Nel documento c’è abbastanza per dichiarare la nascita di un nuovo movimento di Hamas, che rompe con il suo passato dei primi anni di fondazione.
Fonte: English version
As’ad AbuKhalil – 30 gennaio 2024
Immagine di copertina: Attacco missilistico di Hamas da Gaza a Israele, 7 ottobre 2023. (Tasnim News Agency, Wikimedia Commons, CC BY 4.0)
La scorsa settimana, l’Ufficio Informazioni di Hamas ha rilasciato un documento speciale intitolato “Questo è il nostro Manifesto: perché l’Onda di Aqsa.” In esso, il movimento spiega in dettaglio le motivazioni e gli obiettivi dell’Operazione.
È improbabile che il documento attiri l’attenzione dei media e dei governi occidentali perché la narrazione di Hamas sugli eventi del 7 ottobre si scontra con la propaganda lanciata da Israele e diffusa dai governi e dai media occidentali. Tuttavia, nel documento c’è abbastanza per dichiarare la nascita di un nuovo movimento di Hamas, che rompe con il suo passato dei primi anni di fondazione.
Nella storia della lotta palestinese, le organizzazioni politiche svaniscono mentre ne emergono sempre di nuove per sostituirle. I leader vengono screditati dopo grandi eventi storici, e nuovi leader emergono e catturano l’immaginazione di una nuova generazione palestinese.
Alcune organizzazioni politiche (Gruppi di Resistenza) sopravvivono e rimangono, ma subiscono importanti trasformazioni politiche. Il Movimento Fatah è stato, negli anni ’60 e ’70, la spina dorsale della lotta militare e politica palestinese.
Sebbene non abbia ottenuto il successo militare e la maggior parte delle sue operazioni contro Israele siano fallite, il popolo palestinese si è schierato dietro Fatah perché Yasser Arafat era percepito come il nuovo (e in seguito unico e indiscusso) leader della Rivoluzione Palestinese.
Oggi, il Movimento Fatah è percepito, giustamente, dalla maggior parte dei palestinesi come l’esercito per procura dell’Occupazione israeliana e degli Stati Uniti. L’amministrazione Biden insiste sul fatto che Fatah (dopo un po’ di “ammodernamento” e ristrutturazione) sarà l’unico partito accettabile (accettabile per gli Stati Uniti e per alcuni in Israele) per gestire la sicurezza e il governo a Gaza dopo la guerra.
Il popolo palestinese la pensa diversamente e considera l’esercito dell’Autorità Palestinese come un braccio di repressione per conto di Israele e degli Stati Uniti. L’idea che gli Stati Uniti e Israele possano scegliere i leader palestinesi è vecchia quanto l’Occupazione e la Colonizzazione.
Anche Hamas è cambiata nel corso degli anni. Quando fu fondata nel 1987, era un’organizzazione militante che si concentrava fortemente sulla retorica religiosa e non contava sul successo delle operazioni militari come fonte di legittimità e credibilità. Fu strettamente associato ai bombardamenti casuali della Seconda Intifada, quando Arafat e l’OLP stavano spingendo per un accordo pacifico con Israele.
Ma cosa spiega il cambiamento nella struttura, nel ruolo e nelle politiche di un movimento o di gruppi di Resistenza nell’Oriente arabo? Nell’esaminare i cambiamenti avvenuti in Hamas, è istruttivo guardare alla storia di Hezbollah, il Gruppo di Resistenza sciita contro Israele in Libano.
Fattori di cambiamento
Nel caso di Hezbollah, si possono individuare diversi fattori che giocano un ruolo nel plasmare e spostare l’attenzione e la retorica di un movimento.
Un cambio di dirigenza può causare un cambiamento importante nelle politiche e nelle pratiche di un’organizzazione.
Il Movimento Fatah, prima dell’imposizione della dirigenza autocratica di Arafat dopo il 1970, era molto diverso da quello che divenne successivamente, sempre sotto la guida di Arafat, ma ancor più quella di Mahmoud Abbas.
All’inizio c’era più una direzione collettiva. Allo stesso modo, Hasan Nasrallah ha ereditato un Partito Hezbollah che non era molto popolare o compreso al di fuori del Libano (e nemmeno all’interno del Libano).
Israele pensava che uccidendo Abbas Musawi (più sua moglie e suo figlio) nel 1992, avrebbe posto fine per sempre al fenomeno Hezbollah. Invece, Nasrallah è in gran parte responsabile di aver trasformato Hezbollah nel più grande partito politico arabo, probabilmente di sempre, anche se prendiamo in considerazione il Partito Comunista Sudanese nel suo periodo di massimo splendore negli anni ’60.
Nasrallah ha anche libanizzato il Partito e lo ha inserito nella scena politica libanese, dove prima era stato in qualche modo estraneo. È stato lui ad abbandonare l’obiettivo di una Repubblica Islamica in Libano, che era stato il fulcro di Hezbollah quando il partito era stato fondato.
Nasrallah non ha posto fine alla dirigenza collettiva che ha caratterizzato Hezbollah fin dalla sua fondazione, ma il suo carisma lo ha spinto alla direzione regionale, ben oltre gli angusti confini della politica libanese. Nasrallah si consulta con l’Iran e altri all’interno del suo partito, ma ci si aspetta che prenda le decisioni strategiche finali del partito, soprattutto quando si tratta di Palestina e Libano.
