L’Occidente, i suoi dirigenti e i suoi sistemi, non sono riusciti a proteggere l’Umanità dal fascismo, dal razzismo e dal loro impatto catastrofico sull’Umanità.
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Di Basem Naim – 5 febbraio 2024
Immagine di copertina: Milioni di persone hanno manifestato in tutto il mondo a sostegno della lotta palestinese per la libertà, qui a Roma il 27 gennaio. Credito fotografico: Marcello Valeri (zumapress)
Mentre ci avviciniamo al quinto mese dell’aggressione sionista contro il popolo palestinese, è forse utile fare un passo indietro e valutare sia l’Operazione Onda di Al-Aqsa del 7 ottobre che le sue conseguenze.
Il 7 ottobre era legittimo? Cosa ha ottenuto?
Cosa abbiamo imparato dalla reazione sionista? Quali sono le ripercussioni per tutti i partiti, dentro o fuori la Palestina, per gli attori locali, regionali o globali?
In primo luogo, è importante stabilire che tutti coloro che hanno comunicato con la dirigenza di Hamas prima del 7 ottobre, da politici e diplomatici a mediatori e giornalisti, hanno ascoltato un messaggio chiaro e inequivocabile: Un’esplosione era solo una questione di tempo.
La ragione? Israele stava cercando di trasformare quello che è un conflitto politico su uno Stato Palestinese, sul Diritto al Ritorno dei rifugiati palestinesi e sull’Autodeterminazione del Popolo Palestinese, in un conflitto religioso che contrappone l’ebraismo (e il cristianesimo) all’islam.
Queste politiche includevano i tentativi da parte di Israele di esercitare il pieno controllo sulla Moschea di al-Aqsa, in vista della sua eventuale demolizione; i suoi tentativi decennali di giudaizzare Gerusalemme, espellendo i palestinesi dalle loro case e terre; e la sua annessione di fatto della più ampia Cisgiordania insieme alle minacce di annettere formalmente i suoi insediamenti illegali.
Includevano anche il continuo assedio di Gaza, durante il quale la fascia costiera e i suoi 2,3 milioni di abitanti furono isolati e imprigionati. Tra questi vi sono i maltrattamenti dei prigionieri palestinesi, che hanno subito un’accelerazione sotto Itamar Ben-Gvir, Ministro della Sicurezza Nazionale.
E alla fine includevano tentativi di persuadere, con la complicità degli Stati Uniti, i Paesi arabi e musulmani a ignorare i diritti dei palestinesi e a normalizzare le relazioni con l’entità sionista senza risolvere la Questione Palestinese, rendendola una preoccupazione puramente interna israeliana.
I leader di Hamas hanno esposto tutte queste questioni a chiunque fosse disposto ad ascoltarle, ma nessuno ha prestato attenzione. O consideravano gli avvertimenti di un’esplosione una minaccia vuota; avevano pienamente adottato la narrativa sionista secondo cui Hamas era “dissuaso” e principalmente interessato a consolidare il suo dominio a Gaza; oppure erano intossicati dal potere sionista.
L’Operazione Onda di Al-Aqsa, guidata da Hamas e da altre fazioni della Resistenza, è stata una risposta a quello che era un chiaro e imminente pericolo per la nostra causa nazionale, e una reazione all’indifferenza regionale e internazionale nei confronti della Palestina e del suo popolo.
Senza l’azione preventiva del 7 ottobre, la Causa Palestinese avrebbe potuto essere dimenticata e cancellata del tutto.
Ma ha raggiunto gli obiettivi desiderati?
Resistenza incredibile
Ci sono due fasi di cui parlare. La prima è iniziata e si è conclusa il 7 ottobre, la seconda è quella che è seguita e continua ancora oggi.
Gli obiettivi del 7 ottobre sono stati pienamente raggiunti. L’Onda di Al-Aqsa ha demolito il mito dell’esercito invincibile di Israele e delle agenzie di intelligence onniveggenti e onniscienti, capaci di colpire in ogni angolo della regione e del mondo.
Tutto ciò è stato fatto solo da una manciata di uomini con mezzi semplici e limitati ma con una fede ferma e una forte determinazione.
Nella seconda fase, il popolo palestinese ha pagato un prezzo molto alto. Ma i palestinesi hanno una fede profonda nel loro diritto a una Patria libera e dignitosa.
Oltre a una Resistenza intraprendente che ha sorpreso tutti gli osservatori, amici e nemici, hanno sventato i piani di Israele di schiacciare la Resistenza, deportare la popolazione di Gaza e recuperare gli ostaggi israeliani.
Dopo quattro mesi, è chiaro che la Resistenza Palestinese controlla ancora saldamente il campo di battaglia con abilità e ingegnosità, continuando a infliggere colpi dolorosi ai militari nemici.
