Quando i media non osano dire “terrorismo ebraico”, c’è da meravigliarsi se prospera?

Le narrazioni nei media israeliani su questo tema non sono diverse da quelle dei rappresentanti del terrorismo ebraico nel governo israeliano. Per entrambi, non esiste qualcosa come il terrorismo ebraico, solo rappresentazioni pastorali di “giovani delle colline” coinvolti in “eventi di attrito” in cui i palestinesi cercavano e trovavano la loro morte. Non criminali, assassini e terroristi. Queste sono cose che gli ebrei non fanno.

Fonte: English version

Di Sebastian Ben-Daniel (John Brown) – 10 agosto 2023

In Israele tutto è visto come terrorismo: quando le persone LGBTI+ chiedono uguaglianza è “terrorismo LGBTI+”, quando i palestinesi chiedono protezione internazionale, è “terrorismo legale”, quando chiedono la condanna dell’Apartheid è “terrorismo diplomatico”, quando manifestanti contro il Golpe Giudiziario boicottano Israele è “terrorismo economico” e se bloccano una strada è “terrorismo di trasporto”. In realtà, non tutto. Quasi tutto. Cosa non è definito come terrorismo? Quando i terroristi di un avamposto illegale, armati di armi d’assalto, invadono un villaggio palestinese ai cui residenti è vietato possedere armi, danno fuoco alle auto e sparano a un giovane di 19 anni. Questo non è terrorismo.

Così, secondo il quotidiano Maariv, quello che è successo è stato “un confronto tra coloni e palestinesi”. Non è chiaro se si tratti di una descrizione di un attacco terroristico o di un’orgia sessuale interculturale. Secondo Reshet 13, c’è stata “una sparatoria nei pressi di Ramallah: due israeliani sono stati arrestati per essere interrogati”. Keshet 12 ha riportato: “Un morto palestinese negli scontri vicino a Burqah: due israeliani arrestati per essere interrogati perché sospettati di coinvolgimento”. Il sito web di Walla ha descritto “gravi scontri” che “si sono sviluppati tra i coloni dell’avamposto illegale di Oz Zion e i palestinesi”. Hanno aggiunto che il palestinese è stato “presumibilmente” colpito dai coloni, non volevano fare supposizioni. Quando si tratta di Israel Hayom, nessuna incertezza: “Tensioni in Giudea e Samaria: palestinesi uccisi durante scontri con i coloni” e Ynet titolava “scontro mortale vicino a Ramallah: 2 israeliani arrestati, l’apparato della difesa si prepara a rispondere”, nel senso che lo scontro, che non è un attacco, può provocare un attacco, ma qual è la differenza tra lo scontro e l’attacco? Solo l’identità etnica di chi lo realizza. “attrito”, “confronto”, “scontro con sparatoria”, “palestinese morto”. Non è un attacco terroristico, non è terrorismo, non sappiamo chi ha sparato. Forse Dio ha deciso che in questo Shabbat non c’è riposo dal lavoro ed è sceso ad uccidere un palestinese, chissà?

In un Paese i cui mezzi di informazione si lamentano spesso della copertura distorta del terrorismo contro i suoi cittadini nei media internazionali, quando in realtà si tratta solitamente di semplice cronaca, questi titoli sono strani. Forse l’estrema cautela nel rapporto iniziale avrebbe potuto essere attribuita a un alto livello di giornalismo che aspirava al Premio Sokolov (il Pulitzer di Israele), ma si può tranquillamente stabilire che non è così. La situazione israeliana ha fornito rapidamente un controesempio. C’era un caso con cui confrontarlo: una sparatoria nel quartiere di Nahalat Binyamin a Tel Aviv, che fin dall’inizio è stata considerata e segnalata come un attacco terroristico. Le cronache sono diventate una caricatura quando le edizioni straordinarie dei notiziari e i bollettini riferivano dell’attacco terroristico a Tel Aviv (perché a sparare era un palestinese) e allo stesso tempo parlavano dello “scontro a Burqah” (perché a sparare era un ebreo). Sono anche riusciti a ignorare l’evidente legame tra i due nelle domande ai loro intervistati.

E ancora un altro caso di scontro: due settimane fa, due palestinesi, Fawzi Hani Makhalfa, 18 anni, e Mohammad Mkhaimer, stavano guidando la loro auto vicino a Sebastia e sono stati colpiti da una tempesta di proiettili sparati dai soldati dell’IDF. Israel Hayom riportava: “Terroristi hanno cercato di investire i soldati vicino a Sebastia e sono stati neutralizzati”. Kan apriva con: “Tentato attacco terroristico con un veicolo in Samaria: i soldati hanno risposto sparando: un terrorista è stato neutralizzato e l’altro è stato arrestato”. Tutte le indicazioni sono che i soldati che hanno sparato a morte Hani abbiano effettivamente ucciso un uomo innocente. Nessuno dei rapporti è stato attribuito all’IDF, anche se non hanno verificato i fatti autonomamente, e non hanno riferito che il passeggero, Mohammad, è stato rilasciato immediatamente, cosa che non sarebbe avvenuta se si fosse trattato di un attacco terroristico. In un’intervista, ha detto che l’ufficiale che gli ha parlato dopo aver realizzato che non si trattava di un attacco terroristico ha “ammesso l’errore”.

