Cornel West non ha intenzione di entrare alla Casa Bianca finché tutti non avranno una casa, e non solo per i poveri nell’Impero Americano, ma per i “dannati della Terra” in tutto il mondo.
Di Paul Salvatori – 10 settembre 2023
Per gran parte della sua vita professionale, Cornel West è stato politicamente attivo in diversi modi: da studioso e commentatore di giustizia sociale alla sfida al razzismo delle istituzioni della Ivy League (le otto maggiori università americane). Abitualmente impegnato in movimenti popolari, come quelli per i diritti dei poveri e dei lavoratori, non è quasi mai stato associato alle alte sfere del governo americano. Finora.
Lo scorso giugno, West ha annunciato che si candiderà alla presidenza degli Stati Uniti nel 2024, come candidato per il Partito Popolare del Paese. Ho parlato con lui dei valori morali, politici e spirituali alla base non solo della recente decisione ma di come essi, più in generale, delineano la sua visione democratica, probabilmente un modello per chiunque cerchi di liberare il mondo dall’oppressione, insieme alle inutili sofferenze che lo accompagnano, e costruire una vera comunità.
Il seguente estratto della nostra conversazione copre militarismo americano, i diritti dei palestinesi, l’importanza dell’assistenza, e l’importanza di sostenere la dignità di tutte le persone, all’interno e al di fuori dell’Impero Americano.
La sua corsa presidenziale si rivelerà senza dubbio interessante da seguire.
Paul Salvatori: Ritiene che preoccuparsi sia sinonimo dell’arrabbiarsi, a volte, ma, come diceva Aristotele, per le giuste ragioni come l’ingiustizia morale? Alcuni potrebbero obiettare che preoccuparsi troppo significa essere troppo civili e che se si è troppo civili si smette di essere critici.
Cornel West: Penso che il fratello Edward Said possa insegnare qui. Non era solo un formidabile studioso palestinese-americano, era anche qualcuno disposto, a un livello più spirituale e coraggioso, a dire la verità sull’umanità palestinese, sulla sofferenza palestinese, pur essendo critico nei confronti di qualsiasi odio antiebraico. Niente di tutto ciò gli ha impedito di denunciare in modo misurato e onesto la feroce Occupazione israeliana della Palestina. Parla direttamente della profonda preoccupazione che aveva per l’Umanità. Allo stesso modo, ha interpretato l’Occupazione come una catastrofe, una cosa umana messa in ombra dalla politica etnica. Il mondo sa che se ci fosse un’occupazione palestinese di preziosi fratelli e sorelle ebrei, ci sarebbe una reazione qualitativamente diversa. Ci sarebbero boicottaggi, disinvestimenti, movimenti sanzionatori in tutta l’America e nel mondo. E avrebbero ricevuto riconoscimenti morali. Giustamente, perché ci sarebbero maltrattamenti e massacri di massa di fratelli e sorelle ebrei da parte dei palestinesi. Ora, quando si capovolge la situazione, si riconosce ciò che sta realmente accadendo nella realtà: i palestinesi vengono brutalmente oppressi sotto l’Occupazione israeliana e quando si uniscono al movimento globale per resistere, vengono tacciati come “antisemiti”. Said non si lasciò scoraggiare. Sapeva che era una bugia. Ha continuato a preoccuparsi sia dei palestinesi che degli ebrei.
Paul Salvatori: Com’è possibile che Israele storicamente abbia avuto serie difficoltà a fare lo stesso?
Cornel West: Parte della sfida nella situazione israelo-palestinese è che ci sono 2000 anni di odio feroce nei confronti dei fratelli e delle sorelle ebrei. E quindi, comprensibilmente, hanno avuto una mentalità da oppressi, sostenuta da ricordi specifici sui Pogrom antisemiti in Europa, attacchi feroci contro di loro e così via. Sono, quindi, incoraggiati a costruire e mantenere quella che credono essere la sicurezza ebraica. Credo che la sicurezza ebraica, come la dignità palestinese, non sia negoziabile. Non potrà mai più esserci un altro Olocausto. Mai e poi mai. Allo stesso tempo, non è possibile garantire la sicurezza per gli ebrei di uno Stato israeliano che opprime e sottomette i palestinesi.
Paul Salvatori: Sia in Israele che negli Stati Uniti, il militarismo sembra essere al centro e il fulcro delle decisioni governative. I due Paesi sembrano ossessionati dalla “lotta al terrorismo”, dalla difesa dalle “minacce esterne” e dall’invasione dei territori, in violazione del diritto internazionale, che ritengono tali. Pensa che questo influenzi in qualche modo il tipo di valori che, in generale, modellano o definiscono una società?