Nonostante tutti gli orrori scatenati sul popolo palestinese, oltre 65.000 tonnellate di bombe sono state sganciate su Gaza su 2,3 milioni di persone dal 7 ottobre, Israele non è riuscito a spezzare la volontà del popolo e l’attaccamento alla sua terra.
Il popolo palestinese, nonostante il dolore e la sofferenza, ha mostrato una resilienza incredibile, sorprendendo il mondo.
E nonostante tutti gli sforzi tecnologici e strategici da Est e Ovest per localizzare i prigionieri a Gaza, il nemico ha fallito ogni tentativo. L’esercito israeliano è riuscito goffamente a causare la morte di alcuni ostaggi per fuoco amico, insieme a coloro che erano accorsi in loro soccorso, ma nessun ostaggio è tornato alle proprie famiglie se non alle condizioni e nei tempi stabiliti dalla Resistenza.
La domanda centrale ora è: e dopo?
Siamo ancora nel mezzo di una feroce battaglia e potrebbe essere prematuro trarre conclusioni. Tuttavia, tutti gli indicatori puntano in una direzione: ciò che verrà dopo non sarà lo stesso di prima del 7 ottobre.
L’Onda di Al-Aqsa e tutto ciò che ne è seguito modificheranno i termini strategici del conflitto a favore del popolo palestinese e della sua giusta causa a livello nazionale, regionale o internazionale, così come per il nemico e il suo futuro.
Cambio al vertice
A livello nazionale, il popolo palestinese ha riacquistato vigore e fiducia nella propria capacità di superare la vergognosa realtà di Oslo e le sue conseguenze catastrofiche. Ancora più importante, la possibilità della liberazione, del ritorno e dello smantellamento dell’Occupazione israeliana è diventata non solo possibile ma molto probabile.
Una delle conseguenze è che la dirigenza, il cui progetto politico è fallito con gli Accordi di Oslo del 1993 e ha portato alla catastrofe nazionale, non può rimanere al timone.
I sondaggi d’opinione intrapresi dall’inizio dell’aggressione confermano questa verità. Dobbiamo voltare pagina nelle nostre relazioni intra-nazionali, per costruire sui risultati della battaglia e ricostruire democraticamente la Patria Palestinese alla luce delle nuove realtà stabilite da questa battaglia.
Il passo più importante è costruire le istituzioni politiche palestinesi e il progetto nazionale palestinese in modo che riflettano i cambiamenti degli ultimi decenni e siano veramente rappresentativi delle aspirazioni, dei sacrifici e dell’esperienza politica del popolo palestinese, in particolare della disastrosa esperienza di Oslo.
A livello regionale, l’Onda di Al-Aqsa ha avuto ripercussioni fondamentali e strategiche. Ma, cosa ancora più importante, ha interrotto il catastrofico progetto di “normalizzazione”, che si sarebbe sicuramente concluso con la cancellazione della Questione Palestinese.
L’Operazione del 7 ottobre ha dimostrato a coloro che guardavano a Israele per ottenere sostegno e protezione che l’entità sionista è fragile e troppo debole anche solo per proteggere se stessa. La battaglia ha aperto un enorme divario tra la regione e la sua popolazione da un lato, e Israele e la possibilità della sua integrazione dall’altro.
Questa svolta degli eventi ha fatto rivivere nelle persone ciò che era quasi morto a causa degli anni difficili vissuti nella regione, riaccendendo la grande speranza di ritorno, di liberazione dei luoghi santi e di autodeterminazione.
Gaza ha presentato un modello eccezionale di iniziativa e azione nonostante enormi sfide e ostacoli. Se Gaza assediata può fare questo, perché noi non possiamo ripetere l’esperienza in tutta la Patria Araba?
Ciò a sua volta avrà senza dubbio ripercussioni fondamentali sul modo in cui i popoli della regione vedono se stessi e la loro capacità di azione e cambiamento, indipendentemente dai loro orientamenti politici o dalla loro posizione geografica.
Possiamo quindi aspettarci un nuovo ciclo della Primavera Araba nella regione poiché la risposta ufficiale al sanguinoso confronto di Gaza è stata lontana dalle aspirazioni della nazione, dei suoi popoli e dalla responsabilità storica della nazione araba nei confronti della Causa Palestinese.
Porre fine all’aggressione
A livello internazionale, la svolta è stata significativa, strategica e irreversibile.
In primo luogo, la Questione Palestinese, nonostante i tentativi sionisti di seppellirla, è diventata una causa personale per milioni di persone in tutto il mondo.
Il mondo è stato testimone diretto della realtà di questo progetto razzista, in netto contrasto con le sue pretese di rappresentare l’Occidente e i valori di libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani. Si è invece rivelato come un predatore sanguinario, interpretando il ruolo di vittima e ricattando l’Umanità per decenni.
