Perché la resistenza palestinese non è un gioco di numeri

Per i palestinesi tutte le questioni sono legate a un unico progetto chiamato liberazione.

Fonte. English version

Di Ramzy Baroud – 5 dicembre 2023

Immagine di copertina: I palestinesi, come ogni altro popolo colonizzato, sperano di introdurre un nuovo fattore in un’equazione a lungo distorta attraverso la Resistenza-AFP

C’è un motivo se i palestinesi sono desiderosi di liberare i loro prigionieri, nonostante il pesante prezzo che continuano a pagare per la loro liberazione.

Potrebbe sembrare razionale chiedersi: che senso ha liberare alcuni detenuti palestinesi dalle carceri israeliane se il prezzo per farlo è la morte di oltre 15.000 palestinesi a Gaza?

Infatti, anche se tutti i prigionieri palestinesi, sono circa 7.000 secondo Addameer, venissero rilasciati, non rappresenterebbero nemmeno il 30% del numero totale dei palestinesi morti e dispersi nel Genocidio israeliano nella Striscia finora.

La logica può sembrare ancora più sconcertante se consideriamo che, tra il 7 ottobre e il 28 novembre, Israele ha arrestato più di 3.200 palestinesi in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est.

In particolare, il numero di donne e bambini palestinesi detenuti rilasciati durante diversi scambi di prigionieri tra la Resistenza Palestinese e l’esercito israeliano tra il 24 e il 30 novembre è insignificante rispetto a quelli arrestati durante lo stesso periodo.

Ma le equazioni matematiche sono irrilevanti nelle guerre di liberazione. Se ricorriamo a questo tipo di logica, allora forse è più razionale che le nazioni colonizzate e i gruppi oppressi non resistano, perché farlo potrebbe moltiplicare il danno inflitto loro dai loro colonizzatori e oppressori.

Mentre gli israeliani vedono tutti i loro prigionieri a Gaza, siano essi civili o soldati, in termini numerici, i palestinesi affrontano la questione da una prospettiva completamente diversa.

Tutti i palestinesi sono prigionieri, secondo la realtà sul campo, perché tutti i palestinesi sono vittime del colonialismo israeliano, dell’Occupazione militare e dell’Apartheid. La differenza tra essere un prigioniero nelle prigioni di Megiddo, Ofer o Ramleh, per esempio, ed essere un prigioniero in una città palestinese isolata e murata sotto l’Occupazione militare israeliana nell’Area C della Cisgiordania è piuttosto tecnica.

È vero, quelli di Megiddo sono sottoposti a maggiore violenza, perfino a torture. Vengono loro negati cibo decente, medicine e la libertà di muoversi. Ma in che modo ciò è fondamentalmente diverso dall’incarcerazione dei 2,3 milioni di persone che vivono oggi a Gaza?

Alcuni sostengono addirittura che vivere a Gaza durante un periodo di Genocidio sia più restrittivo e molto meno sicuro che essere un prigioniero politico in Israele in circostanze “normali”.

Quindi, chiaramente, la questione non è legata ai numeri, ma piuttosto ai rapporti di potere.

Secondo il diritto internazionale, Israele è la Potenza Occupante. Ciò gli conferisce determinati diritti secondo, ad esempio, la Quarta Convenzione di Ginevra, ma anche numerose responsabilità. Per decenni Israele ha abusato di questi diritti e ha completamente ignorato tutte le sue responsabilità. Nello stesso periodo, i palestinesi hanno fatto appello, e persino suppliche, alla comunità internazionale affinché applicasse il diritto internazionale a Israele, senza successo.

Ciò è stato illustrato dalla pietosa prestazione del Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas durante un discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a maggio. “Proteggeteci”, ha detto più volte, prima di fare un’analogia tra i palestinesi e gli animali. “Non siamo esseri umani? Persino gli animali vengono protetti. Se si ha un animale, non lo si protegge? Proteggeteci”.

La maggior parte dei palestinesi sa bene che gli Stati Uniti e le istituzioni internazionali dominate dall’Occidente non forniranno protezione ai palestinesi sulla base di alcun tipo di logica morale, e nemmeno del loro amore per gli animali.

Questa consapevolezza è nata nei palestinesi generazioni fa, quando la comunità internazionale non è riuscita a far rispettare una singola Risoluzione delle Nazioni Unite su Israele. Per quanto riguarda il conflitto in corso, la comunità internazionale si è rivelata particolarmente irrilevante; al punto che il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres lo ha dichiarato apertamente il mese scorso affermando che le Nazioni Unite non hanno né “denaro né potere” per prevenire il Genocidio a Gaza.

Guterres e altri alti funzionari delle Nazioni Unite devono essere consapevoli del ruolo marginale che la comunità internazionale sta svolgendo nella guerra israeliana a Gaza a causa della forte posizione degli Stati Uniti a sostegno di Israele. Finché Washington continuerà a fungere da avanguardia dei crimini di guerra israeliani in Palestina, Tel Aviv non avrà motivo di fermarsi.

Quindi, i palestinesi stanno facendo quello che ogni altro popolo occupato e colonizzato ha fatto in questa situazione: resistere. Attraverso la loro Resistenza, sperano di introdurre un nuovo fattore in un’equazione a lungo distorta e ampiamente controllata da Israele e dai suoi alleati occidentali.

Liberando i loro prigionieri, come risultato diretto della loro stessa Resistenza, i palestinesi sono in grado di influenzare i risultati. Significa che sono agenti politici; di fatto, attori politici che possono ridefinire del tutto le regole del gioco.

Infatti, i palestinesi affrontano la questione dei prigionieri come parte di una più ampia lotta per la liberazione. Coloro che riuscissero a liberare 100 o 7.000 detenuti costituirebbero un precedente storico che, alla fine, consentirà loro di liberare l’intero popolo palestinese.

Israele è pienamente consapevole del potere e della rappresentanza della questione dei prigionieri perché imprigiona i palestinesi come espressione di potere e controllo su ogni aspetto della vita palestinese. Sebbene alcuni detenuti siano considerati, agli occhi di Israele, “prigionieri di sicurezza”, molti sono stati arrestati per semplici post sui social media, per il loro status su WhatsApp o senza alcun motivo.

Molte donne palestinesi sono state arrestate per aver visitato le famiglie di altri prigionieri o per aver pianto la morte di giovani palestinesi uccisi da Israele. Israele ha arrestato queste donne per lo stesso motivo per cui il Ministro della Sicurezza Nazionale di estrema destra Itamar Ben-Gvir ha vietato ai palestinesi di celebrare la liberazione dei loro figli.

Nello specifico, Israele vuole controllare ogni aspetto della vita dei palestinesi: le loro azioni, reali o simboliche, e persino la loro rabbia, gioia e tutte le altre emozioni.

Quando i palestinesi vengono rilasciati attraverso lo scambio di prigionieri, escono dalle prigioni israeliane orgogliosamente e a testa alta, nonostante i numerosi ostacoli e restrizioni e l’ostinazione di Israele nel tenere tutti i palestinesi prigionieri.

Per i palestinesi questa è una vittoria senza precedenti.

Quindi, no, questo non è un gioco di numeri. Sebbene ogni singolo palestinese sia importante, sia che venga ucciso a Gaza o tenuto prigioniero nelle prigioni israeliane, per i palestinesi tutte le questioni sono legate a un unico progetto chiamato liberazione.

È per questa ambita libertà collettiva che i palestinesi hanno combattuto, generazione dopo generazione, per quanto alto sia il costo.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org