Negli ultimi mesi è stato scritto molto sulla riforma del sistema giudiziario israeliano voluta da Netanyahu definendola come un “assalto alla democrazia israeliana” e un “Colpo di Stato giudiziario”. Martedì la Corte Suprema israeliana ha iniziato ad esaminare le argomentazioni contro la riforma in quella che viene descritta come una “crisi costituzionale”.
Di Nicola Perugini e Kareem Rabie – 12 settembre 2023
Negli ultimi mesi è stato scritto molto sulla riforma del sistema giudiziario israeliano voluta da Netanyahu definendola come un “assalto alla democrazia israeliana” e un “Colpo di Stato giudiziario”. Martedì la Corte Suprema israeliana ha iniziato ad esaminare le argomentazioni contro la riforma in quella che viene descritta come una “crisi costituzionale”. Ma uno sguardo più attento ai programmi politico-legali e allo sviluppo storico di alcuni dei settori più etno-nazionalisti del governo israeliano rivela una relazione più complicata tra la riforma giudiziaria, l’Occupazione e la democrazia dei coloni israeliani.
Nel 2010, eravamo in Palestina per fare ricerche su diversi aspetti delle rivendicazioni territoriali palestinesi, quando ci siamo imbattuti in Regavim: l’Organizzazione per la protezione della terra nazionale. Regavim è un “movimento pubblico” di estrema destra, guidato dai coloni, dedicato alla “prevenzione dell’esproprio di terreni statali.” Il movimento è nato come risposta al piano di disimpegno di Ariel Sharon del 2005 e all’evacuazione delle colonie sioniste dalla Striscia di Gaza. Successivamente ha fatto sua l’opposizione agli ostacoli che la Corte Suprema del regime israeliano ha posto nel tempo davanti ad una manciata di insediamenti illegali in Cisgiordania. Quella stessa Corte Suprema è oggi il luogo dell’attuale contesa politica che circonda la riforma giudiziaria.
Riflessi
Nei discorsi progressisti israeliani e internazionali, il movimento dei coloni è generalmente descritto come una minoranza religiosa radicale che prende il controllo dello Stato democratico di Israele e rinnega la soluzione dei Due Stati stabilendo “avamposti illegali” nel cuore del Territorio Palestinese. Tuttavia questa rappresentazione è fuorviante. Infatti, i presunti gruppi israeliani “liberali” e il movimento dei coloni ultra-nazionalisti prendono tutti parte alla difesa di uno Stato di Apartheid. La loro vicinanza politica è tale che, dopo il disimpegno di Sharon nel 2005, Regavim e altre organizzazioni “non governative” del movimento ultra-nazionalista dei coloni hanno iniziato ad appropriarsi della logica giuridica liberale e a imitare formalmente i casi legali sui diritti umani; La riforma di destra e l’antiriforma progressista vengono portate avanti attraverso gli stessi canali e utilizzando lo stesso linguaggio. Hanno iniziato a combattere “nelle sfere pubbliche, parlamentari e giudiziarie” con lo stesso impegno solitamente utilizzato dalle ONG anti-occupazione locali e internazionali (documenti di opinione e di ricerca, rapporti, comunicazioni ai media e istanze ai tribunali).
Questi gruppi adottano un approccio basato sui diritti nei confronti del ritorno dei coloni evacuati da Sharon durante il disimpegno e promuovono il diritto incondizionato dei coloni a colonizzare ulteriormente le terre palestinesi. Nel nostro incontro con Regavim e organizzazioni simili, siamo rimasti sbalorditi dall’inversione retorica e pratica della realtà tra chi è espropriato e chi perpetra l’esproprio. Per questo movimento che lavora per controllare tutte le aree della Cisgiordania sulla scia del disimpegno di Sharon, i villaggi palestinesi, i paesi e le città sono etichettati come “costruzioni illegali” da sorvegliare, monitorare e processare all’interno del sistema giudiziario coloniale. Regavim ha avviato una pratica di “emulazione” delle istanze da parte di ONG israeliane di sinistra e liberali come Peace Now, Settlement Watch e Yesh Din per presentare i coloni invasori, piuttosto che i palestinesi, come vittime. Il principale avvocato israeliano per i diritti umani Michael Sfard ci ha detto che si trattava di “una trovata” progettata per causare “scompiglio”, ma comunque una “rivoluzione nell’uso del sistema giuridico” con l’obiettivo finale di rendere operativa la legge e il processo liberale sulla protezione delle minoranze per espropriare i palestinesi ed estendere la giurisdizione civile israeliana nei Territori Palestinesi Occupati.
