La Resistenza Palestinese rimane imbattuta

li eventi drammatici e sconvolgenti verificatisi in Palestina a partire dal 7 ottobre hanno colto di sorpresa molte persone. Ma non gli osservatori attenti.

Fonte: English version

Di Ramzy Baroud – 25 dicembre 2023

Pochi si aspettavano che i combattenti palestinesi si sarebbero paracadutati nel Sud di Israele il 7 ottobre o che, invece di catturare un singolo soldato israeliano, come nel 2006, centinaia di israeliani, tra cui molti soldati e civili, si sarebbero ritrovati prigionieri nella Gaza assediata.

La ragione dietro la “sorpresa” è la stessa ragione per cui Israele è ancora immerso in uno stordimento collettivo, ovvero la tendenza a prestare molta attenzione ai proclami politici e alle analisi dei servizi di sicurezza su Israele e sui suoi sostenitori, trascurando in gran parte le fonti palestinesi.

Per una migliore comprensione, torniamo all’inizio.

Siamo entrati nel 2023 con alcuni dati deprimenti e previsioni oscure su ciò che attendeva i palestinesi.

Poco prima dell’inizio del nuovo anno, l’inviato delle Nazioni Unite in Medio Oriente Tor Wennesland ha affermato che il 2022 è stato l’anno più letale per i palestinesi in Cisgiordania dal 2005. “Troppe persone, in maggioranza palestinesi, sono state uccise e ferite”, ha detto Wennesland al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Questa cifra, 171 morti e centinaia di feriti solo in Cisgiordania, non ha ricevuto molta attenzione da parte dei media occidentali. Il numero crescente di vittime, tuttavia, si è registrato tra i palestinesi e i loro movimenti di Resistenza.

Mentre la rabbia e le richieste di vendetta crescevano tra i palestinesi comuni, la loro dirigenza ha continuato a svolgere il suo ruolo tradizionale, quello di pacificare le richieste palestinesi di Resistenza continuando al contempo con il “coordinamento della sicurezza” con Israele. Il Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, 88 anni, ha continuato a riformulare il vecchio linguaggio sulla Soluzione dei Due Stati e sul cosiddetto processo di pace, ma allo stesso tempo ha represso i palestinesi che osavano protestare contro la sua inefficace guida.

Indifesi di fronte a un governo israeliano di estrema destra con un aperto programma per schiacciare i palestinesi, espandere gli insediamenti illegali e impedire la creazione di uno Stato Palestinese, i palestinesi sono stati costretti a sviluppare le proprie strategie difensive.

Areen Al-Usud (La Tana dei Leoni), un gruppo di Resistenza multifazionale apparso per la prima volta nella città di Nablus nell’agosto 2022, è cresciuto in potere e attrattiva. Altri gruppi, vecchi e nuovi, sono emersi sulla scena in tutta la Cisgiordania settentrionale, con l’unico obiettivo di unire i palestinesi intorno a un programma non frazionale e, in ultima analisi, produrre una nuova dirigenza palestinese in Cisgiordania.

Questi sviluppi hanno suonato come campanelli d’allarme in Israele. L’Esercito di Occupazione Israeliano si è mosso rapidamente per reprimere la nuova ribellione armata, facendo irruzione una dopo l’altra nelle città palestinesi e nei campi profughi con la speranza di trasformare questa nascente rivoluzione in un altro tentativo fallito di sfidare lo status quo nei Territori Occupati.

Le più sanguinose incursioni israeliane si sono verificate a Nablus il 23 febbraio, a Gerico il 15 agosto e, soprattutto, nel campo profughi di Jenin. L’invasione israeliana di Jenin del 3 luglio ricorda, in termini di vittime e grado di distruzione, l’invasione israeliana di quello stesso campo nell’aprile 2002.

Il risultato, però, non fu lo stesso. Allora Israele, dopo aver invaso Jenin e altre città e campi profughi palestinesi, riuscì a schiacciare la Resistenza armata per gli anni a venire. Questa volta, l’invasione israeliana ha semplicemente innescato una ribellione più ampia nei Territori Occupati, creando un ulteriore scisma nel rapporto già deteriorato tra i palestinesi da un lato e Abbas e la sua Autorità Palestinese dall’altro.

