Poche ore dopo aver compiuto un raccapricciante massacro di palestinesi sfollati nella zona di Tel Al-Sultan a ovest di Rafah, nella Striscia di Gaza, il 26 maggio, Israele ha compiuto un altro massacro nella zona di Al-Mawasi. Il primo è oggi conosciuto come il “Massacro delle Tende”. Ciò ha avuto luogo poco dopo che la Corte Internazionale di Giustizia aveva finalmente emesso una severa richiesta secondo cui “Israele deve immediatamente fermare la sua offensiva militare e qualsiasi altra azione a Rafah che possa infliggere alla popolazione palestinese di Gaza condizioni di vita che potrebbero portare alla sua distruzione fisica totale o parziale”.
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Di Ramzy Baroud – 29 maggio 2024
Immagine di copertina: I palestinesi osservano la distruzione causata dagli attacchi dell’esercito israeliano alle tende degli sfollati palestinesi accampati vicino ai magazzini all’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Impiego dei Rifugiati Palestinesi (UNRWA) a Rafah, Gaza, il 27 maggio 2024 (Ali Jadallah/Anadolu Agency)
Poche ore dopo aver compiuto un raccapricciante massacro di palestinesi sfollati nella zona di Tel Al-Sultan a ovest di Rafah, nella Striscia di Gaza, il 26 maggio, Israele ha compiuto un altro massacro nella zona di Al-Mawasi. Il primo è oggi conosciuto come il “Massacro delle Tende”. Ciò ha avuto luogo poco dopo che la Corte Internazionale di Giustizia aveva finalmente emesso una severa richiesta secondo cui “Israele deve immediatamente fermare la sua offensiva militare e qualsiasi altra azione a Rafah che possa infliggere alla popolazione palestinese di Gaza condizioni di vita che potrebbero portare alla sua distruzione fisica totale o parziale”.
L’uccisione di 50 palestinesi nelle loro stesse tende per sfollati è stata la risposta data dal Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e dal suo governo estremista alla Corte Internazionale di Giustizia e al resto della comunità internazionale. I successivi massacri israeliani a Rafah dimostrano il grado di intransigenza del Regime Genocida di Israele.
Netanyahu e il suo Ministro della Difesa, Yoav Gallant, che entro poche settimane potrebbero essere entrambi sulla lista ufficiale dei “ricercati” della Corte Penale Internazionale, avrebbero potuto facilmente scegliere una strada diversa, anche per semplice tornaconto politico. Avrebbero potuto, ad esempio, ritardare l’Operazione Rafah o cambiare strategia, solo per evitare ulteriori sentenze della Corte Internazionale di Giustizia sulla questione.
Invece, hanno optato per la scelta più arrogante e codarda: Uccidere i civili.
Le loro bombe anti-bunker da 2000 libbre (900 kg) hanno smembrato e decapitato i bambini mentre giacevano accanto alle loro madri in campi improvvisati senza acqua, senza elettricità e senza cibo. Mentre l’esercito israeliano ha offerto al mondo una versione chiaramente inventata di quanto accaduto, incolpando i “militanti” e simili, l’Ufficio di Netanyahu ha descritto l’attacco come un errore.
Entrambe le versioni, ovviamente, erano bugie. L’esercito israeliano possiede alcune delle tecnologie di rilevamento più avanzate al mondo, grazie alla generosità e al continuo sostegno degli Stati Uniti. Avrebbe potuto facilmente distinguere tra un’area operativa della Resistenza Palestinese e un campo profughi pieno di bambini e donne.
Se l’attacco è stato davvero un errore, cosa spiegano gli altri massacri che seguirono, sempre a Rafah e nella vicina Mawasi, che uccisero e mutilarono decine di rifugiati? E qual è la logica dietro l’uccisione e il ferimento di quasi 130.000 palestinesi dall’inizio della guerra il 7 ottobre, la maggior parte dei quali erano donne e bambini?
