La “democrazia” dell’Apartheid

La maggior parte delle istituzioni statali israeliane stanno rispondendo al cambiamento di orientamento dell’attuale governo di coalizione con doverosa obbedienza.

Fonte:English version

Di Lawrence Davidson – 8 agosto 2023
Il termine “democrazia” è tornato nelle notizie dal Medio Oriente. Gli americani penseranno che questo non ha nulla a che fare con gli arabi. Sanno che le notizie sulla democrazia in questa regione devono riguardare Israele perché “è l’unica democrazia in Medio Oriente”. Ebbene, ora si scopre che anche gli israeliani non sono d’accordo su cosa sia e cosa non sia una “vera” democrazia. C’è uno scontro interno al sionismo sempre più violento in corso su questa questione: due parti, due diverse pretese di sapere cosa sia la democrazia, ed entrambe le parti affermano di esserne l’unico rappresentante. Ogni schieramento urlando contro l’altro. Ma si sbagliano entrambi.

Parte I: La “destra” israeliana

La coalizione di destra al governo di Israele ha rivendicato la sua pretesa di difendere la “vera” democrazia sul principio maggioritario. Cioè, affermano di rappresentare la democrazia perché un’ampia pluralità di quegli ebrei che hanno votato alle ultime elezioni (circa il 48,3%) hanno votato per loro. Di conseguenza, una coalizione di partiti religiosi e nazionalisti ora controlla il governo. Quindi, dovrebbero essere in grado di governare come meglio credono: per loro, questa è democrazia.

Si noti che per la destra, e anche per il centrosinistra, i voti ebraici sono quelli che contano. Portare i partiti palestinesi in una coalizione israeliana al potere è sempre stato tecnicamente possibile, ma per la maggior parte degli ebrei israeliani rimane un tabù. Quello che abbiamo qui è di fatto una democrazia dell’Apartheid.

Israele non ha una Costituzione scritta, ma ha sviluppato una serie di “leggi fondamentali” che, per il momento, sono interpretate da un sistema giudiziario indipendente guidato dalla sua Corte Suprema. Sebbene i suoi giudici non siano eletti, possono, attraverso questo potere giudiziario, agire da controllo su qualsiasi governo eletto. I tribunali hanno spesso agito da ostacolo agli sforzi del governo volti a istituire il tipo di società ebraica religiosa e autoritaria che l’attuale Knesset (Parlamento) desidera. Quindi, sotto la copertura del principio del governo maggioritario, il governo israeliano mira ora alla distruzione della sua magistratura indipendente.

Naturalmente, il Primo Ministro Netanyahu lo descrive in modo più neutrale: “Il governo vuole fare un passo democratico per ripristinare l’equilibrio tra i rami istituzionali del governo”. È così che è stato detto a tutti i diplomatici israeliani di descrivere la situazione. Certo, equilibrio significa niente più controlli sull’esecutivo. Dal punto di vista maggioritario, questa è un “passo democratico”.

Parte II: la “sinistra” israeliana

La “sinistra” israeliana laica afferma di difendere la democrazia israeliana. Sta difendendo la democrazia da una minaccia interna di un governo di destra che vuole cambiare la natura stessa della società ebraica israeliana. La “riforma giudiziaria” del Primo Ministro Netanyahu (a volte chiamato “Ministro del Crimine” dalla sinistra) ha generato un movimento di protesta che negli ultimi mesi ha portato nelle strade da decine a centinaia di migliaia di ebrei israeliani di mentalità laica. Sebbene, in termini numerici, non rappresenti la maggioranza dei 7,145 milioni di cittadini ebrei del Paese, potrebbe benissimo rappresentare la prospettiva degli Ashkenaziti, israeliani di origine europea che dominano anche il settore economico, tecnologico, intellettuale e artistico della società, come alcuni dei vertici dell’esercito.