Infatti, pochi giorni dopo la conclusione dell’attacco israeliano al campo, Abbas è uscito con migliaia di suoi soldati per avvertire i rifugiati in lutto che “la mano che spezzerà l’unità del popolo sarà tagliata dal loro braccio”.

Eppure, mentre la ribellione popolare continuava a crescere in Cisgiordania, i rapporti della sicurezza israeliana iniziarono a parlare di un piano elaborato dal vice capo dell’Ufficio Politico di Hamas, Saleh Al-Arouri, per innescare un’Intifada armata. La risposta, secondo il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, citando fonti ufficiali israeliane, è stata quella di uccidere Al-Arouri.

L’attenzione e la controstrategia di Israele si concentravano principamente sulla Cisgiordania, poiché Hamas a Gaza, dal punto di vista di Israele, sembrava disinteressata a un confronto a tutto campo.

Ma come è arrivata Tel Aviv a una simile conclusione?

Diversi eventi importanti, del tipo che normalmente avrebbero spinto Hamas a reagire, si sono verificati senza alcuna seria risposta armata da parte della Resistenza a Gaza. Lo scorso dicembre, ad esempio, in Israele aveva prestato giuramento il governo più di destra della sua storia. I ministri di estrema destra Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich sono arrivati ​​sulla scena politica con l’obiettivo dichiarato di annettere la Cisgiordania, imporre il controllo militare sulla Moschea di Al-Aqsa e su altri luoghi santi palestinesi musulmani e cristiani e, nel caso di Smotrich, negando l’esistenza stessa del popolo palestinese.

I loro impegni sono stati rapidamente tradotti in azioni sotto la guida del Primo Ministro Benjamin Netanyahu. Ben-Gvir desiderava mandare il messaggio al suo collegio elettorale che la presa della Moschea di Al-Aqsa da parte di Israele era diventata imminente. Ha ripetutamente ordinato incursioni su Al-Aqsa con una frequenza senza precedenti. La più violenta e umiliante è avvenuta il 4 aprile, quando i fedeli sono stati picchiati dai soldati mentre pregavano all’interno della Moschea durante il mese sacro del Ramadan.

Gruppi della Resistenza a Gaza hanno minacciato ritorsioni. In effetti, diversi razzi sono stati lanciati dalla Striscia verso Israele, servendo semplicemente a ricordare simbolicamente che i palestinesi sono uniti, indipendentemente da dove si trovino nella mappa geografica della Palestina storica.

Israele, tuttavia, ha ignorato il messaggio e ha invece utilizzato le minacce di ritorsioni palestinesi, insieme ai cosiddetti attacchi occasionali dei lupi solitari, come quello di Muhannad Al-Mazaraa all’insediamento illegale di Ma’ale Adumim, come capitale politico per accendere il fervore della società israeliana.

Neppure la morte del prigioniero politico palestinese Khader Adnan, avvenuta il 2 maggio, sembra aver cambiato la posizione di Hamas. Alcuni hanno addirittura suggerito che ci fosse una spaccatura tra Hamas e la Jihad Islamica Palestinese in seguito alla morte di Adnan a seguito del suo sciopero della fame nella prigione di Ramleh.

Lo stesso giorno, la Jihad Islamica Palestinese, di cui Adnan era uno dei membri più importanti, ha lanciato razzi su Israele. Israele ha risposto attaccando centinaia di obiettivi all’interno di Gaza, per lo più abitazioni e infrastrutture civili, che hanno provocato la morte di 33 palestinesi e il ferimento di altri 147.

Una tregua è stata dichiarata il 13 maggio, ancora una volta senza la partecipazione diretta di Hamas, dando ulteriore rassicurazione a Israele che il suo sanguinoso attacco alla Striscia aveva raggiunto non solo uno scopo militare, spesso definito come “Falciare il Prato”, ma anche politico.

Tuttavia, la valutazione strategica di Israele si è rivelata sbagliata, come dimostrato dagli attacchi ben coordinati di Hamas del 7 ottobre nel Sud di Israele, che hanno preso di mira numerose basi militari, insediamenti e altre posizioni strategiche.

