Il nuovo libro di Abba A. Solomon, “Miasma of Unity: Jews and Israel” (Miasma di Unità: Ebrei e Israele), racconta la ricerca di un’identità ebraica non indissolubilmente legata all’Apartheid israeliano.
Fonte: English version
Di Jonathan Ofir – 12 giugno 2023
Immagine di copertina: Studenti che protestano fuori dalla sala da ballo Ziegfeld a New York City, 15 aprile 2018. I manifestanti tengono un grande striscione con la scritta: “Giovani Ebrei #returnthebirthright” (ritorno come diritto di nascita).
In questi tempi, in cui il governo israeliano sta spiegando le sue vele e i suoi colori fascisti, non sembra esserci una vera alternativa democratica nello spettro sionista, e la valutazione nella comunità dei diritti umani è che Israele è uno Stato di Apartheid, molti ebrei in tutto il mondo stanno mettendo in discussione il loro rapporto con Israele e si chiedono se debba essere davvero così, sionismo o fallimento. Arrivando in questo momento cruciale, il nuovo libro di Abba A. Solomon, The Miasma of Unity: Jews and Israel, offre una visione per un’altra forma di ebraicità, una non indissolubilmente legata all’Apartheid, ma sostenuta da ideali di dignità, equità, libertà e umanità.
Il libro di Salomon è una raccolta di trentasei capitoli che sono saggi e articoli dell’ultimo decennio, tutti già apparsi in varie pubblicazioni, la maggior parte delle quali su questo sito (ho avuto l’onore di scrivere l’introduzione al libro). Concentra la sua analisi sugli Stati Uniti, dove la giovane generazione è molto più aperta ad accettare la valutazione secondo cui Israele è uno Stato di Apartheid. Un recente sondaggio mostra che mentre il 25% degli ebrei nel complesso crede che Israele pratichi l’Apartheid, tra quelli sotto i quarant’anni, il tasso sale al 38%. Questa non è solo una ribellione generazionale passeggera contro Israele: c’è un cambiamento sismico nel modo in cui viene visto Israele, e questo inevitabilmente significa un cambiamento nel modo in cui viene visto il sionismo. David Ben-Gurion si riferiva a quegli ebrei che non si erano uniti al progetto sionista come “pulviscolo umano”. Molti ebrei si chiedono se sono più che polvere e se Israele e il sionismo debbano essere il loro credo di dignità. Il sionismo ha detto loro che non possono pensare fuori dall’ideologia sionista, e quando quell’ideologia porta solo all’Apartheid, naturalmente vogliono uscirne. The Miasma of Unity di Solomon affronta e spiega questo importante cambiamento.
Il titolo di Solomon si riferisce alle parole pronunciate dal membro del Comitato Ebraico Americano Maurice B. Hexter nel 1946, che usò le precise parole: “miasma dell’unità ebraica” nel tentativo di confutare l’ipotesi che le organizzazioni ebraiche al di fuori della Palestina dovessero sottomettersi a un risoluto sostegno per lo Stato-Nazione Ebraico in Palestina, l’obiettivo del movimento sionista. Questa idea dell’Unità ebraica è centrale nel progetto sionista. Sentiamo parlare del “solo e unico Stato Ebraico” quando le organizzazioni di lobby israeliane cercano di difenderlo dalla condanna. Joe Biden ha spesso raccontato la storia del suo incontro con Golda Meir nel 1973 e di come lei gli abbia parlato dell'”arma segreta” di Israele, ovvero che: “Non abbiamo altro posto dove andare”. Vale a dire, poiché è l’unico posto, dobbiamo essere tutti uniti nel sostenere la sua esistenza, per così dire, perché non farlo equivale all’annientamento degli ebrei. La linea sionista suggerisce di mettere da parte i disaccordi perché si tratta di vita o morte, non c’è tempo per le sciocchezze.
Ma questo è un mito. Naturalmente, gli ebrei vivono altrove: la maggior parte di loro non vive in Israele, e circa tanti quanti vivono in Israele vivono negli Stati Uniti (circa 7 milioni). Allora come si può dire che gli ebrei non hanno altro posto dove andare? E in che modo le comunità ebraiche di tutto il mondo si relazionerebbero a questa difesa, di una rappresentazione comune degli ebrei, mentre la loro stessa esistenza al di fuori di quella comune contraddice l’argomento? Questo tema è stato trattato anche nel precedente libro di Solomon; The Speech, and Its Context: Jacob Blaustein’s Speech the Meaning of Palestine Partition to American Jews Dato al Baltimore Chapter (Il Dibattito e il suo Contesto: Il Discorso di Jacob Blaustein sul Significato della Partizione della Palestina agli Ebrei Americani, al Comitato Ebraico Americano, 15 febbraio 1948, ed è rivisitato in molti dei capitoli dell’attuale libro di Solomon.
Il messaggio del libro di Salomon è che le cose non dovevano andare in questo modo, ma che il sionismo ha preso il sopravvento e ha dominato la vita ebraica nella presunta “diaspora” e ha reso gli ebrei che si sentivano a casa negli Stati Uniti e altrove legati da un senso di appartenenza, di fatto, una sorta di obbligo, dove diventano implicitamente stranieri nel proprio Paese, e dove la messa in discussione delle politiche fondamentali dell’autoproclamato Stato Ebraico (certamente la sua ragion d’essere) diventa sinonimo di odio per gli ebrei, di se stessi, o quello che è noto come antisemitismo.
