L’autoimmolazione di Aaron Bushnell

L’auto-immolazione di Aaron Bushnell è stato in definitiva un atto di fede, che delinea radicalmente il bene e il male e ci invita a resistere.

Fonte. English version

Di Chris Hedges – 29 febbraio 2024

Aaron Bushnell, quando ha appoggiato il suo cellulare a terra per avviare una diretta video e si è dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana a Washington D.C., provocandosi la morte, ha contrapposto la Violenza Divina al Male Radicale. Come membro in servizio attivo dell’aeronautica americana, faceva parte del vasto apparato che sostiene il Genocidio in corso a Gaza, non meno moralmente colpevole dei soldati, dei tecnocrati, degli ingegneri, degli scienziati e dei burocrati tedeschi che oliarono l’apparato dell’Olocausto nazista. Questo era un ruolo che non poteva più accettare. È morto per i nostri peccati.

“Non sarò più complice del Genocidio”, ha detto con voce pacata nel suo video mentre camminava verso il cancello dell’ambasciata. “Sto per intraprendere un atto estremo di protesta. Ma rispetto a ciò che le persone hanno vissuto in Palestina per mano dei loro colonizzatori, non è affatto estremo. Questo è ciò che la nostra classe dirigente ha deciso sarà normale”.

Giovani uomini e donne si arruolano nell’esercito per molte ragioni, ma far morire di fame, bombardare e uccidere donne e bambini di solito non rientrano tra queste. In un mondo giusto, la flotta statunitense non dovrebbe rompere il blocco israeliano di Gaza per fornire cibo, riparo e medicine? Gli aerei da guerra statunitensi non dovrebbero imporre una zona interdetta al volo su Gaza per fermare i bombardamenti a tappeto? Non dovrebbe essere lanciato a Israele un ultimatum per ritirare le sue forze da Gaza? Non si dovrebbero fermare le spedizioni di armi, i miliardi di aiuti militari e strategici forniti a Israele? Coloro che commettono un Genocidio, così come coloro che sostengono il Genocidio, non dovrebbero essere ritenuti responsabili?

Queste semplici domande sono quelle che la morte di Bushnell ci costringe ad affrontare.

Poco prima della sua immolazione ha scritto in un post: “Molti di noi si chiedono: cosa avrei fatto se fossi vissuto durante la schiavitù?O sotto le leggi sudiste di Jim Crow? O l’Apartheid? Cosa farei se il mio Paese stesse commettendo un Genocidio? La risposta è quello che sto facendo. Proprio ora”.

Le forze della coalizione sono intervenute nel Nord dell’Iraq nel 1991 per proteggere i Curdi dopo la Prima Guerra del Golfo. La sofferenza dei Curdi è stata immane, ma minore rispetto al Genocidio di Gaza. È stata imposta una zona interdetta al volo per l’Aviazione irachena. L’esercito iracheno è stato espulso dalle aree curde settentrionali. Gli aiuti umanitari hanno salvato i Curdi dalla fame, dalle malattie infettive e dalla morte per stenti.

Ma quella era un’altra storia, un’altra guerra. Il Genocidio è un male quando viene compiuto dai nostri nemici. Viene difeso e sostenuto quando portato avanti dai nostri alleati.

Walter Benjamin, i cui amici Fritz Heinle e Rika Seligson si suicidarono nel 1914 per protestare contro il militarismo tedesco e la Prima Guerra Mondiale, nel suo saggio: “Critica Della Violenza” (Critique of Violence), esamina gli atti di violenza compiuti da individui che affrontano il Male Radicale. Qualsiasi atto che sfidi il Male Radicale infrange la legge in nome della giustizia. Afferma la sovranità e la dignità dell’individuo. Condanna la violenza coercitiva dello Stato. Implica la volontà di morire. Benjamin chiamò questi atti estremi di Resistenza “Violenza Divina”.

“Solo per il bene dei disperati ci è stata data speranza”, scrive Benjamin.

Il punto è che l’auto-immolazione di Bushnell, uno dei post più censurati sui social media e dalle testate giornalistiche, è pensato per essere visto. Bushnell ha posto fine la sua vita nello stesso modo in cui sono stati uccisi migliaia di palestinesi, compresi i bambini. Potremmo vederlo bruciare vivo. Questo è quello che sembra. Questo è ciò che accade ai palestinesi a causa nostra.

