Copertina: Palestinesi osservano i danni all’ospedale al-Shifa di Gaza City il 1° aprile. (Dawoud Abu Alkas/Reuters)
Fonte: english version
di Peter Maass
9 aprile 2024 at 5:45 a.m. EDT
Peter Maass è l’autore di “Ama il tuo vicino: Una storia di guerra”. Ha seguito la guerra in Bosnia per il Washington Post e l’invasione dell’Iraq per il New York Times Magazine.
Posso dirglielo.
Ho coperto il genocidio in Bosnia per il Post, ho scritto un libro al riguardo e ho fatto reportages dall’Iraq e dall’Afghanistan, tra gli altri paesi in conflitto. Inoltre, i miei antenati sono stati i principali finanziatori dell’immigrazione ebraica nella Palestina controllata dagli inglesi. I Warburg e gli Schiff hanno donato milioni di dollari a quella causa e, durante la guerra tra ebrei e arabi iniziata nel 1948, hanno contribuito a raccogliere ingenti somme per il nuovo Stato di Israele. Quando Golda Meir si recò negli Stati Uniti per una visita d’emergenza per la raccolta di fondi, uno dei filantropi che incontrò fu un mio zio che dirigeva l’American Jewish Joint Distribution Committee.
Mentre le forze israeliane si accaniscono su Gaza in quello che la Corte Internazionale di Giustizia definisce un caso “plausibile” di genocidio, la storia filantropica della mia famiglia si scontra con la mia familiarità con i crimini di guerra. Quando Israele bombarda e spara ai civili, blocca gli aiuti alimentari, attacca gli ospedali e interrompe le forniture d’acqua, ricordo gli stessi oltraggi in Bosnia. Quando le persone in fila per la farina a Gaza sono state attaccate, ho pensato ai cittadini di Sarajevo uccisi mentre erano in fila per il pane e ai responsabili che in ogni caso hanno insistito sul fatto che le vittime si erano massacrate fra di loro.
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Quando ho fatto un reportage dalla Sarajevo assediata, dove alloggiavo in un hotel che si trovava proprio sulla linea del fronte, con i cecchini serbi che sparavano regolarmente sui civili che passavano sotto la mia finestra. Mentre uscivo o entravo dall’Holiday Inn, a volte ero io a essere preso di mira. In un giorno di primavera del 1993, sentii il familiare crepitìo e fischio del proiettile di un cecchino, seguito da un urlo atroce. Andai alla finestra e vidi un civile ferito che cercava di mettersi al riparo. Scrivendo sul Post più di tre decenni fa, ho descritto le grida disperate di quell’uomo come
“l’urlo dissennato di una persona spinta oltre il limite. Veniva dai polmoni, dal cuore, dalla mente”.
Pensavo a Haris Bahtanovic – l’ho rintracciato in un ospedale vicino il giorno dopo – mentre guardavo un video straziante da Gaza poco tempo fa. Il video mostra una nonna, Hala Khreis, che cerca di lasciare un quartiere circondato dalle forze israeliane. Camminando a tentoni, tiene per mano suo nipote, che ha cinque anni e porta una bandiera bianca. All’improvviso, un colpo di fucile la fa accasciare a terra, morta. I fucili di precisione hanno mirini ad alta potenza: i tiratori possono vedere a chi stanno sparando. Gli attacchi a Khreis nel 2024 e a Bahtanovic nel 1993 sono avvenuti di giorno e non sono stati accidentali.
Milioni di ebrei in America si sentono legati alla creazione di Israele. Forse i nostri antenati hanno donato o raccolto fondi, forse sono andati a combattere, forse hanno fatto donazioni alle organizzazioni sioniste. Cosa deve fare oggi un ebreo? Ognuno fa le proprie scelte, ma la mia esperienza di crimini di guerra mi ha insegnato che essere ebreo significa opporsi a qualsiasi nazione che commetta crimini di guerra.
Qualsiasi.
Trad. Simonetta Lambertini