“A loro piace ostentare il loro potere”: ad Hebron, un caso di studio sull’Apartheid israeliano

Sotto un regime di palese segregazione, Hebron è un microcosmo dell’Occupazione israeliana. Per i palestinesi la violenza è una realtà quotidiana, così come lo sono gli atti quotidiani di Resistenza.

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Di Carolina Pedrazzi – 13 settembre 2023

Quando i negozianti palestinesi di Hebron (Al-Khalil), nella Cisgiordania Occupata, hanno aperto i loro negozi la mattina del 27 luglio 2023, lo hanno fatto pensando che sarebbe stata una giornata “normale”.

Invece, gli eventi violenti avvenuti nel tardo pomeriggio hanno interrotto le loro attività.

Mentre le forze israeliane assediavano il centro della città, nelle menti dei palestinesi locali si materializzava un concetto altrettanto familiare di “normale”: quello di essere costretti a vivere sotto la violenza permanente e sistematica dell’Occupazione israeliana.

Ma il 27 luglio non era un giorno qualsiasi. Era una festa ebraica, il che significava che la violenza dei militari e dei coloni israeliani era più estrema del solito.

Hebron è la città più importante della Cisgiordania per quanto riguarda il commercio e gli scambi. Palestinesi provenienti da tutto il territorio vengono qui, soprattutto per fare compere, sapendo che troveranno oggetti raffinati nel fornitissimo centro commerciale e nei mercatini della città.

Tuttavia, Hebron è anche la città più complicata da spiegare a chi non conosce il sistema di divisione territoriale attraverso il quale è governato il Territorio Palestinese Occupato.

La Cisgiordania occupata è divisa in tre aree che differiscono per estensione e natura del controllo israeliano: l’Area A è sotto il completo controllo dell’Autorità Palestinese, l’Area B è sotto amministrazione condivisa tra l’Autorità Palestinese e le forze israeliane, e l’Area C è interamente amministrata dalle forze israeliane.

L’area C rappresenta circa il 60% del territorio della Cisgiordania Occupata, ed è il luogo in cui si trovano insediamenti israeliani illegali in rapida espansione. Nonostante le divisioni amministrative, in realtà, le vite di tutti i palestinesi sono sotto il controllo israeliano, con le forze militari che regolarmente fanno irruzione nei campi profughi senza autorità e radono al suolo case e scuole palestinesi.

Hebron non rientra perfettamente nelle Aree A, B o C. Piuttosto, la città è stata posta sotto un regime unico di segregazione; divisione tra l’Area H1 palestinese e l’Area H2 occupata dai coloni israeliani.

La divisione interna della città è il risultato del Protocollo di Hebron del 1997, che ha accolto i circa 500 coloni israeliani notoriamente radicali che vivevano nel centro storico e religioso.

Nel 1994, Baruch Goldstein, un estremista ebreo, fece irruzione nella Moschea Ibrahimi di Hebron durante l’ora di preghiera nel mese di Ramadan e, armato di fucile mitragliatore, uccise 29 palestinesi e ne ferì altri cento.

Lo stesso giorno, durante i funerali delle vittime, l’esercito israeliano ha attaccato i palestinesi in lutto, uccidendone altri. Dopo il massacro, Israele ha intensificato le restrizioni sui palestinesi a Hebron.

Il risultato è che gran parte di quello che oggi è H2 corrisponde a quello che era il centro sociale, commerciale, culturale, religioso e storico della città. Oggi l’ingresso nell’Area H2 è regolato da posti di blocco militari e i palestinesi non hanno diritto alla libera circolazione. Molti dicono di aver scelto di non entrare nell’Area a causa dell’aumento degli attacchi dei coloni.

Foto: I pochi palestinesi rimasti nel centro storico di Hebron sono ricorsi all’installazione di griglie metalliche per proteggere le loro case dai rifiuti gettati dai coloni israeliani. (Carolina Pedrazzi/TNA)

Nei due decenni e mezzo trascorsi dal Protocollo di Hebron, oltre 1.800 negozi hanno chiuso e quasi tutti i palestinesi che vivevano nel centro storico si sono trasferiti altrove.

