Il Collettivo Femminista Palestinese condanna il Soficicidio e lo Scolasticidio a Gaza, il deliberato annientamento delle tradizioni di conoscenza indigene e la distruzione fisica dei centri di conoscenza.
Fonte: English version
Di Lila Sharif, Amira Jarmakani, Amanda Najib e Shereen Hindawi-Wyatt a nome del Collettivo Femminista Palestinese – 11 aprile 2024Immagine di copertina: L’esercito israeliano effettua la demolizione dell’Università Al-Israa a Sud della Città di Gaza il 17 gennaio 2024. (Screenshot/twitter.com/ BirzeitU)
Come membri del Collettivo Femminista Palestinese e studiose delle università nordamericane, siamo ferme nel nostro impegno per la ricerca intellettuale della conoscenza, della verità e della giustizia in ambienti liberi dall’oppressione sistemica. L’intensificazione del Genocidio perpetrato dal Regime Sionista a Gaza ha significato l’annientamento delle fonti intellettuali e culturali di saggezza, o Soficidio.
Il Soficidio si riferisce al deliberato annientamento da parte del Regime Sionista delle tradizioni di conoscenza autoctone ispirate alla terra stessa, così come dei portatori di quella conoscenza, compresi anziani e donne. Implica l’annientamento della vita e dell’apprendimento palestinese attraverso l’omicidio sistematico di studenti, mentori, insegnanti, ricercatori, studiosi, accademici, scrittori, bibliotecari, archivisti, leader spirituali, storiografi, creativi, poeti, stagisti, docenti, professori, personale e tecnici di laboratorio palestinesi. Tali attacchi contro questi portatori di conoscenza hanno un impatto su intere generazioni di studenti, reprimendo le loro aspirazioni e i loro sogni.
Il Soficidio include anche lo Scolasticidio, un concetto palestinese che si riferisce alla distruzione fisica di centri di conoscenza, risorse educative, infrastrutture e archivi, nonché al silenzio, alla censura e alla repressione della storia, dell’epistemologia, degli studi e della soggettività palestinesi. La repressione accademica del Regime Sionista si è estesa oltre la Palestina e nei centri educativi statunitensi e canadesi di Turtle Island, riflettendo un fallimento sistemico da parte degli amministratori universitari e di altre autorità nel proteggere studenti, insegnanti e personale nelle loro comunità e nel perseguimento del diritto alla conoscenza.
Come femministe, studentesse, insegnanti, studiose, palestinesi e persone che amano e sono impegnate per la Palestina, siamo testimoni delle numerose forme di Soficidio che si stanno diffondendo a ritmi allarmanti a Gaza, e ci rifiutiamo di tacere al riguardo. Onorare il nostro impegno per la libertà e la liberazione di tutti i popoli oppressi, inclusa la libertà di accesso e di perseguimento della conoscenza, richiede una pratica che metta al centro i nostri parenti a Gaza e in tutta la Palestina. Richiede una pratica in grado di affrontare i livelli senza precedenti di violenza istituzionale contro i palestinesi, compresi gli investimenti delle nostre stesse università nel Regime Coloniale-Sionista e le loro tattiche di repressione e censura.
Le strutture esistenti per la “libertà accademica” nei nostri plessi universitari hanno effettivamente permesso che la violenza contro i palestinesi e i nostri alleati avvenisse impunemente. La nostra pratica femminista per una vera libertà accademica inizia con la premessa che tutte le forme di Genocidio, inclusi il Soficidio e lo Scolasticidio, sono incompatibili con l’apprendimento, l’insegnamento, il benessere e la sicurezza; che gli amministratori e le autorità universitarie dovrebbero essere ritenuti responsabili del loro ruolo nel Genocidio e nell’Oppressione Sistemica; e che il femminismo deve mettere al centro la capacità di vivere e apprendere liberamente, dalle nostre università alla Palestina.
