La fase finale del Genocidio israeliano a Gaza, una fame di massa pianificata, è iniziata. La comunità internazionale non intende fermarla.
Fonte: English version
Di Chris Hedges – 8 febbraio 2024
Immagine di copertina: Bambini cercano di ricevere aiuti alimentari nella città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, il 31 dicembre 2023. Rizek Abdeljawad/Xinhua/Getty Images
Non c’è mai stata alcuna possibilità che il governo israeliano accettasse una tregua nei combattimenti proposta dal Segretario di Stato Antony Blinken, tanto meno un cessate il fuoco. Israele è sul punto di sferrare il colpo di grazia nella sua guerra contro i palestinesi di Gaza: la fame di massa. Quando i leader israeliani usano il termine “vittoria assoluta”, intendono la decimazione totale, l’eliminazione totale. Nel 1942 i nazisti affamarono sistematicamente i 500.000 uomini, donne e bambini del ghetto di Varsavia. Questo è un numero che Israele intende superare.
Israele e il suo principale protettore, gli Stati Uniti, nel tentativo di chiudere l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Impiego dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), che fornisce cibo e aiuti a Gaza, non solo stanno commettendo un Crimine di Guerra, ma è in flagrante sfida alla Corte Internazionale di Giustizia. La Corte ha ritenuto plausibili le accuse di Genocidio mosse dal Sudafrica, che includevano dichiarazioni e fatti raccolti dall’UNRWA. Ha ordinato a Israele di rispettare sei misure provvisorie per prevenire il Genocidio e alleviare la catastrofe umanitaria. La quarta misura provvisoria invita Israele a garantire misure immediate ed efficaci per fornire assistenza umanitaria e servizi essenziali a Gaza.
I rapporti dell’UNRWA sulle condizioni a Gaza, di cui mi sono occupato come corrispondente per sette anni, e la documentazione degli attacchi israeliani indiscriminati mostrano che, come ha affermato l’UNRWA, “le ‘zone sicure’ dichiarate unilateralmente non sono affatto sicure. Nessun posto a Gaza è sicuro”.
Il ruolo dell’UNRWA nel documentare il Genocidio, così come nel fornire cibo e aiuti ai palestinesi, fa infuriare il governo israeliano. Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha accusato l’UNRWA dopo la sentenza di aver fornito false informazioni alla Corte Internazionale di Giustizia. Già obiettivo israeliano da decenni, Israele ha deciso che l’UNRWA, che sostiene 5,9 milioni di rifugiati palestinesi in tutto il Medio Oriente con cliniche, scuole e cibo, doveva essere eliminata. La distruzione dell’UNRWA da parte di Israele ha un obiettivo politico oltre che materiale.
Le accuse israeliane, prive di prove, contro l’UNRWA secondo cui una dozzina dei 13.000 dipendenti avevano legami con coloro che hanno compiuto gli attacchi in Israele il 7 ottobre hanno funzionato. Ha visto 16 grandi donatori, tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Italia, Paesi Bassi, Austria, Svizzera, Finlandia, Australia, Canada, Svezia, Estonia e Giappone, sospendere il sostegno finanziario all’agenzia di soccorso da cui dipende quasi ogni palestinese a Gaza per il cibo. Israele ha ucciso 152 dipendenti e danneggiato 147 installazioni dell’UNRWA dopo gli attacchi all’interno di Israele da parte di Hamas e altri Gruppi di Resistenza il 7 ottobre che hanno ucciso circa 1.200 israeliani. Israele ha anche bombardato i camion dei soccorsi dell’UNRWA.
Più di 27.708 palestinesi sono stati uccisi a Gaza, circa 67.000 sono rimasti feriti e almeno 7.000 sono dispersi, molto probabilmente morti e sepolti sotto le macerie.
Secondo le Nazioni Unite, a Gaza più di mezzo milione di palestinesi, uno su quattro, stanno morendo di fame. La fame sarà presto onnipresente. I palestinesi di Gaza, 1,7 milioni dei quali sono sfollati interni, non solo non hanno cibo sufficiente, ma neanche acqua pulita, ripari e medicine. Mancano frutta e verdura. C’è poca farina per fare il pane. La pasta, insieme a carne, formaggio e uova, sono scomparse. I prezzi del mercato nero per prodotti secchi come lenticchie e fagioli sono aumentati di 25 volte rispetto ai prezzi anteguerra. Un sacco di farina al mercato nero è salito da 8,00 a 200 dollari (da 7,40 a 185,45 euro). Il sistema sanitario di Gaza, con solo tre dei 36 ospedali rimasti parzialmente funzionanti, è in gran parte collassato. Circa 1,3 milioni di sfollati palestinesi vivono per le strade della città meridionale di Rafah, che Israele ha designato come “zona sicura”, ma che ha iniziato a bombardare. Le famiglie gelano sotto le piogge invernali sotto fragili teloni in mezzo a pozze di liquami fognari. Si stima che circa il 90% dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza siano stati costretti ad abbandonare le proprie case.
“Non c’è stato alcun caso, dopo la Seconda Guerra Mondiale, in cui un’intera popolazione sia stata ridotta alla fame estrema e alla miseria con tale velocità”, scrive Alex de Waal, direttore esecutivo della World Peace Foundation (Fondazione Pace nel Mondo) presso l’Università Tufts di Medford/Somerville vicino a Boston, nel Massachusetts, e autore di: “Fame di Massa: Storia e Futuro Della Carestia” (Mass Starvation: The History and Future of Famine), sul Guardian. “E non c’è caso in cui l’obbligo internazionale di fermarlo sia stato così chiaro”.