Ma Hamas è stato ingannevole? Nascondeva i propri obiettivi strategici reali in previsione di quel grande evento? Un rapido esame delle recenti dichiarazioni e del linguaggio politico di Hamas dimostra che il gruppo palestinese non è stato affatto discreto riguardo alla sua azione futura. Due settimane prima dell’inizio del 2023, il leader di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, aveva un messaggio per Israele: “Verremo da voi come un’onda ruggente. Verremo da voi con infiniti razzi; verremo da voi in un flusso illimitato di soldati, come la marea che sale”.

La risposta immediata all’attacco di Hamas è stata la prevedibile solidarietà statunitense-occidentale con Israele, gli appelli alla vendetta e alla completa distruzione e annientamento di Gaza, e il rilancio dei piani per lo sfollamento dei palestinesi da Gaza in Egitto e dalla Cisgiordania in Giordania.

La guerra israeliana sulla Striscia, anch’essa iniziata il 7 ottobre, ha provocato vittime senza precedenti rispetto a tutte le precedenti guerre israeliane contro Gaza e, di fatto, contro i palestinesi in qualsiasi momento della storia moderna. La parola “Genocidio” fu presto usata, inizialmente da intellettuali e attivisti, ma alla fine anche da esperti di diritto internazionale.

Ciononostante, l’ONU non ha potuto fare nulla. Il Segretario Generale Antonio Guterres ha dichiarato l’8 novembre che le Nazioni Unite non hanno “né le risorse né il potere” per prevenire un potenziale Genocidio a Gaza. Ciò ha significato di fatto la disabilitazione dei sistemi giuridici e politici internazionali, poiché ogni tentativo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di chiedere un cessate il fuoco immediato e permanente è stato bloccato dagli Stati Uniti.

Mentre il bilancio delle vittime aumentava tra la popolazione affamata di Gaza, i palestinesi resistevano in tutta la Striscia. La loro Resistenza non si è limitata ad attaccare o tendere imboscate ai soldati israeliani invasori, ma si è basata sul leggendario Sumud (Fermezza) di una popolazione che rifiuta di essere fiaccata o sfollata.

Questo “Sumud” è continuato, anche quando Israele ha cominciato ad attaccare sistematicamente ospedali, scuole e ogni luogo che, in tempo di guerra, dovrebbe essere considerato “sicuro” per per una popolazione civile assediata.

Il 3 dicembre, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani Volker Turk ha affermato che “non esiste un posto sicuro a Gaza”. Ciò è stato ripetuto da altri funzionari delle Nazioni Unite, insieme ad altre frasi come “Gaza è diventata un cimitero per i bambini”, notata per la prima volta dal Portavoce dell’UNICEF James Elder il 31 ottobre. Ciò non ha lasciato a Guterres altra scelta se non quella di invocare l’Articolo 99 della Carta delle Nazioni Unite, che consente al Segretario Generale di “portare all’attenzione del Consiglio di Sicurezza qualsiasi questione che a suo avviso può minacciare il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale”.

La violenza israeliana e il Sumud palestinese si sono estesi anche alla Cisgiordania. Consapevole del potenziale di Resistenza armata in Cisgiordania, l’esercito israeliano ha rapidamente lanciato grandi e mortali incursioni su innumerevoli città, villaggi e campi profughi palestinesi, uccidendo centinaia, ferendone migliaia e arrestandone altre migliaia.

Ma Gaza è rimasta l’epicentro del Genocidio israeliano. A parte una breve tregua umanitaria, abbinata ad alcuni scambi di prigionieri, la battaglia per Gaza, di fatto, per il futuro della Palestina e del popolo palestinese, continua e ad un costo senza precedenti di morte e distruzione.

I palestinesi sanno molto bene che la lotta attuale significherà o una Nuova Nakba, come la Pulizia Etnica del 1948, o l’inizio dell’inversione di quella stessa Nakba, come nel processo di liberazione del popolo palestinese dalla morsa del colonialismo israeliano.

Mentre Israele è determinato a porre fine alla Resistenza Palestinese una volta per tutte, è ovvio che la determinazione del popolo palestinese a conquistare la propria libertà nei prossimi anni è molto maggiore.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org