Soficidio a Gaza
Il Genocidio sionista mira a sradicare le vite dei palestinesi e, con loro, gli stili di vita palestinesi. Dall’ottobre 2023, le Forze di Occupazione Israeliane hanno ucciso oltre 40.000 palestinesi a Gaza, per lo più donne e bambini, e hanno sfollato oltre due milioni di persone dalle loro case. Quasi tutte le unità residenziali a Gaza sono state interamente “distrutte o danneggiate” dai soldati israeliani, che condividono video celebrativi sui loro profili di social media mentre torturano ostaggi palestinesi e fanno esplodere edifici. Questa distruzione si estende ad altri spazi di vita e infrastrutture vitali, inclusi ospedali, moschee e chiese, biblioteche pubbliche, pozzi d’acqua e reti elettriche in tutta Gaza.
La distruzione delle scuole, delle università e delle biblioteche palestinesi favorisce il progetto di cancellazione coloniale perché questi sono spazi che alimentano la creazione e la trasmissione della conoscenza. Dall’ottobre 2023, le Forze di Occupazione Israeliane hanno distrutto oltre 378 scuole, biblioteche pubbliche, laboratori, aule e strutture di ricerca, privando i palestinesi della storia e delle conoscenze custodite in queste istituzioni. Comprendere questa forma di Genocidio come Soficidio chiarisce come le scuole, le università e gli spazi di apprendimento non siano solo strutture fisiche; sono “il tessuto vitale”. Questi erano luoghi in cui realizzare le aspirazioni dei giovani palestinesi che erano stati sotto assedio a Gaza per tutta la vita. Il Soficidio sionista ha portato avanti lo smantellamento delle istituzioni palestinesi di apprendimento e memoria che sono servite da archivio per la lunga tradizione di ricerca e apprezzamento della conoscenza di Gaza.
Dall’ottobre 2020, le Forze di Occupazione Israeliane hanno ucciso almeno 5.881 studenti palestinesi e ne hanno feriti altri 9.899. I loro incessanti bombardamenti aerei hanno costretto alla fuga centinaia di migliaia di palestinesi, al punto che le Nazioni Unite hanno dichiarato Gaza “il posto più pericoloso al mondo per i bambini” e Phillippe Lazzarini, il Commissario Generale dell’UNRWA, ha avvertito: “Stiamo correndo il rischio di perdere una generazione di bambini”.
La sconcertante decimazione e ferimenti di bambini palestinesi evidenziano un impatto più ampio e devastante sul sistema educativo di Gaza. L’assalto israeliano in corso ha privato dell’accesso all’istruzione più di 625.000 studenti delle scuole primarie e secondarie e oltre 100.000 studenti delle superiori e universitari di Gaza. Inoltre, gli incessanti attacchi a Gaza hanno impedito ad almeno 555 studenti palestinesi di iscriversi alle loro borse di studio all’estero.
Il Soficidio si estende agli educatori e agli amministratori palestinesi che sono anch’essi bersaglio della violenza e del Genocidio coloniale dei coloni sionisti. Dall’ottobre 2023, le Forze di Occupazione Israeliane hanno ferito oltre 891 insegnanti e amministratori e uccisi almeno altri 255, tra cui 94 amati professori universitari i cui contributi a ricerche di fama mondiale hanno esemplificato la Resilienza intellettuale dei palestinesi sottoposti al brutale blocco israeliano di Gaza dal 2007.
Solo tra ottobre e dicembre 2023, il Regime Sionista, armato e sostenuto dall’Impero Statunitense, ha ucciso almeno tre rettori universitari palestinesi. Tra questi professori c’era il Dottor Mohammad Eid Shubair, un eminente studioso ed ex presidente dell’Università Islamica di Gaza, che fu ucciso dagli attacchi aerei sionisti sull’Ospedale Al-Shifa e sulle aree circostanti dove viveva con la sua famiglia. Il Dottor Shubair e la sua famiglia erano sopravvissuti al bombardamento iniziale e stavano tentando di percorrere la breve distanza fino all’ospedale per ripararsi quando furono colpiti dai soldati che assediavano il complesso medico il 12 novembre 2023. Il suo martirio fu seguito da quello del Dottor Sofyan Taya, successore del Dottor Shubair e presidente dell’Università Islamica di Gaza. Fisico e matematico di fama mondiale, il Professor Taya figurava nel 2% dei migliori ricercatori al mondo nel campo dell’elettromagnetismo e dell’ottica. Le Forze di Occupazione Israeliane hanno ucciso lui e la sua famiglia in un attacco aereo il 2 dicembre 2023. Il Regime Sionista ha anche assassinato il Dottor Said Alzebda, Presidente del Collegio Universitario di Scienze Applicate (UCAS) il 31 dicembre 2023.
