Le storie per le quali non abbiamo parole

Liste d’attesa per soccorrere le persone intrappolate sotto le macerie. Corpi in decomposizione mangiati dagli animali nelle strade. Quelli ancora vivi che non si riconoscono più. Queste sono le storie per le quali non abbiamo parole con cui raccontarle.

Fonte: English version

Tareq S. Hajjaj – 10 novembre 2023

Immagine di copertina: Palestinesi ispezionano i detriti della moschea Khaled Ibn Al-Walid dopo che è stata colpita dai bombardamenti israeliani a Khan Yunis, nel sud di Gaza, il 9 novembre 2023.

Durante la giornata tutta la famiglia si dedica ad un unico obiettivo: trovare cibo e acqua. Nel sud di Gaza, cercare queste cose potrebbe anche essere paragonato a una corsa all’oro.

Qualche settimana fa, le famiglie si lamentavano delle code incredibilmente lunghe ai panifici: un’attesa dalle 6 alle 8 ore per prendere un piccolo sacchetto di pane. Ora, mentre i panifici chiudono i battenti per mancanza di farina e carburante, molti preparano il pane in casa, utilizzando mezzi apparentemente impossibili. I genitori mandano i figli a cercare plastica, cartone o qualsiasi cosa che possa essere bruciata per accendere un fuoco: queste sono le famiglie fortunate che sono riuscite a  procurarsi un po’ di farina.

Al calar della notte, tutti tornano nei loro rifugi o nelle loro case e parlano di guerra. Le loro conversazioni di solito ruotano attorno alla morte e talvolta alla portata della distruzione.

Ieri, mentre ero seduto nel cortile della casa dove alloggiavamo la mia famiglia ed io, abbiamo sentito un fischio penetrante proprio prima che una bomba cadesse in un’area vicino a noi. Un ragazzo, sorpreso dal rumore, mi ha chiesto se avremmo avuto abbastanza tempo per scappare nel caso in cui la bomba fosse stata lanciata nella nostra direzione. Un altro ragazzo è intervenuto: “Quando la bomba cadrà su di noi, non sentiremo nulla. Ci ucciderà prima ancora che riusciamo a pensare di scappare”.

Le conversazioni vanno avanti. I discorsi sulla guerra ci portano a contare quante sono le persone uccise che conosciamo.  Qualcuno chiede di una persona. La risposta è brusca: “E’ stata uccisa”. Qualcun altro chiede di una famiglia in un quartiere che ha subito pesanti bombardamenti. La risposta: “Sono rimasti bloccati sotto le macerie per ore e nessuno è sopravvissuto”. La stessa conversazione si ripete. Iniziamo a scommettere su chi di noi potrebbe sopravvivere.

Durante questi incontri sentiamo strane storie a cui facciamo fatica a credere. Una donna fuggita dal nord ci racconta la storia di suo figlio di 29 anni, Issam Ileywa, sposato con tre figli e venditore di acqua potabile. Dice che non voleva andare a sud perché voleva continuare a fornire acqua a coloro che ne avevano bisogno nel nord di Gaza City. Aveva mandato via moglie e figli, ma lui era rimasto.

Issam percorreva i quartieri distrutti alla ricerca di persone che erano state tagliate fuori e che non potevano accedere all’acqua, e faceva anche soste negli ospedali che incontrava nel suo cammino. Anche se circostanze come queste sono l’ideale per sfruttare la situazione e aumentare i prezzi, Issam non accettava soldi per l’acqua, ma accettava donazioni per la benzina, così da non doversi fermare.

Sua madre ci ha detto che avevano perso i contatti con Issam per quattro giorni e che avevano quindi chiesto a molte persone della loro zona di al-Nasr, che erano riuscite a fuggire a sud, se lo avessero visto. Il quinto giorno, un uomo diede alla madre di Issam notizie di suo figlio. Dormiva nella sua macchina dopo che il loro condominio ad al-Nasr era stato raso al suolo durante l’inizio dell’invasione di terra nel nord-ovest di Gaza. L’auto era stata colpita mentre Issam ci dormiva. Il suo corpo era completamente carbonizzato quando lo avevano trasportato in ospedale.