Questi manifestanti rifiutano il principio del maggioritarismo. Al contrario, la democrazia in cui la sinistra dice di credere richiede il mantenimento di una magistratura indipendente che serva da controllo sul ramo esecutivo. Suona bene, ma ancora una volta i palestinesi sono lasciati fuori dall’equazione. La maggior parte dei manifestanti non vuole una rappresentanza paritaria di tutti coloro che sono sotto l’autorità del governo israeliano più dei loro oppositori di destra o dei tribunali per quella materia. Vogliono solo una versione laicista della democrazia dell’Apartheid.

Parte III: Perché entrambe le parti si sbagliano sulla democrazia?

(1) La critica al principio maggioritario è fondata. Ecco una critica, che fa riferimento alla situazione in Israele, dell’Istituto Brookings. “In Israele, se una piccola maggioranza della sola Camera della legislatura, diciamo 64 dei 120 membri della Knesset, sostenesse un disegno di legge per limitare i diritti individuali o delle minoranze, si troverebbe di fronte a un solo vincolo formale: la Corte Suprema, che agisce come Alta Corte di Giustizia. Questo è ciò che la legislazione Netanyahu-Levin abolirebbe di fatto”. In breve, se Netanyahu ottiene quello che vuole, “la più risicata delle maggioranze potrebbe decidere qualsiasi cosa. Maggioritarismo puro e sfrenato”. Non esiste una protezione integrata dei diritti delle minoranze.

È importante notare che questa paura del maggioritarismo esiste da molto tempo. Un ottimo esempio è l’adozione iniziale di una Carta dei Diritti come emendamenti iniziali alla Costituzione degli Stati Uniti. Nel momento in cui questi emendamenti furono approvati, avevano lo scopo di proteggere i diritti dei maschi bianchi, essenzialmente una democrazia americana dell’Apartheid.

(2) I manifestanti liberali nell’odierno Israele temono che i diritti degli ebrei laici siano a rischio. Tuttavia, proprio come coloro che hanno insistito sull’originale Carta dei Diritti Americani, la maggioranza degli israeliani liberali non è interessata ai diritti dei palestinesi della cui oppressione ed esproprio sono complici. Questa indifferenza significa che anche loro non sono i sostenitori della democrazia liberale che pensano di essere. Ecco come Anshel Pfeffer pone la questione sul quotidiano israeliano Haaretz: “Se qualcuno si illude che questa meravigliosa rinascita del “campo democratico” di Israele porterà ad una valutazione più ampia nella società israeliana sull’Occupazione, rimarrà deluso. Una delle primissime decisioni strategiche prese dal comitato che coordina le proteste a favore della democrazia è stata che il percorso verso la vittoria avrebbe dovuto passare attraverso il cuore del Paese. Per raggiungere questo obiettivo, ai gruppi anti-occupazione è stato fermamente detto che le bandiere palestinesi non dovevano essere sventolate”.

Oggi sappiamo che tutti i riferimenti alla democrazia su Israele sono tragicamente sbagliati. La democrazia israeliana, non importa quale parte sionista affermi di esserne la detentrice, è una democrazia dell’Apartheid che non è altro che un distorsione della realtà. Ogni rilevante organizzazione per i diritti umani del pianeta ha riconosciuto, sulla base di prove rese pubbliche, che Israele è uno Stato di Apartheid che ha istituzionalizzato il Razzismo nelle sue leggi e politiche.

Parte IV – L’unico modo in cui il movimento di protesta può vincere

La posizione assunta dal campo liberale/laico di Israele riguardo alla partecipazione palestinese alle proteste, probabilmente contribuirà al fallimento della loro lotta contro Netanyahu. Una spiegazione plausibile di questa probabilità è fornita dal commentatore ebreo progressista Peter Beinart.

Beinart cita Moshe Koppel, un attivista conservatore. La sua posizione è che “la demografia (conservatrice/religiosa) è dalla nostra parte. Faremo questi cambiamenti (come la “riforma giudiziaria”) prima o poi perché in Israele, la popolazione ultra-ortodossa e la popolazione religiosa nazionalista stanno crescendo”. Si dovrebbe notare la convinzione implicita che man mano che cresce la forza demografica della destra, cresce anche la loro pretesa di democrazia.