Tuttavia, mentre Regavim dichiara che i suoi obiettivi non sono quelli di sovvertire la democrazia o distruggere la Corte, e nemmeno principalmente di prendere di mira i cittadini ebrei liberali, ma di preoccuparsi di quello che ritiene essere il carattere “scandaloso” e “antiebraico” della Corte Suprema. Regavim utilizza invece gli strumenti della democrazia liberale per riformare e correggere la “degenerazione” della Corte post-disimpegno, per ritornare e realizzare una visione coloniale-sionista di Israele a scapito dell’esistenza palestinese.
Dal movimento al governo
Il 1° novembre 2022, il Partito del Sionismo Religioso e il Partito Kahanista Otzma Yehudit (Potere Ebraico) si sono assicurati 14 seggi nel Parlamento israeliano. Tra le elezioni del 2021 e del 2022, le formazioni politiche per le quali la colonizzazione delle terre palestinesi nei territori del 1967 è un obiettivo centrale e i coloni del 1967 un collegio elettorale primario, hanno più che raddoppiato i loro voti, diventando una delle forze principali della Knesset. Il successo di questi partiti è anche il successo di alcune delle figure di spicco della trasformazione nazionalista-liberale del disimpegno dei coloni post-2005 che abbiamo iniziato a osservare nel 2010.
L’attuale Ministro delle Finanze e dell’Amministrazione degli Insediamenti israeliano, Bezalel Smotrich, ha spesso invocato la pulizia etnica dei palestinesi. Più recentemente, ha chiesto ai coloni illegali di “spazzare via” la città palestinese di Huwara. Smotrich è uno dei fondatori di Regavim e ne è stato il “direttore delle attività”. Un altro dei cofondatori, Yehuda Eliyahu, è diventato il braccio destro di Smotrich presso il Ministero dell’Amministrazione degli Insediamenti. Orit Strock, ex capo di un’organizzazione con mandato e scopo simili a quelli di Regavim, l’Organizzazione Yesha di Giudea e Samaria, è l’attuale Ministro degli Insediamenti e delle Missioni Nazionali. Queste figure sono ora entrate nel governo e si sono trovate in posizioni centrali e di potere.
Questa influente fazione del movimento dei coloni del 1967 ha eseguito modifiche nei rami legislativo ed esecutivo sotto forma di riforma politico-legale. Uno dei momenti più importanti in questa svolta verso la difesa dei diritti dei coloni si è verificato nel 2017, in seguito a uno scontro tra agenti di polizia delle Forze di Occupazione Israeliane e coloni illegali ad Amona, un avamposto della Cisgiordania evacuato da Sharon nel 2006. Amona è un riferimento importante nell’identità politica dei coloni radicali: le azioni della polizia israeliana divennero note come “il Pogrom di Amona”. In risposta, Smotrich, ormai membro della Knesset, ha introdotto la “Legge sulla Regolamentazione degli Insediamenti in Giudea e Samaria”, che consente l’espropriazione della terra palestinese su cui sono stati “costruiti in buona fede” gli insediamenti ebraici. La legge, approvata dal Parlamento israeliano, aveva lo scopo di riconquistare Amona e garantire ai “proprietari” (coloni illegali che occupano terre palestinesi) “terre alternative o risarcimenti” per i loro problemi. Senza ironia, questo è sia un progetto estremista di riconquista violenta ed etno-nazionalista, sia un movimento per i diritti civili, portato avanti attraverso la logica della protezione delle minoranze progettata per espropriare ed eliminare ulteriormente la popolazione nativa palestinese.