Le uccisioni mirate da parte delle Forze di Occupazione Israeliane di produttori di conoscenza e la distruzione di spazi di insegnamento e apprendimento privano i palestinesi di Gaza, un milione dei quali sono giovani sotto i 18 anni, del loro “passato, presente e futuro”, attaccando la loro istruzione e i loro sogni, speranze, e ambizioni. Un chiaro esempio è il martirio del Dottor Refaat Alareer, un eminente scrittore palestinese e insegnante di letteratura medievale, il cui genio lirico si esprimeva attraverso la sua poesia e il suo devoto impegno per il progetto “We Are Not Numbers” (Noi Non Siamo Numeri), che mirava a dare dignità a il popolo di Gaza e della Palestina. Alareer è stato ucciso da un attacco aereo israeliano nel Nord di Gaza il 7 dicembre 2023, insieme a suo fratello, sua sorella, suo nipote e tre nipotini. Piangiamo la profonda perdita e onoriamo il martirio del Dottor Alareer come prezioso mentore e produttore di conoscenza, la cui ultima poesia: “Se Dovessi Morire”, è emblematica della precarietà della vita a Gaza.
Ad oggi, le Forze di Occupazione Israeliane hanno danneggiato o distrutto nove scuole su dieci a Gaza. Almeno sessantacinque di queste scuole erano strutture gestite dall’UNRWA, che davano rifugio a migliaia di palestinesi sfollati. Il 7 febbraio 2024, l’esercito Israeliano ha utilizzato carri armati per sparare direttamente contro una scuola dell’UNRWA a Khan Younis che ospitava oltre 1.800 sfollati palestinesi; successivamente ha ordinato a tutti di uscire dalla scuola, dove hanno picchiato, spogliato oltre 800 uomini palestinesi e rapito 15 persone di cui non si sa il destino.
Tra l’ottobre 2023 e il gennaio 2024, l’esercito Israeliano ha bombardato tutte e dodici le università di Gaza. Di conseguenza, i preziosi punti di riferimento intellettuali di Gaza, tra cui l’Università Islamica, le sue sedi di Gaza Nord e Tubas dell’Università Aperta Al-Quds e l’Istituto Tecnico Palestinese, sono stati tutti distrutti. Il 18 gennaio 2024, le Forze di Occupazione Israeliane hanno utilizzato oltre 300 mine terrestri per far esplodere gli edifici principali dell’Università Al-Isra, che si trovava in un’area definita “zona sicura” nel Sud di Gaza Città. Prima di distruggere Al-Isra, occuparono l’università per settanta giorni, convertendo il plesso in una base militare e in un centro di detenzione per condurre torture, interrogatori e fucilazioni di palestinesi rapiti. Tra i preziosi edifici accademici decimati c’era il primo e unico ospedale universitario di Gaza, nonché edifici che ospitavano laboratori medici e di ingegneria, laboratori infermieristici, studi di formazione sui media, il tribunale della facoltà di giurisprudenza e aule di laurea. Hanno anche saccheggiato più di 3.000 manufatti rari dal Museo Nazionale conservati nel plesso universitario prima di farlo esplodere completamente. Questi spazi ospitavano i sogni di giovani, studenti ed educatori palestinesi, i quali attualmente sono totalmente a rischio di carestia e morte a causa dei bombardamenti aerei sionisti, della privazione dell’acqua, della fame forzata, del freddo e delle malattie. Oggi, la maggior parte degli abitanti di Gaza sono stati sfollati a Rafah, che è diventato il nuovo obiettivo del Genocidio e dove si stanno rifugiando oltre 1,2 milioni di palestinesi sfollati.
