La narrazione delle zone sicure come luoghi di rifugio è stata confutata dalla realtà della guerra
Fonte: English version
Oroub El-Abed – 4 giugno 2024
Immagine di copertina: I palestinesi con i loro averi stipati continuano a fuggire dai quartieri orientali della città a causa degli attacchi israeliani in corso a Rafah, Gaza, l’8 maggio 2024 (Ali Jadallah – Anadolu Agency)
Una delle tattiche più insidiose utilizzate dalle autorità israeliane nel loro piano per controllare Gaza e le sue città è il concetto di “zone sicure”. Sebbene l’intento dichiarato sia quello di proteggere i civili, queste zone sono spesso descritte come una facciata per cancellare la presenza palestinese con mezzi violenti. L’illusione del rispetto dei diritti umani viene utilizzata per mascherare il vero intento di queste politiche. Promosse come rifugi dalla violenza continua, queste zone spesso diventano esse stesse obiettivi, provocando un aumento degli sfollamenti, della distruzione e della perdita di vite umane.
Il concetto di zone sicure in aree di conflitto come la Striscia di Gaza, promosso dalle autorità israeliane, mira apparentemente a fornire ai civili un rifugio dalla violenza in corso. Tuttavia, la realtà è completamente diversa. Queste zone diventano spesso obiettivi, aggravando la crisi umanitaria. Secondo il Diritto Internazionale Umanitario, la protezione dei civili durante i conflitti armati è fondamentale. La Quarta Convenzione di Ginevra delinea le responsabilità delle parti in guerra nel garantire la sicurezza e il benessere dei civili disarmati. La mancata protezione di queste zone solleva gravi questioni legali ed etiche sulla condotta delle operazioni militari e il reale impegno nei confronti dei principi umanitari.
I rapporti della Commissione Internazionale di Salvataggio evidenziano che l’intensificazione delle ostilità a Rafah, una cosiddetta zona sicura, ha provocato ingenti vittime civili, un aumento del numero dei morti e una distruzione diffusa. A Gaza queste zone si sono rivelate tutt’altro che sicure. La strategia militare, combinata con bombardamenti costanti e trasferimenti forzati, imita la violenza rappresentata nei videogiochi, dove i civili vengono spostati e poi presi di mira come se fossero controllati da un telecomando.
Il Costo Umano
Non esiste un luogo sicuro a Gaza, come riferito dai funzionari delle Nazioni Unite e dai residenti locali che perdono continuamente i familiari mentre fuggono da un luogo all’altro. Rafah, nella parte meridionale della Striscia di Gaza, è diventata un simbolo della tragica realtà di queste zone sicure. L’area è stata sottoposta a incessanti bombardamenti e cannoneggiamenti, trasformando i presunti santuari in scene di devastazione. I rapporti di Medici Senza Frontiere descrivono le terribili condizioni a Rafah, dove gli sfollati si muovono tra edifici distrutti e tende temporanee in queste cosiddette zone sicure. Questa distruzione costringe ripetutamente allo spostamento delle famiglie, erodendo ogni parvenza di stabilità e sicurezza.
In resoconti di tendopoli improvvisate bruciate dai continui bombardamenti a Rafah sono particolarmente strazianti. Le famiglie sono state coinvolte in questi attacchi, dimostrando la forte illusione di sicurezza che queste zone dovrebbero fornire. Invece, spesso diventano epicentri del conflitto, esponendo i civili a ulteriori danni.
Nonostante un crescente movimento populista riconosca la narrativa fuorviante delle politiche israeliane, la risposta della comunità internazionale alla crisi di Gaza è stata criticata per la sua inefficacia e passività. Human Rights Watch ha definito le politiche israeliane nei confronti dei palestinesi come Crimini di Apartheid e Persecuzione, chiedendo maggiore responsabilità e azione da parte delle potenze globali. Nonostante queste condanne, permane una grave mancanza di applicazione delle leggi e delle convenzioni internazionali volte a proteggere i civili nelle zone di conflitto.
Questa mancanza di azione ha alimentato un senso di complicità tra il pubblico internazionale. Il silenzio e l’inazione di molte nazioni e organizzazioni permettono alla violenza di continuare e contribuiscono a far crescere il risentimento e l’odio tra le persone colpite. La vista dei campi bruciati a Rafah e le grida di coloro che hanno perso tutto servono come toccante promemoria del costo umano di questo conflitto e come seme di una generazione che odia tutti coloro che non sono riusciti a fornire aiuto per salvarli.
La Strategia del “Fatto Compiuto”
La strategia del “fatto compiuto” impiegata da Israele a Gaza e nei Territori palestinesi in generale dal 1948 rappresenta un approccio sistematico per alterare le realtà demografiche e politiche sul campo. Questo metodo stabilisce e rafforza nuove realtà che perpetuano la privazione sistemica dei diritti civili e lo sfollamento dei palestinesi. Questa strategia contribuisce ad un continuo Genocidio contro il popolo palestinese.
Sfollando sistematicamente i palestinesi e distruggendo le loro case e comunità, lo Stato israeliano sta di fatto cancellando la presenza palestinese in alcune aree. Questo graduale processo di rimozione può essere visto come una forma di Genocidio Culturale e Demografico. L’Occupazione in corso e le relative politiche provocano gravi violazioni dei diritti umani. La negazione dei diritti fondamentali come la libertà di movimento, l’accesso all’assistenza sanitaria, all’istruzione e a condizioni di vita adeguate costituisce un attacco alla fondamentale dignità umana dei palestinesi. Il continuo stato di insicurezza e il trauma dello sfollamento hanno profondi impatti psicologici sulle comunità palestinesi, erodendo ulteriormente la loro umanità.
La devastazione e il trauma vissuti dal popolo palestinese a Gaza non sono solo conseguenze immediate ma anche semi per futuri conflitti. La rabbia e l’odio suscitati da queste esperienze sono diretti non solo a Israele, ma anche a coloro che sono percepiti come complici attraverso il loro silenzio e la loro inazione. Questo ciclo di violenza e risentimento rappresenta una sfida significativa per qualsiasi futuro impegno di pace.
La narrazione delle zone sicure come luoghi di rifugio è stata confutata dalla realtà della guerra. La comunità internazionale deve riconoscerlo e intraprendere azioni più decisive per proteggere i civili e affrontare le cause alla base di questo conflitto prolungato. È fondamentale riconoscere che gli oltre due milioni di persone che vivono a Gaza sono esseri umani reali, non personaggi animati di un videogioco, e non possono continuare a sopportare queste condizioni di vita disumane. È necessario un intervento umanitario immediato per affrontare questa guerra distruttiva e Genocida.
Oroub El-Abed è Ricercatrice Capo Regionale presso il Centro di Studi Libanesi. El-Abed ha completato il suo dottorato di ricerca in Economia Politica dello Sviluppo presso la Scuola di Studi Orientali e Africani. Il suo lavoro di ricerca si concentra sui rifugiati e sulle minoranze vulnerabili in Medio Oriente.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org