Copertina: Gaza, la folla festeggia i suoi combattenti
Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi su quanto sta accadendo in Palestina e Medioriente
Di fronte all’apocalisse abbattutasi sulla Palestina, nello specifico su Israele e su Gaza, la reazione di molti, tutti provetti analisti, è questa: “E’ evidente che Netaniahu ha lasciato fare a Hamas. Cercava l’occasione per farla definitivamente finita con i terroristi islamici.” E’ talmente radicata nei bene intenzionati verso “l’unica democrazia del Medioriente”, la convinzione dell’infallibilità (di origine biblica?) e invulnerabilità dello stato proclamatosi nel 2018, sui territori invasi e occupati, “Stato degli ebrei”, che la semplice idea che la Quarta Potenza Militare mondiale possa aver subito un rovescio, gli torna blasfema e surreale.
Discorso che vale in particolare per i servizi di intelligence, unanimemente riconosciuti i migliori del mondo, il Mossad, esterno, e lo Shin bet, interno. Difficile accettare che questi due strumenti di sorveglianza, spionaggio e operazioni clandestine, si siano lasciati sorprendere a tal punto. Tanto più che c’è chi gli attribuisce la disponibilità di ben 50 palestinesi infiltrati a Gaza. Ma chi li sospetta consapevoli e fruitori, si rende conto della catastrofe d’immagine e di credibilità subita e di che colpo sia stato inferto alla sicurezza psicologica e alla fiducia nello Stato dei cittadini israeliani?
Invece no, tigre di carta – esagerando un tantino – Israele lo ha dimostrato di esserlo, pur sempre capace di ficcare i propri artigli su gente inerme e ragazzini lanciatori di sassi. La propaganda della sua imbattibilità serve essenzialmente a rendere rassegnato chi l’attribuisce a una realtà immodificabile, per quanto nequizie compia e sangue sparga.
Nella mia esperienza personale, a parte la Guerra dei Sei Giorni, riuscita in un battibaleno grazie alla distruzione a sorpresa di tutte le aeronautiche dei paesi nemici, ogni altra vicenda bellica gli ha detto male. Nel 1973, Guerra del Kippur, oggi ricordata dall’irruzione dei palestinesi nell’inviolabile terra assegnatasi dagli israeliani, Israele fu preso totalmente alla sprovvista e si salvò grazie al massiccio contributo di armi statunitensi.
Nel 2000 e nel 2006, a dispetto dei bombardamenti a tappeto su Beirut e altre città libanesi, Israele fu cacciato dal Libano da Hezbollah, una forza guerrigliera armata di stracci e Kalashnikov. Negli anni ’80 e poi 2000, le due Intifade, protrattesi per anni in virtù di una sollevazione di ragazzi eminentemente disarmati, portarono alla più grave crisi mai conosciuta dallo Stato colonialista e confessionale: venne a mancare l’immigrazione, vitale per contenere l’espansione demografica dei palestinesi e, anzi, ebrei immigrati iniziarono a tornare nei paesi d’origine, gli investimenti stranieri, vitali per l’economia, cessarono del tutto.
Va quindi tolta di mezzo sia l’idea paralizzante dell’invincibilità israeliana, sia la furbata per la quale il regime paranazista di Netaniahu, Ben Gvir (“Sputate pure sui cristiani a Gerusalemme!”) e Smotrich avrebbe lasciato che Hamas, ora anche sostenuto da tutte le organizzazioni della Resistenza (salvo i collaborazionisti di Abu Mazen nell’ANP, del tutto spiazzati), imperversasse con missili e combattenti in quasi tutto il territorio di Israele. Con il successo enorme, anche psicologico, dell’incursione prolungata nei territori colonizzati e della cattura di decine, forse centinaia, di abitanti delle colonie israeliane, di soldati e addirittura del generale, a capo delle forze armate d’èlite. Potrebbero, questi ostaggi, porre un limite all’offensiva via aria e terra annunciata da Netaniahu.
Il dato è un altro e a me pare incontrovertibile, al di là della furia vendicativa di Netaniahu e compari che si eserciterà in misura sempre più spietata su Gaza. Questo governo di estrema destra aveva colto lo spirito del tempo in Occidente e puntava a liberarsi del controllo della magistratura con una riforma che ha posto la Corte Suprema – in procinto di processare Netaniahu e due suoi ministri accusati di corruzione – sotto il controllo del governo. Un po’ quello che stanno provando a fare i meloniani Cartabia e Nordio e che vanno facendo Biden e Zelensky nei rispettivi contesti.
Alla rivolta da inizio anno di tutto il popolo ebraico, geloso della democrazia (per sé, naturalmente, i palestinesi non contano), il regime ha risposto distraendo verso il solito nemico esterno. Un depistaggio tramite devastazioni e mattanze, di esercito e coloni in combutta, nei territori occupati in Cisgiordania. Non è servito a fermare le proteste. Vi partecipavano addirittura i riservisti, che, rifiutandosi al servizio, minacciavano gravi conseguenze per l’efficienza delle forze armate.
Ora il compattamento della società israeliana vorrà essere ottenuto con la solita guerra contro quella disperazione determinata che è Gaza, una striscia di circa 300km2 contenente 2 milioni di detenuti a cielo aperto, di cui il 45% disoccupati e, prevedibilmente, una buona quota senza più casa, o vita. E magari ci si allargherà anche al Libano, preda negata e ambita da sempre. Il fermento sul confine è già in atto.
Che le cose, al netto delle sofferenze e dei sacrifici cui i palestinesi oppongono una capacità di vita e di rivendicazione del giusto come raramente la nostra Storia ha visto, vadano malissimo per Israele, è dovuto anche all’intelligenza tattica della Resistenza. Da un lato ha posto bastoni, forse infrangibili, tra le gambe del processo di “normalizzazione” tra lo Stato ebraico e alcuni paesi arabi. L’Accordo di Abramo con Emirati, Bahrein, Marocco, parzialmente Sudan, e Arabia Saudita in prospettiva. Vista il compatto schieramento delle popolazioni arabi a fianco dei palestinesi, quei governi “conciliatori”, a garanzie della propria stabilità dovranno rivedere i propri propositi.
Già la riconciliazione, mediata da un’abile e saggia Cina, tra i due fronti opposti, Arabia Saudita e Iran, che avevano, a beneficio degli USA, alimentato tensioni e conflitti in tutta la regione, ha gravato sulla possibilità di USA e Israele di determinare eventi ed equilibri nella regione. Ora i bluff del poker israelo-occidentale – lo Stato “democratico” invincibile, i “terroristi”, il “moderato” Abu Mazen, la nuova costellazione filoccidentale israelo-araba – sono stati visti dall’irriducibilità di un popolo col quale si pensava di aver chiuso il discorso. Quell’ombelico del mondo che da 75 anni è la Palestina farà voltare pagina a tutti.