Scolasticidio nella Cisgiordania Occupata
Allo stesso modo, in Cisgiordania, le Forze di Occupazione Israeliane stanno attaccando sistematicamente le università palestinesi e altri spazi educativi. L’8 novembre 2023 hanno preso d’assalto l’Università Birzeit a Ramallah con sei veicoli militari, facendo irruzione nel Consiglio Studentesco e sparando a un giovane palestinese. Sempre a novembre, i coloni sionisti hanno appiccato il fuoco a due aule a Khirbet Zanuta, privando decine di bambini palestinesi dell’istruzione scolastica. Questi attacchi alle infrastrutture accademiche si estendono oltre gli edifici fisici, colpendo le fondamenta che sostengono l’apprendimento e la crescita intellettuale in tutta la Palestina.
Dall’ottobre 2023, le Forze di Occupazione Israeliane e i coloni armati hanno ucciso almeno 438 palestinesi, tra cui 106 bambini, nella Cisgiordania Occupata e a Gerusalemme. Tra gli assassinati ci sono 56 studenti palestinesi, e altri 329 feriti e almeno 105 detenuti. I soldati hanno anche invaso gli alloggi degli insegnanti palestinesi, saccheggiandone il contenuto, aggredendo le famiglie e imponendo arresti arbitrari. In uno di queste incursioni nel campo profughi di Jenin il 19 gennaio 2024, hanno ucciso Jawad Fareed Bawaqneh, un amato insegnante di educazione fisica in una scuola secondaria locale e padre di sei figli.
Nella Cisgiordania Occupata, l’assassinio sistematico di insegnanti, addetti e studenti, nonché la deliberata distruzione delle infrastrutture didattiche sono sostenuti anche dal silenzio, dalla censura, dalle molestie, dalla dissacrazione, dalla svalutazione, dall’intimidazione, dal sabotaggio e dalla repressione di educatori e studenti. In questo modo, il Soficidio ha la funzione di distruggere e cancellare le storie, la memoria intellettuale e la saggezza palestinese.
L’eccezione palestinese alla libertà accademica
Gli attacchi sionisti alla conoscenza palestinese hanno comportato campagne di repressione in tutto il mondo, anche all’interno della stessa colonia di coloni. Oltre 74 studenti palestinesi di 25 istituti israeliani sono stati presi di mira e puniti semplicemente per aver apprezzato i tweet e aver scritto post che esprimevano simpatia per i loro familiari a Gaza. Più recentemente, la famosa studiosa femminista palestinese Nadera Shalhoub-Kevorkian è stata sospesa dall’Università Ebraica per la sua posizione esplicita contro il Genocidio. Mentre lei veniva reintegrata, lo Stato Sionista ha reso un crimine esprimere empatia e sostegno ai palestinesi, facendo così del Genocidio l’unica opinione pubblica accettabile. Infatti, i coloni che si allontanano dal linguaggio e dalle attività genocide si scontrano con la violenza dello Stato. Il 28 ottobre 2023, trenta studenti palestinesi sono stati rinchiusi nelle loro stanze all’Istituto Netanya mentre i loro dormitori venivano presi d’assalto dai coloni israeliani che cantavano: “Morte Agli Arabi”.
Il Soficidio contro studenti ed educatori palestinesi è diventato un fenomeno globale tale che la repressione istituzionale dei palestinesi è emersa come regola pratica. Promuovendo le tecnologie di cancellazione coloniali, il Soficidio sionista converge con la repressione degli Stati-coloniali americani e canadesi nei confronti di studiosi e studenti con sede a Turtle Island.
La soppressione della libertà accademica e della libertà di parola relativa alla Palestina nei plessi universitari statunitensi e canadesi risale a decenni fa. Almeno dal 1973, i gruppi di pressione sionisti hanno sottoposto gli studenti, il personale e i sostenitori dei docenti a favore della Palestina a campagne di sorveglianza e di diffamazione sponsorizzate dallo Stato che li accusavano falsamente di antisemitismo. L’utilizzo dell’antisemitismo come arma per censurare tutte le forme di discussione antisionista è stato a lungo il fulcro degli attacchi alla libertà accademica, operando attraverso quella che è nota come l’eccezione palestinese alla libertà di parola. Utilizzando questa formula, la Lega Anti-Diffamazione (ADL) creò e diffuse quella che è probabilmente la prima lista nera di studiosi nel 1983. Con l’avvento di internet e dei social media, queste liste nere furono digitalizzate e diffuse più facilmente, e i gruppi sionisti che organizzarono tali attacchi, incluso il David Project, CAMERA, Stand With Us, AMCHA Initiative e Canary Mission, proliferarono e divennero più organizzati. Queste organizzazioni hanno facilitato una campagna guidata dal governo israeliano per prendere di mira studenti e docenti antisionisti mediante la sorveglianza, l’inserimento in liste nere e l’imposizione di false accuse di antisemitismo contro coloro che criticano il Regime Sionista, l’ideologia supremazista del sionismo e il Genocidio in corso dei palestinesi.
