Troppo spesso i palestinesi sono costretti a dimostrare la loro umanità, ma sabato scorso l’atmosfera tra le 800.000 persone che hanno marciato a Londra per un cessate il fuoco e una Palestina libera trasmetteva qualcosa di simile alla speranza.
Fonte: English version
Sophia Ikirmawi – 15 novembre 2023
Immagine di copertina: Il cessate il fuoco marcia verso l’ambasciata americana a Londra – 11 novembre 2023 (foto Steave Eason/FLICKR)
Nel vortice di tweet profondamente sconvolgenti dell’ultimo mese, mentre il mondo rivolgeva ancora una volta la sua attenzione a Israele e alla Palestina in seguito agli attacchi del 7 ottobre contro i cittadini israeliani, quello che mi ha spezzato il cuore è stato quello di Belal Aldabbour, da Gaza, che recitava: “Presto, si esaurirà l’ultimo frammento di energia elettrica e di connessione. Se muoio, ricordate che io, noi, siamo individui, esseri umani, abbiamo avuto nomi, sogni e risultati, e la nostra unica colpa è stata quella di essere stati semplicemente classificati come inferiori”.
Essendo cresciuta a Londra, è sempre stato difficile parlare delle mie origini palestinesi. Molto spesso, parlare di Palestina incontra una sorta di gelida perplessità: una rapida occhiata alle mie spalle per vedere se arriva qualcun altro con cui parlare. A volte si incontra un vuoto totale, una riluttanza a impegnarsi in un discorso. Ho avuto così tante conversazioni che sono allo stesso tempo noiose e totalmente esasperanti, in cui parlo della realtà dell’occupazione dei palestinesi – inclusa la mia famiglia – in Cisgiordania, solo per avere in risposta un cenno silenzioso. E in rare occasioni, ci si aspetta che io mi impegni in un dibattito che tratti la questione come una questione di interesse politico e non di sofferenza umana.
Chiunque abbia trascorso del tempo in Palestina può testimoniare la generosità e l’umorismo dei palestinesi. In una calda giornata d’agosto, nella Città Vecchia ci hanno offerto infinite tazze di tè, bottiglie d’acqua, offerte di ombra. Nei negozi di Betlemme venivo presa in giro per il mio scarso arabo mentre mi mettevano in mano piccoli regali: calamite e portachiavi con dipinta la bandiera palestinese. Non avrebbero bisogno di essere generosi o gentili per meritare di vivere, per avere diritti, per essere visti come esseri umani. È stucchevole e quasi imbarazzante condividere queste storie, come se questi piccoli aspetti di una persona fossero ciò che rende importante la sua vita. Ma queste storie sulla loro umanità vengono raccontate raramente, e il disprezzo per la loro personalità deve essere chiamato per quello che è: razzismo, o islamofobia, o entrambi contemporaneamente.
Sfortunatamente, ho scoperto che ai palestinesi non viene concessa automaticamente l’empatia: tali banalità e cliché sono spesso necessari per portarla alla luce. Il peso di questa responsabilità può essere verificato attraverso i canali di informazione di tutto il mondo, mentre le voci, i difensori e gli esperti palestinesi vengono portati in onda per essere colpiti da accuse, costretti a denunciare ancora e ancora le azioni di Hamas mentre cercano di descrivere nei dettagli la sofferenza di persone innocenti. Gli abitanti di Gaza vengono interrotti, provocati e trattati come cittadini di seconda classe anche su una piattaforma su cui presumibilmente sono stati invitati.
Dovrebbe essere ovvio che due milioni di persone che vivono a Gaza sono semplicemente persone comuni che cercano di vivere la propria vita – una cosa, in effetti, fortemente contestata. Questa è una guerra dell’opinione pubblica in Occidente, e chiunque abbia una minima comprensione del conflitto e dei 75 anni di lotta palestinese sa che, a meno che questi palestinesi massacrati non vengano descritti come perfetti santi e pilastri delle loro comunità, la loro morte verrà ignorata – o trattato come un giustificato omicidio di un “animale umano”. Questo è il motivo per cui i bambini palestinesi possono essere regolarmente uccisi a colpi di arma da fuoco dall’IDF: va bene perché lanciavano pietre – erano criminali, ovviamente.
Sembra che ai palestinesi le cose continuino ad accadere. Muoiono – mentre gli israeliani vengono assassinati. Le loro case “crollano”, invece di essere colpite dai missili. In qualche modo “ricevono ferite da proiettile” – non chiedeteci come! Le loro vite sono viste come governate da misteriose forze esterne, come le persone che soffrono per le conseguenze di un disastro naturale. La neutralità genera neutralità – instilla negli osservatori occidentali la sensazione che il loro dolore sia inevitabile. Che, in qualche modo, sesia meritato.
Ora Suella Braverman, prima di essere licenziata dalla carica di Ministro dell’Interno, ha deliberatamente confuso le linee guida sulla questione se sia o meno un crimine esporre la bandiera palestinese. Ora si alimenta deliberatamente l’estrema destra, nel tentativo di intimidire le persone dal mostrare la loro solidarietà durante marce e proteste. Ora dobbiamo condividere post e scrivere pezzi come questo per implorare i nostri politici guerrafondai e il pubblico ragliante di ricordare che i 4000 bambini uccisi a Gaza finora avevano nomi, avevano sogni, avevano un futuro pieno di possibilità che ora sono stati strappati via.
Ma ogni giorno che passa, sembra che la marea stia girando, millimetro dopo millimetro. Sabato, l’atmosfera tra le 800.000 persone che hanno marciato a Londra per un cessate il fuoco e una Palestina libera era più esuberante rispetto alle ultime settimane. Forse era il sole, o forse era qualcosa nato da un sentimento di sfida condiviso. Insieme abbiamo camminato – arabi, musulmani, ebrei, persone queer, anziani, giovani, famiglie, persone che camminavano da sole, persone che hanno viaggiato per tutto il paese per essere lì, cani con la kefiah – presumibilmente marciando per odio. Quasi un milione di persone sapevano che sarebbero state infangate dai nostri politici, dai media e dai bigotti online e si sono presentate comunque. La corda dell’umanità che ci tiene tutti insieme, che negli ultimi anni a volte è sembrata troppo difficile e grossolana da tenere – in quella marcia l’abbiamo portata insieme e ho sentito qualcosa di simile alla speranza.
Lo spirito palestinese è uno spirito di inestricabile resilienza. È qualcosa che ricordo a me stessa nei momenti personali difficili, che, ovviamente, impallidiscono in confronto alla vita di un palestinese nella sua terra natale. Eppure è nel mio DNA andare avanti e devo credere che i palestinesi riusciranno a vincere perché è quello che fanno. Ma lo spirito umano può sopportare solo un certo limite: c’è un limite a quanto i palestinesi possono essere ignorati, quei nomi possono essere dimenticati, quelle vite possono essere cancellate. In Occidente, dai nostri letti sicuri, anche se possiamo sentire questa paura, non possiamo esserne paralizzati. Il minimo che possiamo fare è continuare a marciare insieme, ricordare al mondo la loro umanità finché possiamo, e chiedere la fine della violenza e dell’occupazione. Col tempo, il fatto che abbiamo dovuto farlo diventerà la vergogna di una generazione.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org