Sedici anni dopo l’istituzione del blocco israeliano, la politica di punizione collettiva non è riuscita a reprimere la Resistenza Palestinese nonostante l’isolamento e l’impoverimento che ha imposto agli abitanti di Gaza che vivono in una prigione a cielo aperto.
Fonte: English version
Di Jehad Abusalim – 22 giugno 2023
Questo giugno ricorre il 16° anniversario del blocco imposto da Israele alla Striscia di Gaza nel giugno 2007, ritenuto illegale da molti organismi internazionali tra cui le Nazioni Unite e il Comitato Internazionale della Croce Rossa.
Un’intera generazione di palestinesi, nati e cresciuti a Gaza, non ha conosciuto altra realtà che questa, scandita dal blocco, dalle ricorrenti campagne di bombardamenti israeliani e dalle restrizioni su aspetti critici della vita come i viaggi, l’assistenza sanitaria, i ricongiungimenti familiari e l’accesso ai diritti umani fondamentali.
Nonostante il blocco sia stato dichiarato una forma illegale di punizione collettiva, persiste come politica. I palestinesi di Gaza, molti dei quali sono nati dopo l’attuazione del blocco, hanno vissuto tutta la loro vita in condizioni di isolamento e impoverimento.
Da quando Israele e i suoi alleati hanno imposto il blocco nel 2007, la sua natura si è evoluta in termini di portata e intensità.
Nonostante l’intermittente allentamento del blocco in momenti come i primi anni delle rivolte arabe, o i recenti miglioramenti al valico di Rafah, il blocco rimane la struttura dominante che plasma le relazioni di Gaza con i suoi vicini, in particolare Israele.
Israele esercita il controllo sullo spazio aereo, sui corsi d’acqua, sugli attraversamenti terrestri, sugli elementi economici chiave e sul registro della popolazione di Gaza.
Dopo sedici anni di fluttuazioni nella sua gravità, sembra che il blocco sia diventato un aspetto apparentemente permanente del destino di Gaza. I responsabili politici israeliani, insieme ai vertici delle istituzioni e delle agenzie della sicurezza, sembrano mancare di qualsiasi piano sostanziale per Gaza oltre a gestire il blocco e impegnarsi in cicliche “campagne di bombardamenti”.
Agenda di guerra economica e separazione
Israele e i suoi alleati hanno usato il blocco su Gaza come strumento di “guerra economica” contro Hamas, secondo un documento del governo israeliano rivelato da Gisha, il Centro Legale per la Libertà di Movimento.
La divulgazione, ottenuta attraverso una causa che chiedeva maggiore trasparenza, ha alimentato le affermazioni secondo cui il blocco è una forma di punizione collettiva contro i palestinesi, deviando dal suo presunto scopo di misura di sicurezza.
I funzionari israeliani hanno apertamente riconosciuto la loro speranza che la severità delle restrizioni spingerà i palestinesi a costringere Hamas a rivedere la sua posizione nei confronti di Israele o a rimuovere il partito dal potere.
Dov Weisglass, ex consigliere dell’ex Primo Ministro israeliano Ehud Olmert, ha notoriamente descritto l’obiettivo nel 2006 affermando: “L’idea è di mettere a dieta i palestinesi, ma non di farli morire di fame”.
La causa ha anche portato il Coordinatore delle Attività Governative nei Territori (COGAT) a divulgare un documento del 2008 che delineava l’approccio di Israele all’attuazione del blocco. Il documento rivela il tentativo dello Stato di calcolare l’apporto calorico minimo necessario ai palestinesi per prevenire la malnutrizione, una misura formulata dal Ministero della Salute israeliano.
Ciò ha informato la decisione del governo sulla quantità di prodotti alimentari da consentire quotidianamente a Gaza e sui carichi di camion necessari per il loro trasporto. Significativamente, è emerso che l’offerta di beni ammessi a Gaza era guidata dai calcoli dell’agenzia, piuttosto che dalla domanda.
La cosiddetta “politica di separazione” di Israele rafforza ulteriormente la sua posizione separando fisicamente ed economicamente Gaza dalla Cisgiordania, interrompendo a sua volta i legami tra le due popolazioni palestinesi.
Mentre ci sono stati occasionali “piccoli allentamenti” del blocco, apparentemente per migliorare la vivibilità della Striscia, la politica più ampia rimane quella di una restrizione intenzionale.
Yisrael Katz, ex Ministro dei Trasporti, ha accennato allo scopo della politica, affermando: “Se isolassimo completamente Gaza, avremmo eliminato metà del problema palestinese”.
Pertanto, il blocco duraturo è servito a frammentare l’economia e la società palestinese, creando sottogruppi isolati con vari status legali.