L’immagine dell’auto-immolazione di Bushnell, come quella del monaco buddista Thích Quảng Đức in Vietnam nel 1963 o di Mohamed Bouazizi, un giovane fruttivendolo in Tunisia, nel 2010, è un potente messaggio politico. Fa uscire lo spettatore dal torpore. Costringe lo spettatore a mettere in discussione le ipotesi. Invita lo spettatore ad agire. È teatro politico, o forse rituale religioso, nella sua forma più potente. Il monaco buddista Thích Nhất Hạnh ha detto dell’auto-immolazione: “Esprimere la volontà bruciandosi, quindi, non significa commettere un atto di distruzione ma compiere un atto di costruzione, cioè soffrire e morire per il bene del proprio popolo”.

Se Bushnell era disposto a morire, gridando ripetutamente: “Palestina Libera!” mentre bruciava, allora qualcosa deve essere tragicamente e terribilmente sbagliato.

Questi sacrifici individuali spesso diventano punti di incontro per l’opposizione di massa. Possono innescare, come è successo in Tunisia, Libia, Egitto, Yemen, Bahrein e Siria, insurrezioni rivoluzionarie. Bouazizi, infuriato per il fatto che le autorità locali gli avessero confiscato la bilancia e i prodotti, non intendeva avviare una rivoluzione. Ma le piccole e umilianti ingiustizie subite sotto il regime corrotto di Ben Ali hanno avuto risonanza presso l’opinione pubblica abusata. Se possono morire, possono scendere in strada.

Questi atti sono nascite sacrificali. Preannunciano qualcosa di nuovo. Sono il rifiuto totale, nella sua forma più drammatica, delle convenzioni e dei sistemi di potere imperanti. Sono progettati per essere orribili. Sono destinati a scioccare. Bruciare vivi è uno dei modi più temuti di morire.

L’autoimmolazione deriva dalla radice latina immolāre, cospargere di farina salata quando si offre in sacrificio una vittima consacrata. Le autoimmolazioni, come quella di Bushnell, collegano il sacro e il profano attraverso il mezzo della morte sacrificale.

Ma per arrivare a questo estremo è necessaria quella che il teologo Reinhold Niebuhr chiama “una sublime follia nell’anima”. Egli osserva che “nient’altro che tale follia potrà combattere il potere maligno e la malvagità spirituale nelle alte sfere”. Questa follia è pericolosa, ma è necessaria quando si affronta il Male Radicale perché senza di essa “la verità è oscurata”. Il liberalismo, avverte Niebuhr, “manca dello spirito di entusiasmo, per non dire di fanatismo, che è così necessario per spostare il mondo fuori dai suoi sentieri battuti. È troppo intellettuale e troppo poco emotivo per essere una forza efficace nella storia”.

Questa protesta estrema, questa “follia sublime”, è stata un’arma potente nelle mani degli oppressi nel corso della storia.

Le circa 160 autoimmolazioni avvenute in Tibet dal 2009 per protestare contro l’occupazione cinese sono percepite come riti religiosi, atti che dichiarano l’indipendenza delle vittime dal controllo dello Stato. L’autoimmolazione ci chiama a un modo diverso di essere. Queste vittime sacrificali diventano martiri.

Le comunità di resistenza, anche se laiche, sono unite dai sacrifici dei martiri. Solo gli apostati tradiscono la loro memoria. Il martire, attraverso il suo esempio di abnegazione, indebolisce e recide i vincoli e il potere coercitivo dello Stato. Il martire rappresenta un rifiuto totale dello status quo. Questo è il motivo per cui tutti gli Stati cercano di screditare il martire o di trasformare il martire in una non-persona. Conoscono e temono il potere del martire, anche dopo la morte.