Università e istituti non sono riusciti a proteggere i loro studenti, docenti e personale da molestie e attacchi da parte di queste organizzazioni esterne, e ancora più grave, hanno persino partecipato alla repressione della libertà accademica. Numerosi amministratori universitari, associazioni accademiche, forze dell’ordine locali, ex studenti, piattaforme di social media, senatori e il governo federale hanno adottato misure repressive per mettere a tacere l’attivismo studentesco e la libertà di parola sulla Palestina. Hanno represso, denigrato e molestato studenti, personale e docenti; minacciato di licenziamento i laureati; sospensione e cessazione di incarichi di facoltà; ritorsioni contro gli organizzatori studenteschi; messo a tacere gli oratori palestinesi e i nostri compagni di lotta; arrestato, imprigionato e aggredito fisicamente chi manifestava; e ha reso i plessi universitari insicuri, ostili e pericolosi per i palestinesi e per chiunque sia solidale con la lotta di liberazione palestinese.
Infatti, le istituzioni occidentali non sono neutrali, anche perché investono milioni di dollari nelle banche e nelle società israeliane che sostengono l’Occupazione Coloniale e nell’industria delle armi che trae profitto dal Genocidio in corso dei palestinesi. Le rivendicazioni di “neutralità” ed “equità” si aggiungono al nostro incommensurabile dolore mentre assistiamo al Genocidio dei nostri cari nella Gaza assediata e all’ondata di attacchi razzisti, molestie e repressione contro le nostre comunità palestinesi nella diaspora. Con l’intensificarsi dell’assalto sionista a Gaza, le comunità palestinesi, arabe e musulmane in tutta Turtle Island hanno dovuto affrontare livelli di violenza senza precedenti.
Gli impatti catastrofici e persino mortali di tale repressione continuano a manifestarsi in terrificanti esempi di violenza anti-palestinese, anti-araba e islamofoba, incluso, ma non limitato a: l’omicidio della bambina palestinese americana di 6 anni Wadea Al Fayoume, che è stata accoltellata insieme a sua madre dal padrone di casa; la sparatoria razzista contro gli studenti universitari palestinesi Hisham Awartani, Kinnan Abdalhamid e Tahseen Ahmed; e l’aggressione contro uno studente arabo musulmano a Stanford, ricoverato in ospedale dopo essere stato preso di mira e investito da un’auto. Questi inquietanti esempi di violenza riflettono un aumento molto più ampio e allarmante degli episodi di odio, della repressione dei contenuti palestinesi sulle piattaforme dei social media e di una maggiore sorveglianza governativa e della polizia interna dei palestinesi e delle visite e della sorveglianza delle moschee da parte dell’FBI.
La repressione accademica portata avanti nei nostri plessi universitari contribuisce attivamente a mettere a tacere le narrazioni, la verità e la libertà di parola palestinesi, infiammando al contempo una diffusa cultura di demonizzazione razzista. Questa violenza epistemica è particolarmente insidiosa perché denigra e sopprime forme di conoscenza che sono già prive di potere, consentendo ulteriormente il Genocidio israeliano dei palestinesi a Gaza e attacchi mirati alle nostre comunità in tutta Turtle Island.
Verso una pratica femminista per la libertà accademica
La nostra pratica femminista per la libertà accademica mette in primo piano l’idea che l’istruzione è la pratica della liberazione ed è ancorata alla ribellione come processo comunitario. Tenendo conto della verità esperienziale dei molteplici modi in cui le donne di colore sono state, e continuano ad essere, messe a tacere e svalutate nel mondo accademico, mettiamo in primo piano l’attenzione radicale come antidoto alle misure repressive, razziste, discriminatorie e anti-intellettuali.
