L’attivista condanna le azioni dei terroristi ma rilancia. «Continuerò a denunciare gli orrori contro i civili»
MONICA PEROSINO
La Stampa 06 Dicembre 2023 alle 01:00
Nell’incertezza di un mondo che pare sgretolarsi alla velocità della luce, agli occidentali intorpiditi da decenni di pace sembra non restar altro che schierarsi da una parte o dall’altra, bianco o nero, pro o contro.
Dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, antisemitismo e islamofobia sono aumentati vertiginosamente. Figli della paura, e di una Storia che non insegna nulla, tantomeno quando la Storia si sta svolgendo sotto i nostri occhi.
Forse con consapevole noncuranza delle conseguenze, l’attivista climatica svedese Greta Thunberg è tornata a parlare del conflitto tra Israele e Hamas.
L’ha fatto con la voce che abbiamo imparato a conoscere, ferma e senza sfumature, attirandosi – di nuovo – accuse di antisemitismo da Israele e dalla Germania.
In un articolo pubblicato dal quotidiano svedese Aftonbladet e dal britannico Guardian Thunberg e altri esponenti del movimento dei Fridays for Future Svezia accusano lo Stato di Israele di aver commesso crimini di guerra, genocidio e di usare la fame come arma a Gaza: «Gli orribili assassini commessi da Hamas contro civili israeliani non possono in alcun modo legittimare i crimini di guerra in corso da parte di Israele. Il genocidio non è autodifesa, ne è in alcun modo una risposta proporzionata».
L’articolo, uscito in concomitanza della Cop28, dove si discute, tra l’altro, della giustizia climatica (che deriva fondamentalmente dalla salute dei diritti umani), prosegue ricordando che Fridays For Future Svezia, il movimento fondato da Greta in protesta contro la mancata azione dei governi per fare fronte ai cambiamenti climatici, «è sempre intervenuto laddove la gente soffre, è costretta a lasciare le proprie case o viene uccisa, non importa quale sia la causa», anche in sostegno di altre cause, dal Kurdistan all’Ucraina.
Ma succede che stare accanto ai palestinesi debba per forza significare essere contro Israele e, quindi, essere antisemita, in un cortocircuito che pretende il suo sacrificio quotidiano all’irrazionalità. A proposito dell’Ucraina, l’attivista era stata accusata di essere filo-Nato e russofoba quando aveva condannato l’invasione e si era schierata con Zelensky (a giugno si erano visti a Kyiv per parlare dell’ecocidio di Mosca in Ucraina).
Dal 20 agosto 2018, passata la prima euforia mediatica per l’allora inoffensiva ragazzina con trecce e cartello, Greta Thunberg è diventata un personaggio «divisivo», «polarizzante», perfetto bersaglio delle opposte fazioni che smaniano di gettarsi nella mischia. L’articolo aggiunge: «Tutti quelli che si esprimono su questa crisi hanno la responsabilità di distinguere fra Hamas, i musulmani, i palestinesi, e fra lo Stato di Israele, gli ebrei e gli israeliani».
In sintesi, quest’ultimo paragrafo dovrebbe servire come antidoto al veleno della massificazione: non tutti gli ebrei sono Netanyahu, non tutti i palestinesi sono Ismail Haniyeh. Una postura che, soprattutto in Svezia, unico Stato europeo ad aver riconosciuto lo Stato della Palestina (al di fuori dei Paesi dell’ex blocco comunista), non ha indignato nessuno.
Non è la prima volta che l’attivista viene accusata di antisemitismo: a ottobre Thunberg aveva postato una foto insieme a altre tre ragazze, ognuna con un cartello in sostegno della Palestina. I commenti sotto la foto si erano trasformati presto in accuse per la presenza, dietro Thunberg, di un peluche azzurro a forma di polpo che in molti hanno associato a teorie cospirazioniste antisemite e alla propaganda nazista che rappresentava gli ebrei come una piovra che accerchia e controlla il mondo.
Ma il polpo è anche un emblema della neurodiversità, popolare tra le persone con autismo come modo per esprimere sentimenti. Thunberg, che ha una forma di autismo, ha detto di non essere a conoscenza del collegamento e ha sostituito la foto. A voler calcare la mano il suo peccato è stata l’ingenuità, la leggerezza, l’ignoranza. Che sappiamo essere molto pericolose. Ma siamo così sicuri che siano più pericolose del censurare le critiche – quand’anche parziali – con la più infamante delle accuse: antisemita?