“La vita qui non è facile, ma cerchiamo di migliorarci. Hebron è la mia casa. Anche se qualcuno mi offrisse tutto l’oro del mondo per andarmene, direi di no.”
Fonte: English version
Salam AbuSharar Hebron – 27 aprile 2023
La città palestinese di Hebron è sotto assedio israeliano da quasi trent’anni. I palestinesi che vivono nella Città Vecchia di Hebron devono affrontare minacce da parte dei coloni e violenze militari, ma le donne palestinesi trovano ancora il modo di sostenersi a vicenda.
Nel cortile recintato della sua casa, Huriah Dofesh, 55 anni, raccoglie il timo dal suo giardino per preparare il piatto tradizionale palestinese, lo Za’atar Akhdar, per la cena in famiglia.
Residente a Tel Rumedia, un quartiere della storica città vecchia di Hebron, Huriah racconta a The New Arab di come è cambiata la vita a Hebron e di come la sua vita, dopo il massacro della moschea Ibrahimi del febbraio 1994,sia ora definita dalla crescente intrusione dei coloni.
“Viviamo in una prigione costruita dalle nostre mani per proteggere i nostri figli, noi stessi e le nostre case”
Il massacro ha cambiato Hebron.
La città vecchia di Hebron venne divisa nel 1994 con la firma del Protocollo di Hebron tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Secondo il protocollo, Israele controlla le aree militari della città vecchia – chiamate H2 – che comprendono il 20% della città di Hebron e 33.000 palestinesi.
“Prima che arrivassero i militari, i palestinesi potevano girare per la città in macchina, le ambulanze potevano facilmente raggiungere il nostro quartiere e le famiglie in visita potevano venire a trovarci senza problemi”, dice.
“Ma dopo il 1994, la vita è diventata molto più dura e pericolosa”, ha aggiunto Huriah, menzionando il periodo in cui soffriva di forti dolori alla schiena e dovette attendere dieci ore prima che i soldati israeliani permettessero all’ambulanza di entrare e portarla in ospedale.
Tel Rumedia è ora circondata da posti di blocco. Ai palestinesi non è più permesso guidare nella città vecchia e devono coordinarsi con i funzionari israeliani se hanno bisogno di trasportare oggetti pesanti, mobili o elettrodomestici nelle loro case. Nel frattempo, i coloni israeliani che vivono nella stessa zona vivono la loro vita senza alcuna restrizione.
Mentre Huriah cucina, i suoi nipoti superano i posti di blocco per raggiungere casa sua. “Nessuno può venire qui senza passare attraverso i posti di blocco, i soldati controllano le nostre carte d’identità e i nostri effetti personali. La velocità con cui possiamo passare attraverso il posto di blocco dipende dall’umore dei soldati”, spiega Huriah, chiaramente esacerbata, a The New Arab .
For the Palestinians, the Cave of the Patriarchs massacre is the foundational ethos of Israel today
✍ @emadmoussa https://t.co/sNOXMQY1wc
— The New Arab (@The_NewArab) 28 febbraio 2022
Huriah, casalinga e insegnante di Corano presso la moschea locale, sogna la ripresa della normalità, la possibilità di aprire le finestre di casa e sentire entrare la brezza senza il fetore delle bottiglie di urina gettate dai coloni o di non dover sopportare recinzioni metalliche per impedire il lancio di oggetti contro la casa.
“Viviamo in una prigione costruita dalle nostre mani per proteggere i nostri figli, noi stessi e le nostre case. I coloni ci lanciano pietre, spazzatura e oggetti metallici, soprattutto durante le vacanze”, ha detto, descrivendo come le violazioni israeliane colpiscono gli spazi palestinesi pubblici e privati
Huriah ci porta all’ultimo piano della sua casa dove stende la biancheria e ci mostra il punto in cui i coloni israeliani hanno frantumato i suoi pannelli solari con delle pietre. Ci chiede chi porterà i nuovi pannelli e chi li riparerà. Come il resto della casa, anche i pannelli solari sono ora ricoperti da una rete metallica per evitare che vi vengano lanciati sopra degli oggetti.
“Non è facile trovare un tuttofare che possa venire qui. Cerco anche un falegname, ma il più delle volte non riescono nemmeno a venire.
Huriah è preoccupata anche per la sicurezza della sua famiglia. “Come madre, ho sempre paura che possa succedere qualcosa a mio marito o ai miei figli. Tutto questo è davvero psicologicamente molto estenuante.”
Per gli abitanti di Tel Rumeidah, le relazioni comunitarie tra vicini sono l’unica rete di sicurezza che li aiuta a sostenersi a vicenda e a rimanere resilienti di fronte alle violazioni israeliane.
A casa di Huriah, le donne della comunità si riuniscono per parlare delle loro lotte quotidiane, speranze, sogni e preoccupazioni. All’interno di questo circolo sociale, le donne hanno trovato il modo di mantenersi, creando una cucina collettiva per preparare e vendere prelibatezze locali nei territori della Cisgiordania occupata. Hanno avuto sufficiente successo da riuscire a esportare i loro prodotti nei paesi arabi circostanti.
“Ci riuniamo più volte alla settimana per preparare il cibo e parlare. Parlare ci aiuta a sentirci sicure e supportate. Condividere storie è fondamentale per allargare la nostra presenza nel quartiere, visitando le donne anziane, i pazienti e qualsiasi altra famiglia che celebra un giorno o un evento speciale”, spiega con orgoglio a The New Arab.
“Il nostro amore reciproco ci aiuta a sopravvivere nonostante le condizioni avverse”, aggiunge.
“La vita qui non è facile, ma cerchiamo di migliorarci. Hebron è la mia casa. Anche se qualcuno mi offrisse tutto l’oro del mondo per andarmene, direi di no.”
Salam AbuSharar è un farmacista, attivista e blogger palestinese
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictpalestina.org