È naturale che Salomon dia voce a quegli ebrei altrove che erano preoccupati per ogni tentativo di nazionalizzare gli ebrei, come nel caso del ministro ebreo britannico Edwin Montagu che nel 1917 criticò pesantemente il suo governo per la Dichiarazione Balfour. Montagu ha affermato che: “Il sionismo mi è sempre sembrato un credo politico malizioso”, e che: “Non esiste una nazione ebraica”:
“I membri della mia famiglia, per esempio, che sono stati in questo
Paese per generazioni, non hanno alcuna sorta o tipo di comunanza di vedute o di desideri con nessuna famiglia ebrea in qualsiasi altro Paese al di là del fatto che professano in maggiore o minore misura la stessa religione. Dire che un ebreo inglese e un ebreo mediorientale sono della stessa nazione non è più vero di quanto è dire che un cristiano inglese e un cristiano francese sono della stessa nazione: della stessa razza, forse, riconducibile attraverso secoli di storia di una razza particolarmente adattabile”.
Montagu ha detto che “quando agli ebrei viene detto che la Palestina è la loro Patria, ogni Paese desidererà immediatamente sbarazzarsi dei suoi cittadini ebrei, e ci sarà una popolazione in Palestina che scaccia i suoi attuali abitanti”. Mentre l’eliminazione dei cittadini ebrei non è avvenuta, ce stata sicuramente l’espulsione degli abitanti palestinesi, e ancora continua[*]. Le comunità ebraiche di tutto il mondo stanno gestendo un atto di equilibrio nel sostenere il sionismo con il suo principio intrinseco di ridurre la presenza palestinese assicurando al tempo stesso la loro posizione di liberali.
Il modello liberal-sionista che J Street rappresenta nella politica statunitense è quindi anche quello che riceve una analisi critica da parte di Solomon, definisce l’insistenza di J Street sulla “Patria democratica ed ebraica”, come l’hanno definita, una contraddizione, che anche i progressisti come come Bernie Sanders accettano come verità. Salomon riassume:
“Ora, ci si aspetta che un politico americano sia affermativamente “pro-Israele” se vogliono dimostrare il loro filosemitismo agli elettori e ai donatori ebrei, e la ragion d’essere di J Street è che i suoi consigli vengano accettati come ragionevolmente convenzionali”.
Solomon esplora non solo le realtà emerse da questa alleanza, in particolare tra Stati Uniti e Israele, ma anche quali modelli alternativi di identità ebraica potrebbero essere possibili. L’antisionismo dice qualcosa su ciò che non si è ma non trasmette un’appartenenza positiva. Tale appartenenza può essere vista in precedenti modelli di esistenza ebraica, come quello del Bund (Lega) socialista, o più ufficialmente il Bund generale del lavoro ebraico in Lituania, Polonia e Russia, un’organizzazione diffusa
fino al suo effettivo sradicamento durante la Seconda Guerra Mondiale, dopo quasi mezzo secolo di esistenza. Il motto di quell’organizzazione era “Doykeit” in yiddish, che significa “Qui”, sotto l’idea e lo slogan di “Dove viviamo, lì è il nostro Paese!” Questo modello di pensiero sta prevedibilmente prendendo piede in questi tempi, e Solomon documenta un paio di raduni in corso a New York che stanno facendo rivivere i principi bundisti.
Solomon va a ritroso di un decennio in un ordine cronologico che si muove all’indietro, anno dopo anno. La sua analisi dell’attualità ricorda al lettore ciò che accadeva qualche anno fa, ma le riflessioni di Solomon spesso vanno indietro di diversi decenni, come nel caso del Bund sopra citato, per fornire un ampio raggio di riflessione che va al di là delle semplici notizie attuali. Mentre il lettore viene riportato indietro nel tempo, il decennio finisce per sembrare piuttosto breve, come se, in realtà, non fosse successo molto. In effetti, la sensazione è che da quando Israele è stato istituito e quasi tutti gli ebrei si sono allineati al sionismo, abbiamo assistito alla stessa storia più e più volte. In questo senso, i capitoli di Solomon ci dicono, in tanti modi, che siamo ancora bloccati in quel miasma di unità ebraica, mentre i palestinesi sono lì a pagarne il prezzo: ancora oppressi sotto l’Apartheid Israeliano che è parte integrante della storia sionista.
[*] Un caso storico estremo merita di essere menzionato a questo proposito, riguardante il caso nazista, non solo il Genocidio degli ebrei, ma anche la collaborazione sionista con i nazisti incarnata nell’accordo di trasferimento, attivo tra il 1933-39. L’accordo sionista-nazista era un mezzo per sbarazzarsi degli ebrei inviandoli in Palestina. La fase genocida dello sterminio è avvenuta più tardi, negli anni della Seconda Guerra Mondiale, quindi il caso nazista dimostra “l’eliminazione dei cittadini ebrei” in vari modi. Va ricordato anche un metodo aggiuntivo ai due citati: le leggi di Norimberga del 1935, che toglievano la cittadinanza a coloro che venivano definiti ebrei. L’accordo di trasferimento in particolare sembra confermare il suddetto timore di Montagu.
Jonathan Ofir è un direttore d’orchestra, musicista, scrittore e blogger israelo-danese, che scrive regolarmente per Mondoweiss.
Traduzione di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org