Venezia 8 gennaio 2024 – Pina Fioretti
Sì, sono omicidi mirati. I militari israeliani sterminano i giornalisti e i reporter palestinesi deliberatamente, quando non riescono a colpirli individualmente fanno cadere i missili sulle case dei loro familiari per annientare psicologicamente il giornalista preso di mira.
Nel caso di Wael Al Dahdouh, lui che è caporedattore a Gaza per Aljazeera, il 26 ottobre scorso, durante un collegamento, ha scoperto in diretta che erano stati uccisi sua moglie, sua figlia, suo figlio e un nipote durante il bombardamento di cui stava documentato le conseguenze. Il 15 dicembre Wael è stato ferito a un braccio mentre svolgeva il suo lavoro di giornalista a Khan Younis. Anche il suo cameraman, Samer Abudaqqa, è stato ferito ed è morto dissanguato perché Israele non ha permesso ai soccorsi di raggiungerlo.
Oggi, un drone ha preso di mira l’auto su cui viaggiava suo figlio Hamzah Al Dahdouh, anch’egli giornalista. Con lui è stato ucciso anche Mustafa Thuraya.
Sin dai primi bombardamenti, Israele ha applicato la linea di assassini mirati dei giornalisti. Lo ha fatto persino contro la stampa libanese. Il 13 ottobre l’esercito israeliano ha preso di mira e colpito un veicolo su cui viaggiavano il giornalista libanese Issam Abdallah che muore sul colpo mentre due giornalisti di Reuters, due di Aljazeera e due di AFP rimangono feriti (alla giornalista francese Christin Assi sarà amputata una gamba).
Sono omicidi mirati. Dall’inizio dell’attacco a Gaza, Israele ha assassinato 109 giornalisti e tra loro 9 donne. Da sempre Israele prende di mira i giornalisti, anche internazionali. La lista è lunga, ci sono stati anche giornalisti italiani uccisi in questi 75 anni di colonizzazione della Palestina: Raffaele Ciriello ucciso a Ramallah nel 2002 e Simone Camilli ucciso a Gaza nel 2014. A morire, mentre svolgevano il loro lavoro, molti altri reporter e giornalisti di vari paesi. Con l’omicidio mirato a Jenin di Shereen Abu Aqleh nel 2022 Israele ha mostrato al mondo che il suo diritto all’impunità è inviolabile e che può continuare indisturbato.
A Gaza nel 2012 è stata fondata Ain Media, una società di produzione audiovisiva. I giovani che la fondarono avevano meno di 30 anni: non erano mai usciti da Gaza, erano nati sotto occupazione e cresciuti sotto l’assedio di Israele. Ain Media fu fondata da Yaser Murtaja e Roshdi Sarraj. Aveva 12 anni Yaser quando suo zio gli regalò una macchina fotografica, da quel momento scoprì la sua passione: la fotografia. Con l’amico Roshdi iniziarono a trasformare quella passione in un interesse da coltivare e in una vera e propria attività. Nel 2014, due anni dopo la fondazione di Ain Media, Israele attaccò la striscia di Gaza con l’operazione Margine di Protezione.
Yaser e Roshdi decisero di seguire i bombardamenti e documentare le gravi conseguenze. Pur sapendo che rischiavano la vita, i due giornalisti documentavano i crolli di edifici, le aree devastate, i tentativi di salvare le vite sotto le macerie.
Furono i primi a Gaza ad usare un drone per le riprese dall’alto.
I servizi che autoprodussero furono notati da emittenti internazionali e Ain Media iniziò a collaborare con Aljazeera, Reuters e altre agenzie.
Il team si allargò con l’arrivo di altri giovani fotografi, tecnici e grafici di Gaza.
Dopo Margine di Protezione che aveva causato la morte di circa 2300 palestinesi e immense distruzioni, il team di giovani professionisti decide di dedicarsi a narrare la vita a Gaza, la ripresa, la ricostruzione, la resilienza e la resistenza. Lo hanno fatto senza toni vittimistici, molti dei loro documentari raccontano in primis la dignità della lotta dei palestinesi.
Nel 2018 Hamas indice a Gaza la Marcia del Ritorno, una serie di marce che si tenevano ogni venerdì e che vedeva migliaia di civili dirigersi verso i confini per attirare l’attenzione del mondo e chiedere la fine dell’assedio. Erano manifestazioni pacifiche. I cecchini israeliani, in circa 20 mesi di marce del ritorno, falciarono 255 palestinesi, tra loro donne e bambini, e ferirono più di 23000 persone.
Il 6 aprile 2018, Yaser indossava la sua pettorina con la scritta PRESS ed era intento a documentare la marcia. Un cecchino lo ferì all’addome e il giovane giornalista morì 12 ore dopo tra gravi sofferenze. Accanto a lui Roshdi che registrò il mortale ferimento dell’amico e collega.
Nel 2021 Roshdi Sarraj, deciso a portare avanti la missione di Ain Media, ha documentato il bombardamento di Israele su Gaza, la violenta operazione di aggressione denominata Guardiani delle Mura. Israele si ispira ai versetti biblici nelle sue strategie militari, persino nei nomi con cui le definisce. Questa deriva religiosa integralista di Israele ha trovato stampa e politica occidentale molto distratte al punto che non si sono resi conto i governi occidentali di appoggiare un fanatismo teologico che oggi sta sdoganando la teologizzazione del massacro dei civili attraverso il genocidio a Gaza. Durante l’operazione Guardiani delle Mura Israele prese di mira l’edificio che ospitava la redazione di Aljazeera e di altre emittenti internazionali. In quei giorni Roshdi girava, inquadrava, fotografava, registrava mentre il grande giornalista palestinese Wael El Dahdouh, commentava e denunciava gli obiettivi messi a segno dall’esercito israeliano,tra cui le sedi televisive.
Roshdi monterà il materiale e produrrà un cortometraggio, Bank of Targets, che è stato premiato anche al Festival Al Ard di Cagliari.
Il 22 ottobre 2023 Roshdi Sarraj, insieme ad altri membri della sua famiglia, è morto sotto le macerie della sua casa colpita da un missile. Un’ ulteriore prova che i giornalisti vengono inseguiti e perseguitati.
Anche un altro giovane cameraman del team di Ain Media, Ibraheem Lafi, è stato assassinato da un missile.
Mentre scrivo so che ce ne saranno altri di giornalisti palestinesi assassinati, intanto la stampa italiana continua a fare da megafono alla politica neocon di Israele e dei suoi alleati. In questo contesto è da ammirare e sostenere il caso isolato del giornalista Raffarle Oriani che ha interrotto la collaborazione con Repubblica per protestare contro la linea redazionale che censura la verità su Gaza e Palestina