di Gianni Rosini | 15 Aprile 2024 Il Fatto Quotidiano.
Sono passati quasi sei mesi dalle parole con le quali Antonio Guterres dichiarò che l’attacco di Hamas del 7 ottobre “non è venuto dal nulla“, ma si inseriva in un contesto di anni di soprusi e violazioni israeliane delle risoluzioni Onu. In quell’occasione, Tel Aviv si scagliò contro il segretario generale delle Nazioni Unite dando inizio a uno scontro con Palazzo di Vetro che non si è ancora esaurito. Dopo l’attacco dell’Iran, Guterres è tornato a sottolineare il contesto nel quale questo è avvenuto: ha condannato l’azione di Teheran, ma ha voluto ricordare che questa arriva dopo il raid di Tel Aviv sul consolato della Repubblica Islamica a Damasco. Nessun attacco nei confronti del segretario generale, almeno per ora, ma disinteresse da parte di Israele e dei suoi alleati che invece puntano il dito contro gli ayatollah, accusati di cercare un allargamento del conflitto. Così, per l’ennesima volta dall’inizio della guerra a Gaza, l’Onu appare debole: inascoltata dagli Stati membri, viene vista più come uno strumento da usare per i propri obiettivi che un’entità super partes da ascoltare.
Gli esempi che si sono succeduti in questi sei mesi sono talmente numerosi da diventare imbarazzanti. Il primo, come detto, riguarda proprio il segretario generale. Mentre i Paesi alleati, Stati Uniti in testa, si affannavano a manifestare la propria vicinanza e l’incrollabile sostegno allo ‘Stato ebraico‘, motivando i massacri a Gaza come “diritto all’autodifesa“, fu la voce di Guterres la prima, il 25 ottobre, a ricordare che “gli attacchi di Hamas non sono arrivati dal nulla”. Parole, le sue, per sottolineare come il successo del partito armato fosse dovuto anche al fatto che “il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione” e che “quegli attacchi spaventosi non possono giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese”. Dall’allora ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, si levò l’accusa nei suoi confronti di “simpatizzare per i terroristi” e da quel momento Tel Aviv non ha perso occasione di sostenere l’inutilità delle Nazioni Unite.
La decisione del governo Netanyahu di mettere l’Onu sullo stesso piano dei miliziani di Hamas è diventata concreta quando le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno bombardato le strutture delle Nazioni Unite che ospitavano i civili sfollati dalle città della Striscia, ma anche dopo che decine di dipendenti dell’organizzazione sono stati uccisi dai raid israeliani, mentre altri, senza presentare prove inconfutabili, sono stati accusati di aver preso parte attivamente all’attacco armato di Hamas, provocando un blocco generale dei fondi da parte dei Paesi finanziatori.
Ma gli episodi in cui gli appelli da Palazzo di Vetro sono rimasti inascoltati sono anche altri. Il più clamoroso risale al 25 marzo scorso, quando per la prima volta dall’inizio del conflitto anche il Consiglio di Sicurezza dell’Onu aveva trovato l’intesa, grazie all’astensione degli Stati Uniti, su una risoluzione che chiedeva “un cessate il fuoco immediato per il Ramadan rispettato da tutte le parti che conduca a un cessate il fuoco durevole e sostenibile e al rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi, nonché la garanzia dell’accesso umanitario per far fronte alle loro esigenze mediche e umanitarie”. Il mese di Ramadan è però passato senza che le bombe di Tel Aviv abbiano dato un solo giorno di tregua alla popolazione di Gaza, concentrata nella città all’estremo sud della Striscia, Rafah, col timore di un’ultima operazione militare di terra. Oltre a questo, nessun ostaggio è stato liberato da Hamas, mentre Israele ha continuato a colpire non solo i miliziani e i civili della Striscia, ma anche coloro che si accalcavano intorno agli aiuti e persino i convogli umanitari come quello della ong Wck o dell’Unicef.
Ci sono state poi le numerose denunce, non solo dell’Onu, delle violenze dei coloni illegali in Cisgiordania nei confronti della popolazione palestinese. La creazione e la continua espansione degli insediamenti israeliani costituisce un “crimine di guerra secondo il diritto internazionale”, hanno più volte ricordato le Nazioni Unite denunciando gli attacchi anche armati nei confronti dei palestinesi. Nonostante ciò, il governo Netanyahu, spinto dai ministri estremisti Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, ha approvato i progetti per la costruzione di 3.400 nuove abitazioni all’interno di diversi insediamenti, portando la cifra dell’ultimo anno a 18.515 totali.
Il costante disinteresse per i messaggi lanciati da New York ritorna, così, anche in queste ore: Guterres ha ribadito la “ferma condanna della grave escalation rappresentata dall’attacco dell’Iran a Israele”, ricordando a tutti i Paesi membri che “vige inoltre il principio dell’inviolabilità delle sedi diplomatiche e consolari e il personale deve essere rispettato”. Da Tel Aviv e dalle cancellerie europee e americane, però, sembrano non sentire: la posizione unanime è che sia il comportamento di Teheran a far aumentare l’ipotesi di un’escalation regionale.
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