Gli Stati Uniti, in passato il maggiore contribuente dell’UNRWA, hanno fornito all’Agenzia 422 milioni di dollari nel 2023. Il taglio dei fondi garantisce che le consegne di cibo dell’UNRWA, già scarse a causa dei blocchi da parte di Israele, verranno in gran parte interrotte entro la fine di febbraio o l’inizio di marzo.
Israele ha dato ai palestinesi di Gaza due scelte. Andarsene o morire.
Ho documentato la carestia in Sudan nel 1988 che costò la vita a 250.000 persone. Ci sono striature nei miei polmoni, cicatrici dovute allo stare in mezzo a centinaia di sudanesi che stavano morendo di tubercolosi. Ero forte e sano e ho combattuto il contagio. Loro erano deboli e denutriti e non ci riuscivano. La comunità internazionale, come a Gaza, ha fatto poco per intervenire.
Il precursore della fame, la denutrizione, colpisce già la maggior parte dei palestinesi di Gaza. Coloro che muoiono di fame non hanno abbastanza calorie per sostenersi. In preda alla disperazione le persone cominciano a mangiare foraggio animale, erba, foglie, insetti, roditori e persino terra. Soffrono di dissenteria e infezioni respiratorie. Strappano minuscoli pezzetti di cibo, spesso avariati, e li razionano.
Ben presto, mancando nel sangue ferro a sufficienza per produrre emoglobina, una proteina contenuta nei globuli rossi che trasporta l’ossigeno dai polmoni al corpo, e mioglobina, una proteina che fornisce ossigeno ai muscoli, insieme alla mancanza di vitamina B1, diventano anemici. Il corpo si nutre di se stesso. I tessuti e i muscoli si deperiscono. È impossibile regolare la temperatura corporea. I reni si bloccano.Il sistema immunitario crolla. Organi vitali: cervello, cuore, polmoni, ovaie e testicoli, si atrofizzano. La circolazione sanguigna rallenta. Il volume del sangue diminuisce. Malattie infettive come il tifo, la tubercolosi e il colera diventano un’epidemia, uccidendo migliaia di persone.
È impossibile concentrarsi. Le vittime denutrite soccombono al deterioramento mentale ed emotivo e all’apatia. Non vogliono essere toccati o spostati. Il cuore è indebolito. Le vittime, anche a riposo, sono in uno stato di insufficienza cardiaca endemica. Le ferite non guariscono. La vista è compromessa a causa della cataratta, anche tra i giovani. Alla fine, sconvolto da convulsioni e allucinazioni, il cuore si ferma. Questo processo può durare fino a 40 giorni per un adulto. I bambini, gli anziani e i malati muoiono più velocemente.
Ho visto centinaia di figure scheletriche, spettri di esseri umani, muoversi tristemente a un ritmo agghiacciante attraverso l’arido paesaggio sudanese. Le iene, abituate a mangiare carne umana, rapivano abitualmente i bambini piccoli. Mi trovavo davanti a distese di ossa umane spolpate alla periferia di villaggi dove dozzine di persone, troppo deboli per camminare, si erano sdraiate in gruppo e non si erano mai alzate. Molti erano i resti di intere famiglie.
Nella città abbandonata di Maya Abun, i pipistrelli penzolavano dalle travi della chiesa della missione italiana sventrata. Le strade erano ricoperte di ciuffi d’erba. La pista di atterraggio sterrata era costeggiata da centinaia di ossa umane, teschi e resti di braccialetti di metallo, perline colorate, cestini e brandelli di vestiti. Le palme erano state tagliate a metà. La gente aveva mangiato le foglie e la polpa all’interno. Correva voce che il cibo sarebbe stato consegnato via aerea. Le persone avevano camminato per giorni fino alla pista di atterraggio. Aspettarono, aspettarono e aspettarono. Nessun aereo è arrivato. Nessuno seppelliva i morti.
Ora, da lontano, guardo questo accadere in un’altra terra, in un altro tempo. Conosco l’indifferenza che ha condannato i sudanesi, soprattutto Dinka, e che oggi condanna i palestinesi. I poveri, soprattutto quando sono persone di colore, non contano. Possono essere uccisi come le mosche. La fame a Gaza non è un disastro naturale. È il piano generale di Israele.
Ci saranno studiosi e storici che scriveranno di questo Genocidio, credendo falsamente che possiamo imparare dal passato, che siamo diversi, che la storia può impedirci di essere, ancora una volta dei barbari. Terranno conferenze accademiche. Diranno “Mai più!” Si loderanno per essere più umani e civili. Ma quando arriva il momento di parlare apertamente di ogni nuovo Genocidio, timorosi di perdere il loro status o la loro posizione accademica, correranno come topi nelle loro tane. La storia umana è lastricata di atrocità contro i poveri e i vulnerabili del mondo. Gaza è un ulteriore capitolo.
Chris Hedges è un giornalista vincitore del Premio Pulitzer, è stato corrispondente estero per quindici anni per il New York Times, dove ha lavorato come capo dell’Ufficio per il Medio Oriente e dell’Ufficio balcanico per il giornale. In precedenza ha lavorato all’estero per The Dallas Morning News, The Christian Science Monitor e NPR. È il conduttore dello spettacolo RT America nominato agli Emmy Award On Contact.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org
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