Cornel West: È qui che il militarismo ha il potenziale per diventare uno stile di vita. Potrebbe avere origine nel governo, ma alla fine si riversa negli atteggiamenti pubblici e l’aggressività viene normalizzata. I poveri, invece, vengono ignorati. Negli Stati Uniti, la nazione più ricca nella storia del mondo, il 27% dei bambini vive in povertà e tra i bambini afroamericani la percentuale arriva al 39%. È vergognoso.
L’America, inoltre, non ha bisogno di spendere 1,5 trilioni di dollari (1.398.457 miliardi di euro) per la difesa ogni anno, quando sta riducendo drasticamente l’assistenza sanitaria, i posti di lavoro con un salario dignitoso, gli alloggi dignitosi, l’istruzione. Questa è una ricaduta della tradizione di austerità che mi ha portato a candidarmi alle presidenziali. E gli americani, si sa, lotteranno fino alla fine. Dobbiamo alzare la voce. Non si tratta di un singolo individuo. Questo non riguarda la mia campagna presidenziale. Riguarda il momento in cui ci troviamo e un movimento democratico che si sta diffondendo a livello globale. Si manifesta laddove le persone si connettono con tutti gli altri di buona volontà, ovunque si trovino, che prendono sul serio la ricerca della verità. La condizione della verità è lasciare parlare la sofferenza, una preoccupazione incessante per la giustizia universale. E come ho detto, la giustizia è l’aspetto pubblico del bene. La democrazia profonda è l’aspetto della giustizia nella pratica, l’aspetto profondo del bene. Mescolata al bene, la giustizia implica tenerezza: abbraccia e non fugge dalla sofferenza dell’altro. Questo è il bene supremo.
Paul Salvatori: Qual è secondo lei il principale ostacolo per raggiungere tale obiettivo?
Cornel West: Siamo una specie davvero sciagurata. La storia della specie umana è la storia dell’odio e dell’avidità, della paura e del dominio, della sottomissione, dell’invidia, del risentimento. Ma parte della storia della specie è anche la storia della capacità di cambiare, di trasformarsi, di compiere progressi morali e spirituali come generare movimenti sociali contro l’ingiustizia. Sfortunatamente, i nostri impulsi più oscuri sono in realtà quelli predominanti. Questo è proprio ciò che siamo come specie. Ecco perché la possibilità dell’autodistruzione incombe così grande, perché siamo stati così distruttivi per così tanto tempo. La questione della catastrofe nucleare ed ecologica è molto reale. Ma non rinunciamo alla capacità di cambiare. E questo vale per tutti noi, indipendentemente dal colore, dal genere, dell’orientamento sessuale o dell’identità nazionale. Finché rimane qualcosa su cui concentrarsi, possiamo impedire che quegli impulsi prendano forma. Le società danno il meglio di sé nel consentire a un numero sempre maggiore di lavoratori, solitamente schiacciati dai poteri costituiti, di far sentire la propria voce ed essere liberi di decidere il proprio destino. Questo è ciò che sta al centro della mia campagna.
Paul Salvatori: Se la campagna avrà successo e lei diventerà il prossimo Presidente degli Stati Uniti, quale sarà il suo primo ordine del giorno una volta insediatosi alla Casa Bianca?
Cornel West: Non ho intenzione di entrare alla Casa Bianca finché tutti non avranno una casa. La priorità deve rimanere la difficile situazione dei più bisognosi, che Gesù Cristo chiama “gli ultimi di questi miei fratelli e sorelle”. Questa è la cosa più importante in termini di testimonianza che si cerca di rendere. Ciò va contro il semplice fatto di diventare Presidente, ma rispetta la fiducia delle persone che ti eleggono. E anche se non è così forte come si spera, si vuole che la gente sappia che si stanno mettendo i sacrosanti bisogni delle persone al centro della propria visione politica, più di ogni altra cosa. Non si tratta solo dei poveri dell’Impero Americano. È quello che Franz Fanon chiamava i “dannati della Terra”, in tutto il mondo. Come mettiamo i loro bisogni sociali al centro del modo in cui modelliamo il nostro mondo? Uno in cui sono onorati, nelle parole e nei fatti, come persone a pieno titolo?
Paul Salvatori è un giornalista, operatore comunitario e artista residente a Toronto in Canada. Gran parte del suo lavoro sulla Palestina comprende l’informazione pubblica, attraverso canali come la serie di interviste recentemente creata, “Palestina in Prospettiva” (Il podcast della stanza oscura), in cui parla con scrittori, studiosi e attivisti.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org