La nostra pratica femminista per la libertà accademica si oppone all’arma della “sicurezza” e di altri ideali femministi e liberatori nei plessi universitari e oltre. Definiamo l’arma sionista, razzista e suprematista bianca della “sicurezza” e della “paura” un pretesto per metterci a tacere, reprimerci e cancellarci. Sappiamo che “quando i colonizzatori parlano di sicurezza, in realtà parlano di violenza”. Insieme all’utilizzo dell’antisemitismo come arma, questo concetto coloniale ed eurocentrico di “sicurezza” è stato utilizzato per mettere a tacere le voci a favore della Palestina al servizio del “conforto” degli studenti sionisti. Questa repressione non manterrà nessuno di noi al sicuro; come ha affermato un collettivo di organizzazioni ebraiche antisioniste, “l’investimento nella violenza di Stato non è indicativo di attenzione per la vita degli ebrei”.
Come femministe impegnate nell’anti-colonialialismo, sappiamo che “ci teniamo al sicuro” contro la violenza di Stato, comprese le tattiche di repressione di polizia e amministrative. Affermiamo modelli di responsabilità comunitaria per rispondere alle violenze statali e individuali radicate nei movimenti abolizionisti guidati da popoli afro, indigeni, razzializzati e oppressi.
L’idea di “spazi sicuri” nei plessi universitari e oltre è venuta dall’organizzazione femminista e queer, che si batteva per centri e risorse che permettessero alle persone di riunirsi per elaborare strategie per sopravvivere collettivamente agli impatti materiali della violenza istituzionale. Nata dall’attivismo politico, dai movimenti LGBTQ concentrati sulla riconquista delle strade negli anni ’60 e dalle sessioni di sensibilizzazione caratteristiche del movimento delle donne negli anni ’70, l’idea di uno “spazio sicuro” è sempre stata quella di formare attivamente una Resistenza Collettiva contro l’Oppressione Strutturale.
Eppure nell’università neoliberale multiculturale, il concetto di “spazio sicuro” è stato sia annacquato che cooptato. È diventato un metodo di contenimento, un luogo in cui mantenerci in silenzio e confinare la nostra organizzazione. Mutilati nei concetti annacquati di “diversità” e “inclusione”, gli “spazi sicuri” creati dall’università funzionano come centri sottofinanziati progettati per alimentare la macchina delle pubbliche relazioni dell’università. Rifiutiamo questa versione neoliberista multiculturale di “sicurezza”, attraverso la quale l’università propone di dimostrare la sua preoccupazione per gli studenti offrendo uno “spazio” anestetizzato, chiuso e sottofinanziato per ciascun gruppo “incluso”. Tali “spazi sicuri” diluiscono il termine dal suo intento originale di riunire un collettivo per trasformare attivamente le strutture violente e oppressive e invece lo contengono concentrandosi sui diritti individuali e su un programma di sicurezza statale.
Le università del Nord America hanno risposto al Genocidio dei palestinesi a Gaza con dichiarazioni presidenziali che sono tacitamente ed esplicitamente complici del Genocidio. Attraverso tattiche devianti, sia nascoste che palesi, dalle misure burocratiche intese a bloccare e chiudere il dibattito sulla Palestina alla punizione aperta delle organizzazioni studentesche, le nostre università si impegnano in tecniche di cancellazione. Le nostre amministrazioni universitarie si sono rifiutate di nominare la Palestina, i palestinesi o il razzismo anti-palestinese e tanto meno il Genocidio a Gaza o la violenza coloniale e l’Occupazione militare in corso lì. Usando invece il termine colonialista “Medio Oriente”, perpetuano la disinformazione e sminuiscono la violenza che i palestinesi stanno subendo in Palestina e a Turtle Island
Dalla rimozione genocida delle popolazioni indigene per consentire “concessioni di terre” e investimenti storici nell’istituzione della schiavitù razziale dei beni mobili all’accaparramento di terre gentrificanti delle università contemporanee, le nostre università hanno sistematicamente perpetuato le pratiche coloniali. In quanto fornitrici di debito attraverso il meccanismo dei prestiti studenteschi, le università operano attraverso la logica capitalista dell’accumulazione. Attraverso i loro investitori e investimenti aziendali, sia in termini di potere dei donatori di influenzare le politiche e delle decisioni universitarie, sia come veri e propri investitori immobiliari, le università propagandano la militarizzazione e la violenza, che sono antitetiche ai movimenti per la vera liberazione che hanno inaugurato l’appello a creare attivamente “spazi sicuri”.
