Gli studenti ebrei che partecipano alle proteste pro-Palestina nei loro campus avrebbero cose preziose da dire sul presunto “crescente antisemitismo” nelle loro scuole. Ma i media li ignorano.
Fonte: English version
di James North, 20 aprile 2024
Immagine di copertina: Foto postata da Joseph A. Howley/@Hastagoras su twitter con il tweet “ Shabbat Shalom dalla zona liberata della Columbia University”
Qual è la più grande distorsione dei media statunitensi sulle proteste alla Columbia University e altrove? Ecco chi vince finora: i media ignorano il fatto che gli studenti ebrei stanno partecipando alle proteste pro-palestinesi, e quindi potrebbero avere cose preziose da dire sulle accuse di “crescente antisemitismo” nei loro campus. I loro commenti sarebbero stati particolarmente opportuni perché proprio la settimana scorsa la rettrice della Columbia è stata interrogata da una commissione ostile della Camera dei Rappresentanti, dove è sembrata ammettere che l’antisemitismo è un pericolo reale.
Cominciamo con le notizie riportate dal New York Times nell’edizione cartacea di questa mattina. Entrambi gli articoli nascondono studenti ebrei filo-palestinesi. L’articolo principale, a firma di Sharon Otterman e Stephanie Saul, cita due studenti ebrei della Columbia, apparentemente indifferenti alla protesta, ma che non hanno nulla da dire sul presunto antisemitismo. A questo si affianca un servizio aggiuntivo, a firma di Troy Clossen, che riporta le crescenti pressioni contro la rettrice Minouche Shafik e ha inserito questa furbesca frase di sviamento:
“Alcuni studenti ebrei e altri hanno detto di aver apprezzato la risposta [la repressione della polizia], mentre alcuni membri di facoltà di sinistra: studenti, sostenitori della libertà di parola e altri hanno detto che è stata troppo dura”.
L’insinuazione è chiara: gli studenti ebrei non sono tra i manifestanti. Ma come può il Times ignorare fotografie come quella di ieri “Shabbat Shalom dalla zona liberata della Columbia University”? Guardate attentamente la foto e vedrete studenti che indossano la kippah seduti accanto a studenti con la kefiah. Ignorarli – non intervistarli – sembra una censura, non un incidente.
Anche il resto dei media mainstream ha evitato questa questione centrale. National Public Radio ha riportato i fatti della protesta della Columbia solo in modo limitato; il Washington Post ha fatto lo stesso. La CNN è andata leggermente meglio. Il suo servizio in onda è stato breve e confuso, ma un accenno alla verità è apparso in un articolo stampato sul suo sito web online. Il servizio citava “Ry”, uno studente dell’ultimo anno della Columbia che ha rifiutato di rivelare il suo cognome, ma che ha detto di essere un membro di Jewish Voice for Peace e di aver partecipato alla protesta nonviolenta nelle tende: “Noi studenti stiamo usando il nostro privilegio per difendere le persone che sono state oppresse per troppo tempo e speriamo che altre università colgano l’appello e facciano lo stesso”.
Normalmente, identificare le persone intervistate in base al loro background etnico, religioso o razziale è sbagliato. In questi giorni, però, nei campus universitari statunitensi vengono lanciate forti accuse di antisemitismo e bisogna porre queste domande, in modo che quelli di noi che non sono legati alla vita universitaria possano iniziare a capire quanto c’è di vero e quanto di esagerato.
Passiamo ora al secondo classificato nella gara delle distorsioni dei media: l’omissione di notizie su come potenti donatori facoltosi stiano quasi certamente influenzando le recenti politiche universitarie. Questo aspetto non riguarda solo la Columbia. Il 15 aprile, la University of Southern California ha annunciato bruscamente che avrebbe cancellato l’oratore previsto per la cerimonia di laurea, una giovane e brillante americana di origini musulmane di nome Asna Tabassum, che si era espressa online a favore dei diritti dei palestinesi. Entrambe le amministrazioni della Columbia e della Southern Cal hanno dichiarato che le loro recenti decisioni sono state guidate principalmente dalla “sicurezza”. La Columbia ha affermato che i manifestanti costituivano “un pericolo evidente e presente” – un’affermazione che un alto funzionario della polizia di New York, John Chell, ha negato. (Il rapporto online della CNN cita Chell che afferma: “Gli studenti arrestati erano pacifici, non hanno opposto alcuna resistenza e dicevano ciò che volevano in modo pacifico”). I critici della decisione della Southern Cal hanno sottolineato che l’università aveva già ospitato in passato oratori controversi, come l’estremista di destra Milo Yiannopoulos, garantendo una maggiore sicurezza.
L’incapacità dei media di riferire sull’influenza dei donatori è in qualche modo sorprendente.
All’indomani del 7 ottobre, non sono mancati gli annunci di riduzione o cessazione di grandi donazioni da parte di ricchi donatori pro-Israele. Per esempio, il miliardario di Victoria’s Secret Leslie Wexner ha tagliato i suoi legami con Harvard e Ronald Lauder, l’erede dei cosmetici Estée Lauder, ha sospeso le sue donazioni alla U Penn. Ma di recente queste notizie si sono spente. Naturalmente, è possibile che tutti i donatori arrabbiati abbiano già agito. Tuttavia, non c’è dubbio che i presidenti delle università vorrebbero che i miliardari come Wexner e Lauder tornassero a versare assegni cospicui.
Nel caso della University of Southern California, il fallimento dei media mainstream è stato particolarmente evidente. Sicuramente nell’area di Los Angeles ci sono ricchi allievi pro-Israele, che probabilmente non avrebbero voluto che la Tabassum includesse anche un lieve messaggio pro-palestinese nel suo discorso che avrebbe dovuto essere pronunciato davanti a un pubblico di 65.000 persone. Ma il Los Angeles Times, una volta autorevole, deve essere caduto in disgrazia, perché il suo articolo non ha nemmeno sollevato l’aspetto dei donatori.
Traduzione di Simonetta Lambertini- invictapalestina.org