I lavoratori di Gaza bloccati in Israele dopo il 7 ottobre sono stati sommariamente arrestati, interrogati, picchiati e torturati, prima di essere dichiarati irregolari dalle autorità israeliane.
Fonte: English version
Di Aseel Mousa – 23 novembre 2023
Immagine di copertina: Lavoratori palestinesi, bloccati in Israele dagli attacchi del 7 ottobre, camminano vicino al valico di frontiera di Rafah con l’Egitto mentre rientrano nella Striscia di Gaza dal valico di frontiera commerciale di Kerem Shalom, 3 novembre 2023. (Foto: STR/APA Immagini)
Ahmad, 58 anni, lavora in Israele come meccanico da quando aveva 24 anni. Ha lavorato in Israele per quasi 20 anni fino a quando Hamas ha preso il potere nella Striscia di Gaza nel 2007. Poi, dopo quasi 17 anni di brutale assedio israeliano alla Striscia di Gaza, è tornato un anno e mezzo fa per lavorare ad Ashdod come meccanico. .
Nel momento in cui la Resistenza Palestinese iniziò il suo attacco, il 7 ottobre, Israele dichiarò guerra e i lavoratori palestinesi che lavoravano in Israele rimasero bloccati.
“Lavoro in Israele da due mesi e mezzo”, ha detto Ahmad. “Ho visitato la mia famiglia a Gaza solo una volta, e quando Israele ha dichiarato guerra, ho immediatamente deciso di tornare a casa, ma Israele ha bombardato il valico di Erez, quindi non ho avuto modo di tornare dalla mia famiglia”.
Per verificare lo stato di validità del loro permesso di lavoro, i lavoratori palestinesi accedono a un’applicazione gestita dal Coordinatore delle Attività Governative nei Territori (COGAT), un organo del Ministero della Difesa israeliano. Se il permesso di lavoro viene revocato, vengono avvisati con un messaggio di testo.
Dopo l’inizio dell’aggressione israeliana a Gaza, le autorità israeliane hanno revocato tutti i permessi senza informare i lavoratori. Israele ha poi condotto una campagna di detenzione su larga scala contro i lavoratori bloccati, quasi raddoppiando da un giorno all’altro la popolazione carceraria palestinese.
Ahmad è rimasto nell’autofficina con il suo collega Waseem, anche lui di Gaza, per quasi due settimane dopo che le autorità israeliane avevano sospeso i permessi di lavoro. Ciò ha significato che la presenza di Ahmad e di tutti i lavoratori di Gaza in Israele è diventata irregolare.
“Mi sentivo come se fossi seduto sui carboni ardenti”, ha detto Ahmad. “Ero terrorizzato per la mia famiglia e i miei cari nella Striscia di Gaza, perché conosco la brutalità dell’assalto israeliano alla Striscia. Ho vissuto cinque invasioni israeliane, e questa è ora la sesta”.
Dopo due settimane di permanenza di Ahmad nell’autofficina, le autorità israeliane hanno fatto irruzione nel garage e hanno arrestato Ahmad e il suo collega.
“Dopo l’arresto, le Forze di Occupazione mi hanno aggredito picchiandomi e maltrattandomi”, ha detto. “Waseem è scomparso da quel momento e da allora non ho più avuto sue notizie”.
Ahmad è stato portato alla stazione di polizia di Ashdod e interrogato.
“Eravamo 11 persone in una cella non più grande di 4 metri quadrati”, ha detto. “La polizia ci ha interrogati incessantemente per ore, chiedendomi di tantissime persone. Ma non conosco nessuno tranne i miei parenti e alcuni amici, poiché passo la maggior parte del mio tempo al lavoro”.
Gli hanno chiesto dove vive a Gaza e, dopo aver risposto, hanno acceso lo schermo di un computer mostrandogli una foto della sua casa per indicare che sapevano già esattamente dove viveva.
“Poi mi hanno chiesto di Hamas e di altre fazioni palestinesi”, ha detto Ahmad. “Hanno cercato di farmi pressione, ma sinceramente non ho niente a che fare con loro, quindi non ho potuto rispondere. Io non so nulla”.
Durante l’indagine, le autorità israeliane hanno prelevato campioni di saliva, impronte digitali e scattato foto segnaletiche. “Ho detto al poliziotto che stava indagando su di me che sono un uomo anziano e che sto per compiere 60 anni e che non sono mai entrato in una stazione di polizia in tutta la mia vita”, ha detto Ahmad.
“Dopodiché ci hanno bendato gli occhi, messo le catene ai piedi e picchiati. Poi ci hanno portato in una zona sconosciuta”.
Alcuni lavoratori credevano di trovarsi nella prigione di Ofer fuori Ramallah poiché potevano sentire in lontananza la chiamata alla preghiera. Alcuni lavoratori che erano stati a Ramallah e riuscivano a riconoscere i suoi edifici, dissero che quelli che vedevano in lontananza sembravano edifici di Ramallah.