Daniel Ellsberg nel 1965 vide un attivista pacifista di 22 anni, Norman Morrison, cospargersi di cherosene e darsi fuoco, le fiamme si sollevarono in aria per tre metri, fuori dall’ufficio del Segretario alla Difesa Robert McNamara al Pentagono, per protestare contro la guerra del Vietnam. Ellsberg ha citato l’auto-immolazione, insieme alle proteste contro la guerra a livello nazionale, come uno dei fattori che lo hanno portato a pubblicare i documenti noti come Pentagon Papers.

Il sacerdote cattolico radicale, Daniel Berrigan, dopo un viaggio in Vietnam del Nord con una delegazione di pace durante la guerra, ha visitato la stanza d’ospedale di Ronald Brazee. Brazee era uno studente delle superiori che si era cosparso di cherosene e si era immolato fuori dalla Cattedrale dell’Immacolata Concezione nel centro di Syracuse, New York, per protestare contro la guerra.

“Un mese dopo era ancora vivo”, scrive Berrigan. “Sono riuscito a vederlo. Ho sentito l’odore della carne bruciata e ho rivisto quello a cui avevo assistito nel Vietnam del Nord. Il ragazzo stava morendo tra i tormenti, il suo corpo era come un grosso pezzo di carne gettato su una griglia. Morì poco dopo. Sentivo che i miei sensi erano stati invasi in un modo nuovo. Avevo compreso il potere della morte nel mondo moderno. Sapevo che dovevo parlare e agire contro la morte perché la morte di questo ragazzo si stava moltiplicando mille volte nella terra dei bambini arsi vivi. Quindi sono andato a Catonsville, come ero stato ad Hanoi”.

A Catonsville, nel Maryland, Berrigan e altri otto attivisti, conosciuti come i Nove di Catonsville, irruppero in un centro di reclutamento il 17 maggio 1968. Presero 378 cartelle e le bruciarono con napalm fatto in casa nel parcheggio. Berrigan è stato condannato a tre anni in una prigione federale.

Ero a Praga nel 1989 come corrispondente durante la Rivoluzione di Velluto. Ho partecipato alla commemorazione dell’auto-immolazione di uno studente universitario di 20 anni di nome Jan Palach. Nel 1969 Palach si era fermato sulla scalinata del Teatro Nazionale in Piazza Venceslao, si era versato addosso della benzina e dato fuoco. Morì per le ferite tre giorni dopo. Lasciò un biglietto in cui affermava che questo atto era l’unico modo per protestare contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, avvenuta cinque mesi prima. Il suo corteo funebre è stato interrotto dalla polizia. Quando si tennero frequenti veglie a lume di candela sulla sua tomba nel cimitero di Olsany, le autorità comuniste, determinate a cancellare la sua memoria, dissotterrarono il suo corpo, lo cremarono e consegnarono le ceneri a sua madre.

Durante l’inverno del 1989, manifesti con il volto di Palach coprivano le mura di Praga. La sua morte, due decenni prima, fu celebrata come il supremo atto di resistenza contro i sovietici e il regime filo-sovietico instaurato dopo il rovesciamento di Alexander Dubček. Migliaia di persone marciarono verso la Piazza dei Soldati dell’Armata Rossa e la ribattezzarono Piazza Jan Palach. Aveva vinto.

Un giorno, se lo Stato Corporativo e lo Stato di Apartheid di Israele verranno smantellati, la strada in cui Bushnell si è dato fuoco porterà il suo nome. Come Palach, sarà onorato per il suo coraggio morale. I palestinesi, traditi dalla maggior parte del mondo, lo considerano già un eroe. Grazie a lui sarà impossibile demonizzare tutti noi.

La Violenza Divina terrorizza una classe dirigente corrotta e screditata. Mette a nudo la loro depravazione. Ciò dimostra che non tutti sono paralizzati dalla paura. È una chiamata a combattere il Male Radicale. Questo è ciò che Bushnell intendeva. Il suo sacrificio parla al nostro io migliore.

Chris Hedges è un giornalista vincitore del Premio Pulitzer, è stato corrispondente estero per quindici anni per il New York Times, dove ha lavorato come capo dell’Ufficio per il Medio Oriente e dell’Ufficio balcanico per il giornale. In precedenza ha lavorato all’estero per The Dallas Morning News, The Christian Science Monitor e NPR. È il conduttore dello spettacolo RT America nominato agli Emmy Award On Contact.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org