Creando una divisione tra la Cisgiordania e Gaza, i funzionari israeliani mirano a ritardare l’emergere di un’entità politica palestinese unita e vitale che potrebbe sostenere un futuro Stato palestinese.
Valutare il blocco sedici anni dopo
In che modo i palestinesi, specialmente quelli di Gaza, e i loro sostenitori, vedono il blocco sedici anni dopo?
Il giornalista e attivista per la pace di Gaza Ahmed Abu Artema sostiene che gli obiettivi politici del blocco erano sottomettere Hamas e punire collettivamente il popolo palestinese. A suo avviso, il blocco non è riuscito a raggiungere questi obiettivi; invece, Hamas ha adattato e rafforzato la sua posizione.
Tuttavia, il blocco è servito come vantaggio strategico per Israele, frammentando la rappresentanza palestinese. Abu Artema dice che il blocco ha rimodellato la Striscia di Gaza in una cosiddetta “entità ostile” e ha contribuito ad aggravare lo stato di frammentazione politica palestinese.
Per Jennifer Bing, direttrice del Programma di Attivismo per la Palestina (Palestine Activism Program) presso il Comitato di Servizio degli Amici Americani di Chicago (Chicago American Friends Service Committee), non sembra affatto che ci sia un obiettivo concordato dietro il blocco.
Il blocco non è riuscito a schiacciare la Resistenza Palestinese, anche se le condizioni di vita continuano a deteriorarsi, ha spiegato Bing, sottolineando la continua Resilienza dei palestinesi e la loro determinazione a continuare la loro vita quotidiana e Resistere alla sottomissione.
Lo scrittore palestinese Ali Bari fa eco alle analisi di Abbu Artema e Bing. Ha spiegato che il blocco mirava a dimostrare ai palestinesi che le soluzioni politiche sono irraggiungibili e che scegliere Hamas come loro rappresentante è stata per loro una scelta fallimentare.
Bari ammette che il blocco ha raggiunto alcuni dei suoi obiettivi, ma ha detto che alla fine i suoi fallimenti, come l’evoluzione e l’unificazione della Resistenza Palestinese su vari fronti, rendono il blocco inefficace.
Lo scrittore e giornalista Muhammad Shehada presume che gli obiettivi del blocco fossero duplici: imporre punizioni collettive ai palestinesi a Gaza per indebolire le loro ambizioni e Resistenza, e perpetuare la politica israeliana di separazione e isolamento di Gaza dalla Cisgiordania e dai Territori della Linea Verde del 1948.
Shehada ritiene che il blocco sia riuscito a separare geograficamente Gaza dalla Cisgiordania, ma non a recidere i legami tra le fazioni armate in entrambe le regioni. Per Shehada, il blocco non è riuscito a esaurire la Resistenza armata, anche se riconosce l’impatto devastante della punizione collettiva sulla popolazione civile di Gaza.
Il blocco finirà mai?
Per Bing, una questione centrale nella previsione del futuro del blocco è il ruolo della giurisprudenza e della pressione internazionale per sfidare la politica di Israele. Tuttavia, l’attivismo palestinese sta affrontando crescenti tentativi di repressione e censura in tutto il mondo, in particolare negli Stati Uniti e in Europa.
Tuttavia, Bing ha affermato che le esperienze dirette dei palestinesi di Gaza rafforzano gli sforzi giuridici, gli appelli a una maggiore solidarietà e le richieste di libertà per gli abitanti di Gaza.
A sedici anni dal suo inizio, il blocco deve essere riconosciuto come un aspetto delle prolungate campagne israeliane di Pulizia Etnica e di cancellazione dirette contro i palestinesi. È essenziale capire che la Striscia di Gaza, come la conosciamo oggi, è un sottoprodotto della Nakba del 1948.
Questo evento cruciale trasformò la Striscia in un’enclave isolata, ora casa di una numerosa popolazione palestinese, la maggior parte della quale proviene da città e villaggi situati appena oltre il confine dell’attuale Israele.
Dal blocco di Gaza all’espansione dei coloni in Cisgiordania, un unico obiettivo guida le politiche di Israele: reprimere la ricerca palestinese della libertà e dell’autodeterminazione attraverso mezzi di violenza e cancellazione.
Indubbiamente, il blocco di Gaza è uno degli assedi più duraturi del 21° secolo, e il prezzo che ha richiesto e sta richiedendo ai palestinesi di Gaza è immenso.
Tuttavia, il clamoroso messaggio che i palestinesi hanno inviato al mondo di fronte ai sedici anni di blocco è che quando la punizione collettiva si confronta con la dignità collettiva, è quest’ultima che alla fine trionfa, indipendentemente dal costo.
Jehad Abusalim è il direttore esecutivo del Fondo di Gerusalemme per l’Istruzione e lo Sviluppo Comunitario (Jerusalem Fund for Education and Community Development) a Washington, DC.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org