“Non abbiamo mangiato per due giorni”, ha detto Ahmad. “Mi sentivo come se dovessi morire di fame e di stenti”.
Hanno poi trasferito i lavoratori di Gaza detenuti in un sito di addestramento per l’esercito israeliano, dove non esistevano nemmeno i requisiti minimi per garantire condizioni umane.
“Le Forze di Occupazione ci hanno messo in reparti”, ha raccontato Ahmad. “Eravamo circa 250 persone stipate in un’area non superiore a 500 metri quadrati”.
“Abbiamo dormito per terra sui ciottoli”, ha continuato. “Per colazione abbiamo mangiato solo un pezzetto di pane e un po’ di marmellata. Non davano abbastanza cibo a nessuno”.
Ahmad afferma che le condizioni dei bagni erano pessime e che erano lasciati esposti alle intemperie. “Faceva molto freddo. Eravamo in una zona quasi deserta e stavamo sotto la pioggia”, ha detto. “Non dormivamo di notte, poiché gli agenti ci chiamavano continuamente, o per trasferirci in un altro reparto senza la minima ragione o per interrogarci”.
Ahmad ha aspettato il suo turno per essere interrogato dalle dieci di sera alle due del mattino, seduto sulla ghiaia con gli occhi chiusi. Dopo aver indagato su Ahmad, i servizi segreti israeliani lo hanno accusato di essere un bugiardo e gli hanno detto che non gli avrebbero rilasciato il permesso per lavorare di nuovo in Israele.
“Dopo essere stato indagato e perquisito con violenza, le Forze di Occupazione mi hanno detto: Corri, corri!” ha raccontato Ahmad. “Ho corso per circa 300 metri, e mi hanno riportato in un reparto diverso da quello in cui ero solo per distrarmi e disorientarmi mettendomi in una nuova cella con degli estranei”.
Secondo Ahmad, molti lavoratori sono stati sottoposti più volte a interrogatori da parte dello Shin Bet e dei servizi segreti israeliani, e alcuni di loro sono stati aggrediti dai cani poliziotto.
“Un uomo anziano, un lavoratore di Gaza in Israele, mi ha detto che la sua schiena era dolorante”, ha detto Ahmad. “E che le Forze di Occupazione israeliane lo hanno spogliato completamente, e avvolto in un telo di nylon trasparente, messo per terra sotto l’aria condizionata e picchiato duramente finché non è quasi morto”.
“Gli è stato detto che tre persone sono state sottoposte a tale tortura fino alla morte”, ha riferito Ahmad. “I loro corpi vengono martoriati”.
Ritorno a Gaza dopo la tortura
Il 3 novembre, verso le 23.00, le Forze di Occupazione israeliane ha messo i lavoratori israeliani su un autobus, bendati, ammanettati e incatenati i piedi. Non hanno detto loro dove sarebbero stati portati. Non sapevano se sarebbero tornati alle loro case a Gaza o in Cisgiordania.
“Sono rimasto sull’autobus dalle 23:00 circa fino alle 11:00 del secondo giorno. La persona i cui piedi erano legati ai miei era diabetica e continuava a vomitare per tutto il percorso. Abbiamo implorato il soldato israeliano di liberargli mani e piedi, ma ha rifiutato. Questo è il vero volto dell’Occupazione. Non hanno un briciolo di umanità”.
Gli operai sono arrivati al valico di Kerem Shalom e dovettero camminare per un chilometro e mezzo per raggiungere l’auto più vicina che li avrebbe riportati a casa.
Ahmad afferma che le Forze di Occupazione gli hanno confiscato la carta d’identità, il permesso e 11.000 Shekel rassicurandolo che li avrebbe riavuti a Gaza, ma arrivato a Gaza non gli è stato restituito nulla!
Ahmad dice che Israele rivendica l’umanità e la trasmette al mondo attraverso immagini che falsificano la verità. “Solo una volta ci hanno offerto il tè mentre eravamo all’aperto, e ci fotografavano!”, disse Ahmad con amarezza. “Quando siamo arrivati nella Striscia di Gaza, ci hanno distribuito acqua e fatto delle foto, ma ci siamo rifiutati di bere l’acqua che ci veniva offerta”.
“Quando sono arrivato nel quartiere dove vivo, faticai per entrare in casa a prendere i soldi e pagare l’autista che mi ha dato un passaggio. Le Forze di Occupazione hanno confiscato tutti i miei soldi. Ho scoperto che molte delle case adiacenti alla mia erano state bombardate e che le macerie riempivano le strade”, ha aggiunto.
Aseel Mousa è un giornalista indipendente palestinese di Gaza.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org