Le democrazie liberali rimangono vergognosamente complici di Israele, nonostante la perpretazione del genocidio a danno della popolazione Palestinese.
Fonte: English version
Richard Falk- 12 Aprile 2024
Immagine di copertina : Il Presidente USA Joe Biden parla a Raleigh, North Carolina, il 26 March 2024 (Brendan Smialowski/AFP)
Gli studenti di politica internazionale, hanno capito che quando si tratta di interessi strategici degli Stati leader, il diritto internazionale diventa marginale a meno che non sia utile alla propaganda di guerra contro gli avversari.
Infatti, le Nazioni Unite sono state concepite in modo da concepire questa caratteristica della vita politica internazionale. Altrimenti, dare ai vincitori della Seconda Guerra Mondiale, il diritto di veto, non avrebbe avuto senso.
Tale esenzione dal diritto internazionale è stata evidente anche nei processi per crimini di guerra tenutisi a Norimberga e a Tokyo dopo la Seconda Guerra Mondiale, in cui solo i crimini degli sconfitti sono stati esaminati per la responsabilità legale, mentre i crimini evidenti dei vincitori – come il bombardamento indiscriminato di Dresda e gli attacchi con bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki – non sono stati perseguiti.
Ad oggi, per ragioni comprensibili, molti in Giappone, credono che l’uso delle armi di distruzione di massa contro la popolazione civile di queste due città, abbiano rappresentato un genocidio.
Allo stesso tempo, le democrazie vincitrici, dopo il 1945 sembravano genuinamente impegnate alla costruzione di un ordine mondiale che fosse stabile, che tutelasse i diritti umani e rispettasse i diritti di sovranità dei paesi più deboli. Ovviamente, la Guerra Fredda ha interferito con questi piani idealistici, ha paralizzato l’ONU nei contesti di pace e sicurezza e ha sminuito in modo significativo l’adesione al diritto internazionale.
Con la fine della Guerra Fredda, simboleggiata dalla caduta del Muro di Berlino e l’implosione dell’Unione Sovietica, è sembrato che i valori della democrazia liberale- incluso il rispetto del diritto internazionale dei procedimenti globali-sarebbero stati promossi e avrebbero riempito il vuoto geopolitico provocato dalla scomparsa dell’Unione Sovietica, che ha lasciato gli Stati Uniti come unica superpotenza sopravvissuta.
Ma ciò non è avvenuto. Gli Usa hanno investito molto nell’ordine mondiale successivo alla Guerra Fredda ma lo ha fatto basandosi soprattutto sul proprio potere militare ed economico, mirando a plasmare un futuro costruito su mercati, alleanze e militarismo. Ha trascurato le opportunità di rafforzare le Nazioni Unite e di raggiungere il disarmo nucleare, nonché i modi per combinare lo status geopolitico con una concezione sostenibile e fondata sul diritto della politica internazionale.
Occasioni mancate
Queste occasioni mancate di migliorare l’ordine mondiale fondendo gli interessi strategici con una politica estera orientata al diritto non sono mai state prese seriamente in considerazione dai think tank di Washington o dalle élite della politica estera, poiché il militarismo interno era troppo profondamente radicato nell’economia, nella cultura politica e nel consenso sulla sicurezza della burocrazia militarizzata.
Le conseguenze della Guerra Fredda hanno portato a un’era di unilateralismo geopolitico, che comprendeva il sostegno tangibile ad alleati speciali, come Israele, Taiwan e Ucraina, a prescindere da quanto profondamente sfidassero il diritto internazionale e si sottraessero alle procedure di risoluzione pacifica.
La crescita della Cina autocratica, con la combinazione di violazioni di diritti umani e una rapida ascesa allo stato di superpotenza, ha rappresentato una sfida al centralismo preferito della Nato a guida statunitense e alla visione del futuro orientata al mercato.
Nel 2021, con l’avvento della leadership Biden-Blinken in politica estera, a Cina è stata severamente richiamata a conformarsi a “un ordine internazionale basato sulle regole”, che Pechino è stata accusata di violare nel trattamento dei tibetani e della minoranza uigura, nell’incoraggiare politiche repressive a Hong Kong e nel minacciare l’indipendenza di Taiwan.
Sembrava strano che queste “regole” non fossero mai collegate, dal Segretario di Stato Antony Blinken al diritto internazionale o all’autorità dell’ONU. Questo appello alla governance delle regole è sembrato più che altro una riaffermazione del primato geopolitico degli Stati Uniti, senza limitare il comportamento di Washington in politica estera.