Beinart sottolinea che il campo di protesta, pur rifiutando la legittimità del maggioritarismo, non ha mai messo in discussione i criteri etno-nazionalisti della politica israeliana. In altre parole, per i manifestanti, l’obiettivo è “mantenere Israele una sorta di società laica, moderna e pluralista per gli ebrei”. Il fatto che, per raggiungere questo obiettivo, stiano combattendo conservatori/religiosi “persone che vogliono rafforzare il controllo antidemocratico di Israele sui palestinesi, e potenzialmente espellerli” non è una motivazione per la maggior parte dei manifestanti.

Data l’indifferenza che il campo liberale ha mostrato fino a questo punto nei confronti della condizione degli oppressi, c’è una vera ironia nel fatto che l’alleanza con i palestinesi possa essere l’unica via per la vittoria dei manifestanti. Peter Beinart, tra gli altri, sottolinea ancora una volta questo punto. Esorta il movimento di protesta liberale in Israele a trasformare la lotta in una lotta che “contrappone ebrei e palestinesi a quei gruppi che sono impegnati nel mantenimento dell’Apartheid”. Una società egualitaria annullerebbe certamente il vantaggio demografico della destra.

Parte V – Conclusione

Una tale alleanza è improbabile nel prossimo futuro. Israele ha avuto più di 75 anni per inculcare una visione suprematista nei suoi cittadini ebrei e tutte le prove indicano che hanno avuto successo. Rompere con tale lungo indottrinamento culturale di solito richiede uno sconvolgimento che provochi un radicale cambiamento culturale. Per la società ebraica laica di Israele, la situazione attuale potrebbe essere un passo in quella direzione. Tuttavia, dobbiamo tenere presente che essi rappresentano una minoranza all’interno del Paese in generale.

C’è anche il fatto che la maggior parte delle istituzioni statali israeliane stanno rispondendo al cambiamento di orientamento dell’attuale governo di coalizione con doverosa obbedienza. Un buon esempio è la polizia israeliana. Basta sostituire i vertici di quell’istituzione e l’intero apparato ruoterà per seguire nuovi ordini. A questo proposito, parti dell’esercito sono ancora indecise, ma questo potrebbe essere solo temporaneo.

La dura verità è che la parte liberale sta perdendo. Nonostante le spettacolari proteste di massa in tutto Israele, il governo ha voltato le spalle ai liberali e portato avanti il ​​suo programma legislativo. E, fedele alla forma, la polizia ha risposto ai manifestanti con idranti e l’uso “libero” di manganelli.

Concludiamo con una citazione dalla giornalista di Haaretz Amira Haas:

“Gli Dei si stanno vendicando poeticamente degli israeliani che continuano a vivere in pace e armonia, o semplicemente nell’indifferenza, con l’espropriazione e l’oppressione dei palestinesi. Il Sacro Regno dei giovani criminali senza legge (qui parla dell “impresa coloniale di coloni” di Israele) gli sta voltando le spalle dopo anni di servizio attivo difendendolo e collaborando silenziosamente con esso (Include la magistratura in questa collaborazione). L’impresa coloniale dei coloni non sarebbe prosperata come ha fatto senza che tutti (i tribunali) esprimessero le loro sapienti opinioni legali e “soluzioni”. Hanno coltivato i semi del fascismo ebraico con le proprie mani, generazioni di israeliani convinti che sia del tutto normale governare e tiranneggiare un altro popolo privato dei suoi diritti più elementari”.

Anche Amira Haas vorrebbe vedere il movimento di protesta superare il suo etnocentrismo e allearsi con i palestinesi. Anche lei sarà quasi certamente ignorata. Affinché i manifestanti e i loro sostenitori possano compiere un passo così monumentale, dovranno superare generazioni di indottrinamento razzista e competere con un facile accesso ai passaporti stranieri. Piuttosto che seguire quella strada, molti dei “liberali” potrebbero semplicemente andarsene.

Lawrence Davidson è un professore di storia in pensione presso l’Università West Chester di West Chester, Pennsylvania.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org