Il significato di questo cambiamento narrativo risiede nella dipendenza di Israele da due principali pilastri di sostegno per la sua sopravvivenza: la sua forza materiale (militare ed economica) e l’accettazione internazionale della sua legittimità.
Il popolo palestinese e la sua Resistenza hanno affrontato il primo fattore. Il secondo è crollato drammaticamente all’indomani del 7 ottobre.
A livello internazionale, la battaglia è ancora agli inizi. Coloro che hanno pianificato questo progetto dannoso, lo hanno costruito e coltivato per decenni nel quadro degli interessi reciproci tra il movimento sionista e le potenze imperialiste, si sono precipitati in suo soccorso quando era quasi crollato.
Possiamo però almeno osservare trasformazioni importanti. Molti Paesi si sono resi conto che cancellare la Questione Palestinese e scavalcare il popolo palestinese semplicemente non è possibile.
Nessuno potrà godere di sicurezza e stabilità nella regione o altrove senza risolvere questo conflitto e rispettare i diritti intrinseci del popolo palestinese.
Per quanto riguarda il nemico sionista, la battaglia e le sue ripercussioni hanno approfondito gravi divisioni interne, siano esse politiche, sociali o ideologiche. Uno dei motivi principali per cui questa battaglia continua sono i tentativi della dirigenza israeliana di sfuggire alle conseguenze delle proprie azioni, temendo il giorno dopo e la minaccia del collasso.
Ma, cosa ancora più importante, il 7 ottobre ha inferto un duro colpo strategico alla fiducia dell’opinione pubblica israeliana nelle sue dirigenze politiche, militari e di sicurezza, e nella loro capacità di guidare, garantire sicurezza o proteggere i propri cittadini.
La Resistenza e i suoi vertici tengono ancora saldamente le redini. Sul campo c’è ancora molto da fare per sconfiggere il nemico, costringendolo a fermare l’aggressione e a ritirarsi dalla nostra amata Gaza.
Allo stesso tempo, sono in corso sforzi per dare sollievo alla nostra popolazione e alleviare questo disastro umanitario.
A livello politico nazionale, alcuni cercano di riportarci al contesto politico antecedente il 7 ottobre, ma dovrebbe essere chiaro che né la Resistenza né il popolo palestinese accetteranno lo status quo precedente o qualsiasi risultato che non onori gli enormi sacrifici fatti da popolo palestinese.
Qui può essere utile sottolineare che le due priorità della Resistenza in questa fase, che comunica agli Stati e ai mediatori, sono porre fine immediatamente e in modo completo all’aggressione e garantire il ritiro di tutte le Forze di Occupazione dall’intera Striscia di Gaza e affrontare la catastrofe umanitaria provocata dall’aggressione.
Qualsiasi proposta che non raggiunga immediatamente questi due obiettivi come primo passo non sarà accettata e non avrà successo.
Processo politico
Un processo politico a medio e lungo termine potrà iniziare solo più tardi, a partire dallo scambio di prigionieri, dalla revoca dell’assedio e dalla ricostruzione di ciò che l’Occupazione ha distrutto.
A ciò dovrebbe poi seguire una riorganizzazione del corpo politico palestinese su basi che ripristinino la credibilità del progetto nazionale originale, culminando in un processo politico per porre fine all’Occupazione Sionista, sostenere il diritto palestinese all’autodeterminazione e istituire uno Stato Palestinese indipendente con Gerusalemme come capitale e garantire il ritorno dei rifugiati in conformità con le pertinenti risoluzioni internazionali.
L’Operazione Onda di Al-Aqsa ha segnato un momento decisivo e un’opportunità strategica, non solo per il popolo palestinese ma per le nazioni arabe e islamiche, di riconquistare un primato di civiltà, presentando un modello diverso per la gestione degli affari umani.
L’Occidente, i suoi dirigenti e i suoi sistemi, non sono riusciti a proteggere l’Umanità dal fascismo, dal razzismo e dal loro impatto catastrofico sull’Umanità.
Questa opportunità non deve sfuggirci di mano, altrimenti potremmo, Dio non voglia, dover aspettare decenni per un’occasione simile. Questa battaglia dovrebbe diventare un trampolino di lancio per il popolo palestinese e per la sua giusta causa, proprio mentre assistiamo a enormi trasformazioni internazionali con il declino e la transizione del sistema unipolare in un sistema multipolare, o multi-attore.
Ciò sarebbe segnato dall’avanzamento del Sud del Mondo, di cui facciamo parte, verso una posizione adatta ai suoi popoli dopo secoli di colonizzazione, schiavitù, saccheggio delle risorse ed emarginazione.
Il dottor Basem Naim è un ex Ministro della Sanità palestinese e membro dell’Ufficio Politico di Hamas. In precedenza è apparso ed è stato pubblicato in diversi media, tra cui la rete australiana ABC, Sky News nel Regno Unito, The Guardian, Middle East Eye, Al Jazeera e The Jewish Daily Forward.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org