele e Palestina e ora vive a New York.
Traduzione di Beniamino Rocchetto -Invictapalestina.org