Hezbollah era temuto prima di Nasrallah, mai amato o compreso. Nell’era Nasrallah, il Partito divenne amato da alcuni (la maggior parte prima della guerra siriana del 2011), odiato da altri e incompreso da molti. (Naturalmente, i media del Regime Saudita sono specializzati nel distorcere il significato delle parole di Nasrallah come parte della loro campagna di propaganda regionale per demonizzare i nemici di Israele.)
Il nuovo leader di Hamas, Yahda Sinwar, sta provocando un drastico cambiamento nel ruolo, nella pratica e nell’efficacia di Hamas. Proprio come Nasrallah, Sinwar ha iniziato a lasciare il segno subito dopo aver assunto la guida nel 2017.
Come Nasrallah (che aveva ricoperto un ruolo nella sicurezza presso Hezbollah anni prima di assumerne la guida), Sinwar aveva un ruolo nella sicurezza presso Hamas. Presumibilmente ha dato la caccia ai collaboratori israeliani all’interno di Hamas e a Gaza.
L’incapacità di Israele nel raggiungere i vertici e la struttura di comando di Hamas è dovuta al sistema di sicurezza installato a Gaza da Sinwar.
Non è un uomo d’affari come Khalid Mishal, l’ex leader di Hamas, ed evita la politica e i conflitti tra regimi arabi. Crede anche fermamente nell’efficacia dell’asse regionale di Resistenza e lo mette in grande evidenza nel modo in cui gestisce le risorse militari del movimento.
Hamas ruppe con la sua precedente politica quando Mishal trasformò Hamas in un braccio della politica estera del Qatar. Mishal era più vicino al Qatar e alla Turchia, mentre Sinwar è più vicino all’Iran, che fornisce al movimento aiuti militari cruciali (il Qatar fornisce ad Hamas aiuti finanziari, ma secondo quanto riferito in stretto coordinamento con Israele).
Un partito può cambiare imparando dai suoi errori passati. Quando Hamas emerse, non esitò a esprimere sentimenti antiebraici, anche citando i famigerati Protocolli dei Savi Savi di Sion. All’inizio Hamas non era nemmeno sensibile alla sensibilità cristiana. Ma le cose sono cambiate nel tempo.
In questo documento (e in un documento politico del 2018) il movimento ha chiarito di non nutrire alcuna ideologia di ostilità contro gli ebrei, in quanto ebrei. Si tratta di un cambiamento importante, articolato anche da Hezbollah nel suo manifesto politico del 2009.
A dire il vero, Israele e i sionisti occidentali non vogliono ammettere che i movimenti cambino. Vogliono incasellare tutti i Gruppi di Resistenza Palestinesi e Arabi come nazisti, qualunque cosa facciano e dicano. Ad oggi, i media occidentali fanno riferimento alla retorica politica di Hamas del suo primo anno e non a quella degli anni più recenti.
Fanno lo stesso con Hezbollah: i media del Regime Saudita si dilettano a ritrovare vecchi discorsi di Nasrallah in cui si fa riferimento a uno Stato Islamico per allontanare i sostenitori non sciiti in Libano e nel Mondo Arabo.
Hamas ha inoltre rotto con la sua storia di non fare distinzione tra obiettivi militari e civili israeliani (nonostante le sue prime dichiarazioni in tal senso). Non è facile per i Gruppi di Resistenza Arabi fare questa distinzione perché: A) Israele e il movimento sionista sin dagli anni ’30 non si sono mai presi la briga di fare distinzioni tra civili e combattenti arabi; B) perché molti israeliani (uomini e donne) sono armati e prestano servizio nelle riserve.
L’ondata di attacchi suicidi di Hamas durante la Seconda Intifada ha allontanato i sostenitori arabi e non arabi dei palestinesi. Nel nuovo Manifesto Hamas enuncia una politica dichiarata volta ad evitare il prendere di mira i civili come parte della sua dottrina religiosa ed etica.
C’è stato un percorso simile nella storia di Hezbollah. Hezbollah è ora molto propenso a evitare il prendere di mira i civili. Anche negli ultimi mesi di guerra tra Hezbollah e Israele, Hezbollah ha preso di mira rigorosamente i siti militari in Israele quando sarebbe stato molto più facile sparare a caso.
Al contrario, Israele, in tutte le sue guerre, riesce a uccidere molti (o la maggior parte) civili. Infatti, Israele, in questa recente Guerra Genocida, non nega che la maggior parte delle sue vittime a Gaza siano state civili, ma sostiene che molte delle persone massacrate erano combattenti di Hamas.
(L’intelligence americana stima che Israele abbia esagerato la percentuale di combattenti uccisi). Nella guerra del luglio 2006, la stragrande maggioranza delle persone uccise da Hezbollah erano soldati e ufficiali, mentre la maggior parte di coloro che furono uccisi dalla parte libanese erano civili.
As’ad AbuKhalil è un professore libanese-americano di scienze politiche all’Università Statale della California, Stanislaus. È autore di: Dizionario storico del Libano (Historical Dictionary of Lebanon – 1998), Bin Laden, l’Islam e la Nuova Guerra Americana al Terrorismo (Bin Laden, Islam and America’s New War on Terrorism – 2002), La Battaglia per l’Arabia Saudita (The Battle for Saudi Arabia – 2004) e ha gestito il popolare blog The Angry Arab.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org