Zuleikha è un’insegnante di inglese che vive in uno dei pochi edifici storici che non sono stati occupati dai coloni. Tuttavia, la famosa Shuhada Street da cui un tempo entrava in casa ora fa parte dell’Area H2, il che significa che la sua porta è stata sigillata.

Per accedere alla sua abitazione, ha dovuto trasformare il balcone del suo vicino in un’entrata secondaria del suo appartamento. Sul lato del caseggiato che dà su H2, ha posizionato una rete protettiva sul balcone per bloccare le bucce di banana e i sassi che i coloni le lanciano.

“La buccia di banana è simbolica: emettono suoni verso di me e mia madre come se fossimo animali da zoo. Non ci vedono come esseri umani”, ha detto.

Allo stesso modo, i negozianti palestinesi nel centro storico di Hebron hanno dovuto costruire griglie metalliche che coprono i loro negozi per proteggersi dalle pietre e dai rifiuti che i coloni lanciano dagli appartamenti occupati soprastanti.

Tuttavia, tale protezione non è sufficiente a bloccare i liquidi versati dai coloni, come acque reflue, acido e uova.

“La violenza dei coloni è diventata un incubo per gli attivisti YAS e tutti i residenti di Al-Khalil. Ed è protetta dall’esercito e dalla legge israeliani. Ogni frangente della vita delle persone qui ne è influenzato”, ha detto Muhannad Qafesha, membro del gruppo Youth Against Settlements (Giovani Contro gli Insediamenti) con sede a Hebron, fondato dall’avvocato per i diritti umani Issa Amro più di quindici anni fa.

“Troppi palestinesi vivono con il trauma sofferto da questi ripetuti attacchi”, ha detto.

Dal momento che camminare vicino all’Area H2 potrebbe portare ad un arresto arbitrario da parte di un soldato, o essere colpiti alla testa da una pietra, la maggior parte dei palestinesi ora evita il centro storico, mentre la maggior parte delle attività commerciali si svolge nella parte nuova della città, all’interno dell’Area H1.

Quel giovedì d’estate, una gran parte dell’Area H1 fu assediata da diverse unità dell’esercito israeliano, con veicoli blindati che pattugliavano le strade.

Per rendere sicura l’Area per i coloni ebrei che camminavano in processione da H2 a un luogo sacro in H1, a meno di 500 metri di distanza, i soldati tenevano i palestinesi sotto tiro, lanciavano granate stordenti a distanza ravvicinata e intimidivano e molestavano in modo aggressivo i negozianti affinché chiudessero i loro negozi al fine di blindare l’intera città.

I soldati hanno costretto i palestinesi a fuggire dalla zona utilizzando mezzi ingiustificatamente estremi, compreso lanciargli contro granate stordenti. Quando una granata stordente colpisce direttamente qualcuno, può causare ferite raccapriccianti o addirittura la morte.

Foto: Un ragazzo palestinese osserva i soldati israeliani molestare i negozianti palestinesi mentre assicurano la città in preparazione di una festa ebraica, il 27 luglio 2023. (Carolina Pedrazzi/TNA)

Per i numerosi negozianti che non hanno ceduto alle minacce dell’esercito israeliano e sono rimasti semplicemente fermi davanti ai loro negozi, la sensazione non era di paura, ma piuttosto di stanchezza e rassegnazione a questa violenza estrema.

“Sappiamo come vanno queste situazioni, sappiamo che alcuni ragazzi si faranno male per aver lanciato un sasso, e che l’unico motivo per cui usano tutta questa violenza è perché gli piace sfoggiare il loro potere su di noi”, ha detto un negoziante.

Per questi palestinesi la scelta di non chiudere i negozi è tanto simbolica quanto economico. Mentre stavano lì, fissando il loro occupante negli occhi, hanno resistito al tentativo di Israele di umiliarli e privarli della dignità e dell’autodeterminazione.

La quotidianità di un palestinese a Hebron non è sempre così. Ma giorni del genere, caratterizzati da proiettili, granate, feriti e assedi, si presentano abbastanza spesso perché i palestinesi possano definirli “a’adi”: giorni normali.

Carolina Pedrazzi è una scrittrice indipendente e analista politica specializzata in migrazione e nella regione del Medio Oriente e Nord Africa, con un interesse specifico per la Palestina. Studia Scienze Politiche all’Università Americana di Beirut, Libano.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org