Contro questa versione anestetizzata e svuotata di “spazio sicuro” nelle università, sosteniamo una pratica femminista di liberazione accademica radicata nell’impegno collettivo a costruire “una Resistenza pratica alla repressione politica e sociale”.
Inviti all’azione
Il Collettivo Femminista Palestinese esorta i colleghi accademici e le istituzioni educative a impegnarsi in misure proattive per sostenere i diritti dei palestinesi e la libertà accademica. Proponiamo le seguenti azioni:
1. Sostenere il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS)
1 – Fare pressione sulle istituzioni e sulle organizzazioni accademiche affinché adottino politiche che eliminino il coinvolgimento con le istituzioni militari, accademiche e legali dello Stato Colono.
2 – Fare pressione sulle istituzioni accademiche affinché recedano dalle loro sovvenzioni e investimenti da parte di aziende che sostengono il colonialismo, il militarismo e l’Apartheid israeliani.
3 – Ascoltare l’appello della Campagna Palestinese per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele (PACBI) e porre fine a tutti i programmi di studio all’estero e chiedere la chiusura dei plessi satellite che operano sulla Terra Palestinese Occupata e Rubata.
4 – Sollecitare le istituzioni a recidere i legami con i programmi di studio all’estero nella Palestina Occupata.
5 – Sollecitare le istituzioni a recidere i legami con i gruppi di pressione sionisti che operano nei plessi universitari.
6 – Esortare le istituzioni a contrattare con fornitori favorevoli al disinvestimento, preferibilmente locali e orientati alla comunità.
2. Proteggere e sostenere la libertà e l’autonomia accademica
1 – Denunciare qualsiasi forma di censura nei plessi universitari e organizzare iniziative contro di essa.
2 – Resistere alle interferenze esterne e alle pressioni da parte di donatori, ex studenti, aziende, gruppi di pressione ed enti governativi che cercano azioni punitive per chi sostiene la Palestina e la lotta di liberazione palestinese.
3 – Proteggere da sospensioni, licenziamenti o negazioni ingiuste dell’incarico per i sostenitori della liberazione palestinese.
4 – Rifiutare l’uso della sicurezza come arma per reprimere la libertà accademica.
3. Sostenere studiosi e studenti palestinesi
1 – Istituire borse di studio, borse di studio dedicate e opportunità di finanziamento dedicate incentrate sugli studiosi palestinesi, in particolare quelli provenienti da Gaza.
2 – Promuovere opportunità di lavoro e di conferenza per gli studiosi palestinesi (compresi impegni virtuali).
3 – Facilitare l’accesso alle risorse accademiche globali per gli studiosi palestinesi.
4. Riconoscere e celebrare la conoscenza e la storia palestinese
1 – Dedicare strutture o edifici dei plessi universitari in onore della storia e delle conquiste palestinesi.
2 – Incorporare ed evidenziare attivamente i contributi palestinesi nelle citazioni accademiche e nella ricerca.
3 – Contribuire alla ricostruzione e allo sviluppo delle università di Gaza attraverso donazioni e partenariati.
4 – Fornite risorse e avviare dipartimenti, centri e istituti di studi palestinesi e arabi nelle università
Queste azioni sono fondamentali per promuovere ambienti accademici di equità, giustizia e libertà, solidarizzando allo stesso tempo con la lotta palestinese per la liberazione e l’autodeterminazione. Mettendoli in pratica, noi studiosi impegniamo noi stessi e i nostri luoghi di apprendimento a coltivare in modo significativo modelli educativi femministi, antirazzisti e anticoloniali.
Il Collettivo Femminista Palestinese (PFC) è un organismo di donne e femministe palestinesi e arabe con sede negli Stati Uniti, impegnato nella liberazione sociale e politica palestinese affrontando la violenza sistemica di genere e coloniale, l’oppressione e l’espropriazione.
Traduzione di Beniamino Rocchetto -Invictapalestina.org