Mentre quella legge veniva contestata dai firmatari anti-Occupazione, il governo Netanyahu sosteneva che la regolarizzazione era “una risposta umana, proporzionata e ragionevole al reale disagio” vissuto dai coloni durante l’evacuazione del 2006. Questo fu il momento in cui quella che l’avvocato filo-palestinese Sfard definì una “assurdità” si affermò saldamente come base retorica e ideologica per la riforma. Precedentemente impugnata dagli elementi più reazionari del movimento dei coloni, l’argomentazione di Regavim e dei suoi compagni di viaggio sui “diritti umani dei coloni”” e sulla necessità di porre rimedio alla “acquisizione illegale” delle terre ebraiche da parte dei palestinesi divenne una rivendicazione fondamentale all’interno delle istituzioni israeliane.
L’attuale lotta politica dipende dalla Corte Suprema, per due ragioni principali: La prima è che i liberali la difendono come un bastione della “democrazia israeliana”. E la seconda, perché è uno dei pochi luoghi in cui vengono effettuati controlli irrisori sull’espansionismo degli insediamenti. Così, quando, nel 2020, le ONG liberali e il blocco anti-riforma hanno convinto la Corte Suprema a invalidare la legge di regolarizzazione di Smotrich sulla base del fatto che “viola in modo sproporzionato i diritti dei palestinesi alla proprietà, all’uguaglianza e alla dignità”, questa Corte “degenerata” è diventata l’obiettivo principale degli attacchi a causa delle barriere limitate che ha posto all’espansione illegale degli insediamenti israeliani.
Questa volta, non sono stati Regavim e le ONG del movimento dei coloni radicali a portare avanti la lotta per la riforma giudiziaria dai margini, piuttosto, sono stati i loro parlamentari, i loro sostenitori parlamentari e il governo Netanyahu. Quando la Corte Suprema invalidò la legge sulla regolarizzazione, Smotrich sostenne un nuovo disegno di legge “che consentisse alla Knesset di scavalcare immediatamente i tribunali”. Nel frattempo, Yariv Levin, Ministro della Giustizia israeliano e principale architetto della riforma giudiziaria di Netanyahu, ha attaccato la Corte Suprema, affermando che la sua decisione “ha calpestato la democrazia israeliana e i diritti umani fondamentali di molti cittadini israeliani”.
Contraddizione
I manifestanti anti-riforma giudiziaria lottano con una contraddizione fondamentale. Per decenni gli israeliani liberali hanno cercato di presentare la colonizzazione dei Territori Palestinesi del 1967 come l’iniziativa di poche mele marce, pur sapendo che lo Stato, uno Stato di Apartheid di coloni secondo Amnesty International e altre importanti organizzazioni per i diritti umani, vi era strutturalmente implicato, anche attraverso l’approvazione della Corte Suprema. La difesa liberale della magistratura e l’attenzione alla cittadinanza e alla democrazia sono in qualche modo in contraddizione: sebbene ci siano state alcune importanti decisioni a favore dei palestinesi, si tratta di anomalie all’interno di un mare di giudizi che alla fine formalizzano le colonie, lo Stato Coloniale e l’Occupazione israeliana.
I manifestanti si trovano di fronte a due opzioni. Da un lato, proteggere lo status quo, come stanno cercando di fare, che significa sostenere le istituzioni giudiziarie di una democrazia di coloni che nega i diritti umani dei palestinesi, con occasionali sanzioni della Corte Suprema contro gli eccessi criminali come gesto benevolo agli occhi della comunità internazionale. D’altra parte, forse pensano che arrendersi alla riforma significherebbe adattarsi a una versione ancora più radicale della già esistente democrazia coloniale dei coloni, una versione che esisterebbe senza nemmeno la finzione della Corte Suprema.
Nicola Perugini è Professore Associato di Relazioni Internazionali presso l’Università di Edimburgo. È coautore di: Il Diritto Umano di Dominare (The Human Right to Dominate – Edizioni Università di Oxford 2015), Sintomi Morbosi (Morbid Symptoms – Sharjah Biennial 13, 2017) e Scudi Umani: Una Storia di Persone Sulla Linea del Fuoco (Human Shields: A History of People in the Line of Fire – Edizioni Università della California 2020).
Kareem Rabie è professore associato di antropologia presso l’Università dell’Illinois a Chicago e autore di: La Palestina Sta Dando Una Festa eTutto il Mondo è Invitato: Capitale e Costruzione Statale in Cisgiordania (Palestine is Throwing a Party and the Whole World is Invited: Capital and State Building in the West Bank – Edizioni Università di Duke, 2021).
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org