Il massacro delle tende non è stato un errore, né può essere attribuito a militanti immaginari che operano dall’interno delle tendopoli dei rifugiati sfollati. Tuttavia, Netanyahu aveva una sua logica. Tanto per cominciare, ha voluto inviare un messaggio diretto per far sapere alla Corte Internazionale di Giustizia che Israele non è turbato dal suo ordine diretto di porre fine all’Operazione Rafah. I destinatari di questo messaggio non erano necessariamente i giudici della Corte Internazionale di Giustizia, ma la comunità internazionale, che rimane, nonostante la sua retorica solidale, inefficace nell’influenzare la durata, la direzione o la natura della guerra israeliana.
Netanyahu voleva anche ottenere facili consensi politici contro i suoi rivali nel suo stesso Gabinetto di Guerra, presentandosi come il coraggioso leader israeliano che si oppone al mondo intero. Ha affermato più e più volte che “il popolo ebraico resterà solo”.
Il leader israeliano deve anche essere stato informato che altri soldati israeliani erano stati catturati dalla Resistenza Palestinese. La dichiarazione di quest’ultimo al riguardo il 25 maggio è stata rilasciata proprio un giorno prima che Netanyahu attaccasse Rafah. Da un punto di vista militare, la cattura di altri soldati inviati a Gaza presumibilmente per liberare altri prigionieri israeliani avrebbe dovuto essere il momento per “ritirarsi”.
La Resistenza di Gaza non ha rilasciato ulteriori informazioni dopo la breve dichiarazione iniziale del Portavoce Militare di Al-Qassam, Abu Obeida. Hamas è noto per divulgare informazioni al pubblico quando è strategicamente più opportuno farlo, come nel caso dell’annuncio che avrebbe fatto prigioniero il Colonnello israeliano Asaf Hamami, che Israele ha dichiarato morto lo scorso dicembre.
Netanyahu e il suo esercito stanno cercando disperatamente di prevenire la rabbiosa reazione della società israeliana alla cattura dei soldati, concentrando le notizie su Rafah.
Sa che tali massacri ampliano la sua cerchia di sostegno nel suo collegio elettorale di estrema destra.
Inoltre, la tempistica del massacro è stata anche un messaggio agli Stati Uniti, ai mediatori (Egitto e Qatar), ad Hamas e persino ai membri del Gabinetto di Guerra che desiderano porre fine alla guerra attraverso un accordo di tregua. I media hanno parlato di una potenziale svolta nei colloqui, iniziati a Parigi prima di passare a Doha, che hanno mostrato una certa volontà da parte di Israele di collegare il rilascio dei prigionieri ad una tregua permanente.
Un simile accordo sarebbe considerato una sconfitta dal punto di vista di Netanyahu e segnerebbe sicuramente la fine della sua carriera politica. Quindi si è semplicemente scagliato contro i rifugiati di Rafah con la speranza di interrompere qualsiasi potenziale accordo a Doha.
È stato per lo stesso motivo che le sue truppe hanno aperto il fuoco contro i soldati egiziani al valico di Rafah, uccidendone uno, forse due, e ferendone altri. L’Egitto è stato un importante mediatore nei colloqui di tregua. Attaccare il mediatore non è solo umiliante per il governo egiziano, ma anche per l’esercito e il popolo egiziano.
Sebbene Netanyahu non abbia una strategia per la guerra in sé, ha una strategia per prolungare la propria sopravvivenza politica. Si basa sul creare confusione politica, garantire il caos e compiere continui massacri contro i civili, il tutto nella consapevolezza che Washington rimarrà sempre dalla sua parte, qualunque cosa accada. Il leader israeliano, però, sta solo prendendo tempo. I massimi generali, gli esperti e gli analisti militari israeliani sanno che la guerra è stata persa e che prolungarla non ne modificherà in alcun modo gli esiti prevedibili.
Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org