Poi c’è stato l’attacco russo all’Ucraina a Febbraio 2022, che è stata una violazione definitiva del divieto legale all’aggressione, uno dei pochi principi legali dell’ordine mondiale che fosse stato rispettato genericamente dagli attori geopolitici dal 1945, e che è sostenuto dalla maggior parte degli stati, come ha confermato l’Assemblea Generale dell’Onu con la condanna a larga maggioranza dell’aggressione russa.
Washington, in quanto leader autoproclamato di un’alleanza di Stati democratici, sembrava offrire al mondo un rispetto almeno generalizzato delle regole più fondamentali del diritto internazionale, nonostante il suo stesso superamento di tali linee rosse legali attraverso le guerre in Kosovo (1999) e in Iraq (2003). Ma i loro pretesti giuridici alquanto plausibili hanno messo a tacere l’opposizione dei governi, delle Nazioni Unite e dell’opinione pubblica, anche se nel caso dell’Iraq milioni di persone hanno protestato contro l’invasione guidata dagli Stati Uniti.
Questa reazione pubblica di 20 anni fa è stata superata solo dalle reazioni alla lunga lista di abusi di Israele nei confronti del popolo palestinese, che ha raggiunto l’apice genocidiario durante gli scorsi sei mesi di violenza a Gaza.
Linee rosse sfocate
Tra tutte le linee rosse, nessuna è stata più ampiamente riconosciuta del “genocidio”, nonostante sia spesso difficile da stabilire legalmente nel mezzo di conflitti etnici o di combattimenti bellici. Il genocidio è chiaramente proscritto dal diritto internazionale e dalle pressioni diplomatiche, che sono aumentate con il persistere dell’assalto israeliano, l’intensificarsi dell’indignazione pubblica e la complicità dell’Occidente.
L’autorità normativa dell’etichetta di genocidio, prima di Gaza, era così grande che l’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, nel 1994, proibì l’uso della parola nel discorso ufficiale, temendo che definire il massacro in Ruanda un “genocidio” avrebbe creato pressioni irresistibili sugli Stati Uniti affinché agissero per fermare l’uccisione di massa.
Le politiche di pulizia etnica attuate dalla Serbia nella guerra di Bosnia a metà degli anni Novanta sono state contestate dalla Corte internazionale di giustizia (CIG) come genocidio, ma i problemi di accertamento dell’intento si sono rivelati troppo grandi. Più di recente, la repressione dei musulmani Rohingya da parte del Myanmar è stata ampiamente considerata un genocidio, che ha portato alla contestazione da parte del Gambia presso la Corte internazionale di giustizia, con il caso ancora in corso.
Per anni, Israele ha invocato con successo l’Olocausto per oscurare il processo di tattica coercitiva di Israele, carico di atrocità, che mira alla massima espropriazione ed espulsione della maggioranza indigena dei palestinesi nel processo di fondazione di Israele nel 1948 e di occupazione di Gerusalemme Est, della Cisgiordania e di Gaza dalla guerra del 1967.
Ha deviato il coro globale ostile che si opponeva alle sue politiche di occupazione come espressioni di “antisemitismo”, e ancora oggi risponde alle critiche sulle sue pratiche con la speciosa argomentazione che non può essere colpevole di genocidio, essendo stata essa stessa vittima del più grande genocidio di tutti i tempi – un’argomentazione che ricorda la famosa frase di WH Auden in una poesia, “coloro a cui viene fatto il male fanno il male in cambio”.
Come comprendere, allora, la volontà delle ex potenze coloniali occidentali di continuare a fornire vari livelli di sostegno a Israele mentre questo compie, in tempo reale, il più trasparente genocidio di tutta la storia umana?
Questo processo di uccisione è stato scioccantemente giustificato dal linguaggio disumanizzante utilizzato dai principali leader israeliani, tra cui il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e il Ministro della Difesa Yoav Gallant. Per sei mesi, la violenza indiscriminata e sproporzionata ha devastato i 2,3 milioni di civili palestinesi che vivono a Gaza, distruggendo il loro habitat già impoverito. Il genocidio serve come strumento coercitivo per indurre un’espulsione forzata di massa, mettendo in atto l’etica dei coloni del “vattene o muori”.
Sostegno convinto
La coalizione di governo di Netanyahu che ha preso potere in Israele nel gennaio 2023, era vista, anche in Occidente, come la leadership più “estremista” in tutta la storia di Israele.
Ciò che l’ha resa estrema- a parte le posizioni di gabinetto dei leader del Partito del Potere Ebraico (Itamar Ben Gvir) e del Sionismo Religioso (Bezalel Smotrich)-è stato l’immediato “semaforo verde” alla violenza dei coloni nella Cisgiordania occupata, la cancellazione di ogni entità politica palestinese dalla mappa del “nuovo medio oriente” srotolata da Netanyahu alle Nazioni Unite, e soprattutto, una volontà, malcelata, di completare il progetto sionista incorporando la Cisgiordania ed eventualmente Gaza nella “Grande Israele”.