Le storie di guerra continuano. Il diluvio di sofferenza umana è così profondo e vasto che potremmo impiegare una vita intera per documentarlo e raccontarlo al mondo.

Un’altra donna, di nome Mariam Qannu’, ci dice che ha un figlio che non è riuscito a fuggire a sud con loro da Gaza City, e che era determinata a tornare indietro per trovarlo, vivo o morto. Mariam ci racconta che era riuscita a raggiungere il nord negli orari specifici in cui l’occupazione consentiva un passaggio limitato (di solito nella direzione opposta). Quando aveva raggiunto il quartiere in cui si trovava la loro casa, ci ha detto che non era riuscita  a resistere allo spettacolo dispiegato davanti a lei. I corpi erano sparsi per le strade e sui marciapiedi, e i corvi si nutrivano della loro carne in decomposizione. Suo figlio era tra loro. Riuscì a identificarlo solo dal paio di pantaloni che indossava sempre e dalla sua caratteristica cintura in pelle.

Dice che i corpi avevano anche segni di rosicchiamento, poiché i corvi li attaccavano di giorno e gli animali randagi convergevano su di loro la notte, quando nessuno era nella zona. Queste sono le aree in cui l’invasione di terra si è conclusa, le aree che le ambulanze non possono più raggiungere, e dove i corpi delle persone sono stati lasciati a marcire.

Mariam racconta di aver avvolto il corpo di suo figlio in una coperta e di averlo trasportato per oltre un chilometro a piedi finché non è riuscita a trovare uno dei carri trainati da animali, diventati comuni da quando era finito il carburante. Ha portato il corpo di suo figlio a sud, dove lo ha seppellito.

Le storie di guerra spesso raccontano cose orribili, e ora sono anche intervallate da elementi surreali. Le lunghe file per il pane e l’acqua non sono più così straordinarie, ora che ci sono liste d’attesa per chi viene salvato da sotto le macerie o di corpi in decomposizione lasciati senza sepoltura. Giorni fa, il mio amico e collega Hani Abu Rizeq ha postato su Instagram la storia di una famiglia rimasta sepolta sotto le macerie a causa di un attacco aereo israeliano. I vicini della famiglia hanno chiamato la Protezione Civile, supplicandoli di venire a salvarla. La risposta della Protezione Civile è stata che c’era una lista d’attesa di case con altre famiglie sepolte sotto di esse, e che avrebbero dovuto aspettare il loro turno.

Non era insensibilità, ma un’impotente consapevolezza della realtà. Sono migliaia le famiglie intrappolate sotto le macerie, in attesa del loro turno per essere soccorse.

Tutto ciò che una volta era vivo sta morendo. Tutto ciò che era bello a Gaza è ora sfigurato: i suoi edifici, i suoi monumenti, la sua terra e la sua gente. Ma la realtà e la portata del genocidio sono di gran lunga peggiori di ciò che sta raggiungendo il mondo. I miei colleghi giornalisti sono ora intrappolati ovunque si trovassero prima dell’inizio dell’invasione di terra. La maggior parte si trova nel sud, negli ospedali e nei rifugi, e non è in grado di documentare ciò che sta accadendo al di fuori della loro zona. Solo i pochi ancora presenti nelle comunità bloccate sono in grado di comprendere una frazione di ciò che sta accadendo.

Ma al di là delle storie anch’esse sepolte sotto le macerie e che non riusciamo a raggiungere, ci sono quelle storie per raccontare le quali non abbiamo parole. Persone che pensano di essere sopravvissute alla guerra, almeno fino ad ora, ma riescono a malapena a riconoscersi. Persone i cui corpi rimangono intatti, ma che non hanno nulla che ricordi loro che sono vive.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org