Lettera dalla Palestina: Israele impone il blackout a Gaza per nascondere il massacro

Israele sta lentamente interrompendo le comunicazioni di Gaza con il mondo esterno, perché vuole impedirci di rivelare i massacri che sta commettendo.

Fonte: English version

Tareq S.Hajjaj – 10 ottobre 2023

Immagine di copertina: Una foto aerea della distruzione della Moschea Sousi a Gaza City, a seguito di un attacco aereo israeliano il 9 ottobre 2023 (Naama Omar /APA Images)

Metto in valigia alcuni vestiti, documenti identificativi, effetti personali e batterie per caricare il telefono e rimanere in contatto con la situazione intorno a me. Io e la mia famiglia stiamo evacuando la nostra casa nel quartiere di al-Shuja’iyya a est di Gaza. Ho sicuramente bisogno di una borsa più grande per farci entrare la mia vita.

Nel pomeriggio del secondo giorno dell’attacco, l’esercito israeliano ha inviato un messaggio a mio fratello maggiore – viviamo tutti nello stesso edificio – dicendogli che doveva evacuare l’edificio e dirigersi verso il centro di Gaza City.

Vivo al piano terra. La mia anziana madre, che è cieca, vive con me e mia moglie e al nostro bambino di nove mesi, che nella sua breve vita ha già assistito a due guerre israeliane.

“Dobbiamo evacuare adesso, finché abbiamo tempo”, mi dice mio fratello Hani. “Se scende la notte e siamo ancora qui, saremo in pericolo.”

Provo a dirgli che dovremmo restare: penso che nessun posto a Gaza sia al sicuro dagli aerei da guerra israeliani. Ma abbiamo ragione entrambi.

Faccio decine di chiamate alle persone per trovare un appartamento per la mia famiglia, ma non voglio andare in un’altra torre residenziale: sono i primi luoghi ad essere colpiti da un attacco aereo israeliano.

Tutti quelli che chiamo mi dicono che se riesco a trovare un posto sicuro, dovrei portare con me anche loro. Tutti sono alla disperata ricerca di un posto, di un posto sicuro.

Metto la valigia in macchina e aiuto mia madre a sedersi sul sedile posteriore. Andremo a casa di mio suocero, che si trova nella parte occidentale di al-Shuja’iyya. Mentre il bombardamento del quartiere continua, ci dirigiamo verso ovest. Il fumo si alza alle nostre spalle, riempie l’aria e ci immerge nell’oscurità.

Tutto intorno a noi sembra un’altra Nakba. Le persone portano borse sulle spalle, fissano mobili sul tetto delle auto e fuggono a piedi in ogni direzione. Non sanno nemmeno se potranno tornare e trovare le loro case intatte. Nemmeno io. Prima di partire,  al centro della mia casa, ho salutato ogni angolo e ogni pietra.

Lentamente il fumo comincia a diradarsi, lasciando il posto alla luce. Possiamo capire dall’odore che ci siamo allontanati dalla zona.

Eppure in queste circostanze mi considero fortunato. Sono riuscito a trovare un posto per la mia famiglia. Migliaia di persone a Gaza non hanno questa opzione. Affollano le scuole dell’UNRWA, che non sono attrezzate per ospitare così tante persone. Non hanno nemmeno un posto dove usare il bagno o la doccia.

Mio suocero, giornalista e direttore in pensione del Ministero dell’Informazione, conosce le esigenze del mio lavoro. Mi ha preparato un ufficio dove poter continuare a lavorare.

Vado online e continuo a seguire le notizie. Ma a volte vorrei non doverlo fare.

La prima cosa che vedo è il video di una donna all’ospedale al-Shifa, il principale ospedale di Gaza City. Indossa un camice bianco, il che significa che è un medico o un’infermiera. Sta correndo fuori dall’ospedale, alzando entrambe le mani in aria, con le dita che disegnano il segno della “vittoria” mentre piange. In seguito apprendo che era un medico che era entrato nella stanza di un paziente morente, solo per rendersi conto che era suo marito: era morto mentre lei stava curando altri pazienti. Lo shock l’ha spinta a scappare dall’ospedale, piangendo e urlando davanti a decine di telecamere.

“Mio marito è stato ucciso, mio marito è stato ucciso, mio marito è stato ucciso”, ripete, con il segno V ancora nell’aria.

Il prossimo video che guardo è così orribile che non riesco a distogliere lo sguardo. Un uomo a Beit Hanoun, nel nord di Gaza, cerca la sua famiglia sotto le macerie della sua casa. Tiene in mano parti del corpo mozzate: parte della testa di un bambino, alcune dita e altri pezzi di carne mutilati in modo irriconoscibile.

“Questa è la mia famiglia”, l’uomo apre la mano, mostrando le parti che raccoglie. “Questo è ciò che resta dei miei figli. Non riesco a trovarne altri.” Sta urlando.

Siamo solo all’inizio di una delle guerre più lunghe e brutali della storia di Gaza. Ho paura dei giorni a venire. Potrebbe essere il momento di lasciare questo mondo, ucciso da un attacco aereo israeliano casuale.

Il giorno successivo, elettricità, internet e acqua vengono interrotti. Comincio a sentire che, passo dopo passo, ci stiamo isolando dal mondo esterno, fino a quando non esisterà più. Israele vuole provocare intenzionalmente un blackout in modo da non poter riferire sui massacri che sta commettendo a Gaza. Si stanno preparando per qualcosa di enorme e, senza un modo per dirlo al mondo, nessuno lo saprà finché non sarà troppo tardi.

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org