Mesi dopo la salita al potere di questo governo, è arrivato l’attacco di Hamas del 7 Ottobre. È seguito l’assalto israeliano, culminato in autorevoli pronunciamenti internazionali che suggeriscono che Israele è colpevole di genocidio. A gennaio, la Corte internazionale di giustizia ha stabilito che era “plausibile” che Israele avesse commesso atti di genocidio a Gaza e ha votato 15 a 2 per ordinare allo Stato di prendere tutte le misure possibili per fermare tali atti.
In modo più definitivo, a marzo, un meticoloso rapporto del relatore speciale delle Nazioni Unite sui Territori palestinesi occupati ha trovato “ragionevoli motivi per ritenere che la soglia che indica l’attuazione di un genocidio da parte di Israele sia soddisfatta”.
Sebbene i leader israeliani non abbiano fatto alcuno sforzo per nascondere le loro intenzioni genocide, e le immagini della televisione notturna e dei social media abbiano reso questo genocidio palpabile agli occhi e alle orecchie del mondo, stranamente non ha spinto le democrazie liberali del mondo a modificare le loro politiche.
Soprattutto, gli Stati Uniti hanno tenuto duro. Hanno posto il veto su una serie di risoluzioni per il cessate il fuoco al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, hanno definito il caso di genocidio della Corte Internazionale di Giustizia “privo di merito” e hanno respinto il rapporto analiticamente impressionante sul genocidio dell’illustre relatrice speciale dell’ONU, Francesca Albanese, come opera di un antisemita, il tutto mentre spingevano per l’approvazione da parte del Congresso di un aumento degli aiuti militari (bombe e munizioni) a Israele, insieme a un continuo sostegno diplomatico nelle sedi internazionali.
Clamore mediatico
il governo degli Stati Uniti ha finalmente attenuato questa posizione incondizionata solo dopo che è diventato chiaro che stava danneggiando le prospettive di rielezione del presidente Joe Biden nel 2024 e dopo il furioso contraccolpo seguito all’attacco di questo mese a un convoglio della World Central Kitchen, che ha ucciso sette operatori umanitari (sei dei quali occidentali) incaricati di portare cibo ai palestinesi affamati.
Ciò ha provocato un tale clamore mediatico in Occidente da spingere Netanyahu a presentare delle rare scuse. Questo tragico incidente ha anche convalidato il sospetto che l’uccisione di europei innocenti abbia una risonanza politica molto maggiore in Occidente rispetto all’uccisione di migliaia di palestinesi innocenti, compresi i pazienti e il personale dell’ospedale.
Come si spiega questa vergognosa complicità con Israele e questo totale rifiuto del diritto internazionale di fronte a un genocidio così trasparente e crudele? Se gli Stati Uniti sono disposti a scagionare Israele dal genocidio, il crimine dei crimini, in questo modo palese, inviano al mondo il messaggio che, anche nelle circostanze più terribili, le affinità geopolitiche hanno la precedenza sul diritto e sulla morale – anche per le democrazie liberali.
Ci sono altri fattori che hanno contribuito a questa svolta oscura nella politica globale, tra cui la disumanizzazione del popolo palestinese per decenni, partendo dal presupposto che l’intera popolazione di Gaza sia contaminata da Hamas; la visione orientalista secondo cui i palestinesi e tutti i musulmani arabi sono in qualche modo subumani; le crude pressioni esercitate negli Stati Uniti dalla lobby israeliana; e una persistente coscienza sporca in Europa, soprattutto in Germania.
Forse la cosa più profonda, ma meno visibile, è che stiamo assistendo a un più ampio scontro di “civiltà”, con le ex potenze coloniali europee e i loro derivati coloniali da una parte (con l’eccezione della Spagna), e dall’altra le società e i movimenti islamici, oltre a molti ex Stati coloniali – sulla falsariga della profezia degli anni ’90 di Samuel Huntington “l’Occidente contro il resto del mondo”.
Quando si tratta di Israele, gli Stati Uniti sono stati a lungo una democrazia senza scelta, in cui due partiti politici competono vantando le loro superiori credenziali pro-Israele. Questa situazione finirà solo quando almeno una delle parti abbraccerà una politica responsabile, basata sul rispetto del diritto internazionale e dell’autorità delle Nazioni Unite.
Nel frattempo, le nubi scure aleggiano minacciose sul pianeta e la crudele vittimizzazione del popolo palestinese persisterà fino a quando non saranno visibili nuovi orizzonti di speranza.
Traduzione di Mavi Morano- Invictapalestina.org