Gli attivisti per la pace che affrontano i coloni sono consapevoli di essere “una minoranza nella minoranza”.
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di Lorenzo Tondo e Quique Kierszenbaum a Tarqumiya, 31 maggio 2024
Alle 10.30 circa di un lunedì rovente, un gruppo di cinque giovani coloni israeliani è arrivato al checkpoint di Tarqumiya, a ovest di Hebron, in Cisgiordania, dove erano attesi decine di camion di aiuti diretti a Gaza.
I coloni avevano ricevuto informazioni dettagliate sui tempi, la posizione e il numero di camion che sarebbero passati dal checkpoint quella mattina. Quello che non avevano previsto è che anche decine di attivisti per la pace si erano riuniti a Tarqumiya con una missione specifica: impedire ai coloni di bloccare i veicoli e garantire che gli aiuti continuassero il loro viaggio verso Gaza.
“Abbiamo deciso di formare questa guardia umanitaria perché siamo consapevoli che si tratta di una lotta per la vita di persone innocenti a Gaza”, ha dichiarato Alon-Lee Green, co-direttore nazionale della coalizione di pace ebraico-araba Standing Together, un movimento di cittadini ebrei e palestinesi di Israele per la pace, l’uguaglianza e la giustizia sociale.
“Si tratta di persone che hanno perso le loro case, la loro terra, persone che rischiano di morire di fame”.
“Ma non si tratta solo di questo, è anche una battaglia per l’anima della nostra società, per capire se possiamo rimanere umani di fronte alla paura, di fronte al trauma; se possiamo riuscire a scegliere la vita invece della morte, o a scegliere la solidarietà invece dell’odio e della fame”.
Nelle ultime settimane sono emersi video che mostrano convogli di aiuti bloccati e vandalizzati da coloni israeliani e camion dati alle fiamme.
Chi blocca i veicoli sostiene che gli aiuti che trasportano vengono dirottati da Hamas invece di essere consegnati ai civili bisognosi, un’affermazione che le agenzie di soccorso respingono. Gli attacchi hanno suscitato indignazione e sono stati condannati dalla Casa Bianca come “comportamento assolutamente inaccettabile”.
A Tarqumiya, quando il camion dei soccorsi stava per oltrepassare il checkpoint, i giovani coloni si sono messi in mezzo alla strada, costringendo il camion a fermarsi. Green e decine di altri attivisti per la pace hanno circondato i coloni, tenendosi per mano per formare una barriera intorno a loro, mentre il camion ricominciava a muoversi.
I coloni hanno cercato di liberarsi dalla barriera umana per riposizionarsi davanti al camion, gridando contro gli attivisti per la pace e accusandoli di aiutare Hamas. I soldati israeliani si sono avvicinati ma hanno dichiarato di non poter intervenire.
Dei filmati precedenti mostravano soldati israeliani di scorta ai convogli non intervenire contro i coloni.
Green ha dichiarato che l’obiettivo dei pacifisti è quello di costringere la polizia a intervenire ai checkpoint. “Non possiamo ingaggiare uno scontro fisico con i coloni”, ha detto. “Non è questo che vogliamo. Ma possiamo impedire loro di avvicinarsi ai camion e fare in modo che la polizia ne prenda atto… Non è nostro compito proteggere quei camion. È la polizia che dovrebbe fare quel lavoro”.
Dopo aver esaminato decine di video, Standing Together ha identificato almeno 20 coloni che hanno partecipato agli attacchi ai convogli. “Se riusciamo noi a identificare queste persone, anche la polizia può farlo”, ha detto.
Molteplici fonti hanno affermato che i membri delle forze di sicurezza israeliane fanno delle soffiate agli attivisti di estrema destra e ai coloni sulla posizione dei camion degli aiuti. La relazione è stata confermata da un portavoce del principale gruppo di attivisti israeliani che sta dietro ai blocchi e supportata da messaggi dei gruppi di chat dei coloni verificati da The Guardian, oltre che dai racconti di testimoni e attivisti per i diritti umani.
Le Nazioni Unite hanno dichiarato che 1,1 milioni di persone a Gaza – quasi la metà della popolazione – sono confrontati a livelli catastrofici di fame e che il territorio è sull’orlo della carestia. Negli ultimi tre giorni, i coloni hanno continuato a bloccare e saccheggiare decine di camion di aiuti destinati al territorio.
La tattica di Standing Together si è rivelata vincente. Dopo circa mezz’ora, mentre si formava una lunga coda di veicoli al posto di blocco, è arrivato un gruppo di agenti di polizia. Di fronte a decine di attivisti pacifisti e reporter che riprendevano la scena, la polizia è intervenuta, costringendo i coloni a liberare la strada e permettendo ai camion di proseguire.
Un giovane colono che ha cercato di sdraiarsi a terra è stato spostato di peso dalla polizia e portato in un veicolo.
I coloni sono spesso armati di fucili automatici. Alla domanda se gli attivisti di Standing Together abbiano paura di uno scontro fisico, Stav, un membro di 32 anni del gruppo, ha risposto: “Ogni volta che ci sono di mezzo delle armi, ovviamente c’è il timore che la cosa possa degenerare. Ma speriamo che la nostra presenza qui, dato che siamo ebrei israeliani, faccia la differenza e induca i coloni ad esitare nel ricorso alle armi”.
Emanuel Yitzhak Levi, 28 anni, un altro attivista per la pace, ha dichiarato: “Naturalmente abbiamo paura. Ma riteniamo che sia necessario fare ciò che stiamo facendo. Anche secondo la nostra religione, quando si è in guerra con un’altra città, non si può affamare la popolazione. Purtroppo in Israele siamo una minoranza nella minoranza”.
Nessuno dei coloni coinvolti nell’incidente di Tarqumiya ha voluto fare commenti.
Promuovere la pace e opporsi all’occupazione dei territori palestinesi non è un compito facile in Israele dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre.
Lo stesso mese, mentre Israele era ancora sotto lo shock degli attacchi, due attivisti di Standing Together sono stati arrestati per aver affisso dei manifesti con un messaggio – “Ebrei e arabi, supereremo questo momento insieme” – che gli agenti di polizia hanno ritenuto offensivo.
Gli agenti hanno confiscato i manifesti e le magliette stampate con slogan di pace in ebraico e arabo.
Non si è trattato di un incidente isolato. In tutto Israele, le persone vengono arrestate, licenziate dal lavoro e persino aggredite per aver espresso sentimenti interpretati da alcuni come simpatia per Hamas.
“All’inizio della guerra abbiamo cercato di inviare dei camion di aiuti a Gaza, ma la polizia ci ha impedito di raggiungere il confine, anche se ci eravamo coordinati con le organizzazioni umanitarie internazionali”, ha detto Green. “Poi abbiamo fatto alcune manifestazioni al confine. E abbiamo cercato di raggiungere il passaggio di Kerem Shalom per denunciare il blocco dei camion degli aiuti. Non ha funzionato.”
“A quel punto abbiamo pensato che fosse arrivato il momento di un’azione diretta”.
Traduzione: Leila Buongiorno