Due giorni prima, un incidente simile si è verificato nei pressi di Jenin, quando Suheib Kilani e suo cugino Mohammed Kilani sono stati attaccati da soldati dell’IDF mentre passavano in auto. Sono rimasti gravemente feriti e portati in ospedale, ma non sono stati arrestati. Chiunque abbia familiarità con la Cisgiordania sa che molte volte quando vengono segnalati “attacchi con veicoli” che coinvolgono più di una persona in un’auto, si tratta di una bugia intesa a mascherare l’uccisione di persone innocenti. Tuttavia, nessun media ha esitato a definire coloro che sono stati assassinati “terroristi” e a ripetere a ruota le dichiarazioni del portavoce dell’IDF.

Così, quasi ogni volta che persone innocenti vengono uccise dal fuoco mirato dei soldati dell’IDF, la copertura mediatica della loro versione rimane inequivocabile. Quando un ufficiale della Brigata Kfir si fermò su un ponte e sparò uccidendolo a un ragazzo che tornava da una nuotata in piscina, Ynet scrisse: “L’IDF ha eliminato un terrorista che lanciava bottiglie incendiarie sulla Statale 443”, Canale 12 News ha aperto con: “Statale 443: 3 feriti da lancio di pietre, terrorista eliminato”. Dopo che è diventato chiaro che si trattava dell’esecuzione di una persona innocente, ho chiesto informazioni al portavoce di Canale 12 Notizie, il quale ha affermato che si trattava di una pratica accettabile e che il loro giornalista “ha riportato testualmente ciò che gli era stato detto”. Solo che non lo ha riportato integralmente e che naturalmente i rapporti iniziali erano errati. Va notato che gli errori si verificano in una sola direzione.

Anche i terroristi condannati come Amiram Ben Uliel, che è stato condannato per aver bruciato a morte la famiglia Dawabsheh, non sono indicati dai media israeliani come “terroristi”. Una ricerca su Internet delle parole “Ben Uliel” + “terrorista” restituisce solo titoli assurdi come: “Rabbino Eliyahu: le condizioni carcerarie di Ben Uliel sono più dure di quelle dei terroristi” senza menzionare che lui stesso lo è.

Le narrazioni nei media israeliani su questo tema non sono diverse da quelle dei rappresentanti del terrorismo ebraico nel governo israeliano. Per entrambi, non esiste qualcosa come il terrorismo ebraico, solo rappresentazioni pastorali di “giovani delle colline” coinvolti in “eventi di attrito” in cui i palestinesi cercano e trovano la loro morte. Non criminali, omicidi e terroristi. Queste sono cose che gli ebrei non fanno.

Quando questo è il discorso prevalente, non c’è da meravigliarsi che un giudice della Corte Suprema come Noam Solberg possa emettere una sentenza razzista come la sentenza secondo cui le case dei terroristi arabi devono essere demolite ma non quelle dei terroristi ebrei. Perché tra gli ebrei, secondo Solberg, tali incidenti ricevono una condanna “unanime” e non viene loro riconosciuta legittimazione pubblica. Questo nonostante il fatto che nella comunità nazional-religiosa, che è una comunità relativamente piccola da cui proviene la maggioranza assoluta dei terroristi ebrei e lo stesso giudice Solberg, questo non è certamente vero, di certo non unanime. I terroristi lì sono direttori di giornali, sono i capi del movimento Amana, sono Rabbini nei consigli rabbinici, sono membri e ministri della Knesset (Parlamento), e nel caso dell’altro giorno uno dei due detenuti è un ex portavoce di un membro della Knesset. Il padre del terrorista Ben Uliel è il Rabbino dell’insediamento di Carmei Tzur. Essere una famiglia di terroristi non gli è valsa la deportazione, né ha perso la sua posizione o il finanziamento pubblico. Ancora una volta, i terroristi che hanno effettuato l’attacco nel villaggio di Burqah e ucciso a colpi di arma da fuoco Qusai Matan ricevono un sostegno unanime, non una condanna unanime.

Il deliberato disinteresse per l’azione dei coloni, oltre il 96% delle denunce palestinesi contro di loro archiviate senza incriminazione e le false narrazioni nei casi in cui innocenti palestinesi sono stati uccisi dal fuoco dell’IDF o dai coloni o da entrambi, hanno lasciato la maggior parte del pubblico israeliano inconsapevole di ciò che sta accadendo in Cisgiordania. Ottiene una versione pre-confezionata, con fatti parziali, e piena di nuovi termini in cui gli autori sono sempre la vittima. Questa inconsapevolezza rende la comunità complice involontaria di questi crimini.

Traduzione di Beniamino Rocchetto  -Invictapalestina.org