Retorica e inerzia all’ONU.
Fonte:English version
Di Marya Farah – luglio 2023
La Nakba in corso, deliberatamente esercitata a Gerusalemme, ha posto la città come l’epicentro del progetto coloniale di Israele, dove i palestinesi affrontano una realtà imposta che sistematicamente li colpisce e trasforma la loro città. Parallelamente, ha evidenziato la discrepanza tra il discorso di base della comunità internazionale sull’importanza religiosa e storica della “Città Santa” e il suo fallimento nel sostenere il diritto internazionale o persino i propri obiettivi nei confronti della città. Pur non essendo il punto di partenza delle aspirazioni della comunità internazionale, la Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA) è diventata un punto di riferimento quando si discute dello status della città. La Risoluzione, approvata nel novembre 1947, chiedeva la spartizione della Palestina e l’istituzione di Gerusalemme come “corpus separatum sotto uno speciale regime internazionale amministrato dalle Nazioni Unite”. La Risoluzione definiva Gerusalemme in modo da includere l’allora municipalità e l’estensione da Shu’fat a Betlemme, come i punti più settentrionali e meridionali, ad Abu Dis e Ein Karem, rispettivamente come le aree più orientali e occidentali. Questa proposta di internazionalizzazione della città era dovuta all’influenza degli Stati cattolici presso le Nazioni Unite. Il tentativo di acquisizione di Gerusalemme, e il Piano di Spartizione in generale, non rientrava nel mandato di esecuzione dell’Assemblea Generale né era in linea con il diritto internazionale. È importante sottolineare che, sebbene alcuni Stati abbiano sollevato tali preoccupazioni e chiesto alla Corte Internazionale di Giustizia di riesaminare la questione prima del voto sulla Risoluzione, l’Assemblea Generale ha proceduto con la sua adozione.
Secondo Salim Tamarixi, un sociologo palestinese, direttore dell’Istituto di Studi Palestinesi e professore a contratto presso il Centro di Studi Arabi Contemporanei dell’Università di Georgetown: “Il fatto che la maggior parte di questi esuli interni siano ancora vivi, o abbiano discendenti viventi, rende il loro patrimonio più presente che storico”.
Poco più di un anno dopo, e in seguito al violento trasferimento di massa dei palestinesi dalle aree occidentali di Gerusalemme da parte delle forze sioniste, l’UNGA ha ribadito il suo appello affinché Gerusalemme fosse sotto l’effettivo controllo delle Nazioni Unite nella Risoluzione 194 dell’11 dicembre 1948. Sottolineò anche che ai profughi palestinesi dovrebbe essere permesso di tornare alle loro case e “che dovrebbe essere pagato un risarcimento per la proprietà di coloro che scelgono di non tornare e per la perdita o il danneggiamento della proprietà”. Un altro anno dopo, mentre Israele continuava a consolidare il suo controllo sulla parte occidentale della città, anche dichiarando Gerusalemme come sua capitale, l’UNGA adottò la Risoluzione 303 del 9 dicembre 1949, che chiedeva nuovamente l’internazionalizzazione della città.
Nel contesto più ampio di una persistente mancanza di volontà politica di sostenere il diritto internazionale, questo modello di risoluzioni delle Nazioni Unite e di impunità israeliana è continuato, e senza dubbio è servito a incoraggiare e gettare le basi per l’Occupazione israeliana della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Infatti, quasi subito dopo l’inizio dell’Occupazione, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò la Risoluzione 2253 (ES-V) del 4 luglio 1967, sottolineando che “tutte le misure prese da Israele per cambiare lo status di Gerusalemme non erano valide e dovevano essere revocate”. Ancora una volta Israele non ha rispettato la risoluzione dell’UNGA. Al posto di un’azione sostanziale da parte della comunità internazionale, il Consiglio di Sicurezza ha assunto una posizione forte e chiara su Gerusalemme attraverso la Risoluzione 252 del maggio 1968. Ha sottolineato che “tutte le misure e le azioni legislative e amministrative intraprese da Israele, inclusa l’espropriazione di terre e proprietà, che tendono a cambiare lo status legale di Gerusalemme non sono valide e non possono cambiare tale status”, e ha proseguito invitando Israele a “desistere immediatamente dall’intraprendere qualsiasi ulteriore azione che tenda a cambiare lo status di Gerusalemme”.
“L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (UN.OCHA) stima che 970 palestinesi, tra cui 424 bambini, siano a rischio di sfratto forzato a Gerusalemme Est, una pratica incompatibile con il diritto internazionale”.
Nei decenni successivi, le risoluzioni degli organismi delle Nazioni Unite hanno continuato a sottolineare l’illegalità delle azioni di Israele a Gerusalemme e in tutti i Territori Palestinesi Occupati. Inoltre, in linea con il principio di non riconoscimento, anche le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite hanno invitato gli Stati ad astenersi dall’istituire missioni diplomatiche nella città.
Nonostante oltre 75 anni di risoluzioni delle Nazioni Unite, gli Stati non sono riusciti a difendere efficacemente i diritti dei palestinesi nella città e in tutta la Palestina. Non sono riusciti a fermare o fornire una responsabilità sostanziale per la moltitudine di politiche e pratiche illegali che non solo hanno un impatto sulla vita quotidiana dei palestinesi, ma hanno anche conseguenze politiche, legali, sociali ed economiche e generazionali diffuse. Così, ad esempio, mentre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite può condannare le misure di annessione che hanno alterato la demografia e la geografia della città e dichiararle “illegittime e non valide”, rimangono oltre 14.000 palestinesi a cui è stata revocata la residenza a Gerusalemme Est dal 1967 e oltre 60.000 che sono diventati profughi dai soli dintorni di Gerusalemme durante la Nakba. Questi individui e le loro famiglie continuano ad essere sfollati dalla loro città, in attesa della determinazione dell’ormai “status finale” che, insieme alle sistematiche violazioni del diritto internazionale, sono diventate parte dello status quo.
Tuttavia, i palestinesi mantengono la sovranità giuridica su Gerusalemme e continuano a sfidare e resistere alle politiche e alle pratiche di Israele che li colpiscono e trasformano la città stessa. Mentre ribadire lo status legale di Gerusalemme attraverso le risoluzioni delle Nazioni Unite non porterà a un cambiamento, un racconto della storia delle ambizioni coloniali sia straniere che israeliane nei confronti di Gerusalemme e dell’impunità di cui hanno goduto, come descritto sia implicitamente che esplicitamente nelle varie risoluzioni, chiarisce il chiaro contesto del colonialismo e dell’Apartheid di oggi.
Marya Farah è un avvocato specializzata in diritto internazionale e difesa dei diritti umani.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org