Il processo che Israele ha attraversato negli ultimi mesi può essere descritto solo come una separazione dalla sua coscienza. Era malato da anni; ora è morto.
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Di Gideon Levy – 12 giugno 2024Immagine di copertina: La distruzione nel campo profughi di Nuseirat, dove quattro ostaggi israeliani sono stati liberati la settimana scorsa, lunedì. Credito: AFP
Può una società esistere senza una coscienza? Può uno Stato continuare a funzionare dopo la sua rimozione? La coscienza è un organo vitale, come il cuore o il cervello, o è come la milza o la cistifellea, di cui si può fare a meno? Forse è come la tiroide: puoi vivere senza di essa, purché prendi un sostituto dell’ormone? Ogni israeliano adesso dovrebbe porsi queste domande, dopo che il Paese è stato sottoposto a una coscienziectomia totale il 7 ottobre 2023. Da allora Israele è senza coscienza. Per ora sembra essere vivo.
Il processo che Israele ha attraversato negli ultimi mesi può essere descritto solo come una separazione dalla sua coscienza. Era malato da anni; ora è morto. Ci sono una miriade di spiegazioni e giustificazioni, ma la domanda rimane, in tutta la sua forza: come può continuare a resistere nel tempo una società senza coscienza?
La sera del 7 ottobre, con tutte le atrocità che quella giornata ha comportato, Israele si è detto: abbiamo chiuso con la coscienza. D’ora in poi siamo solo noi, non c’è nessun altro. D’ora in poi c’è solo la forza, nient’altro. Per noi non ci sono migliaia di bambini morti, né le loro madri morte; nessuna distruzione totale o fame, nessuna espulsione di persone indigenti o l’inflizione del terrore totale.
Niente interessa più a Israele se non il suo sacrificio, la punizione a cui è stato sottoposto, la sua sofferenza e il suo coraggio. I giorni scorsi ne hanno fornito la prova definitiva. Successivamente non c’è più spazio per interrogarsi sul suo senso morale. È andato.
L’euforia scoppiata in Israele dopo la liberazione dei quattro ostaggi, sabato scorso, era giustificata, umana, travolgente e molto commovente. La cecità che l’accompagnava attestò la fine della coscienza nazionale.
Solo il giorno dell’operazione di salvataggio, secondo il Ministero della Sanità di Gaza gestito da Hamas, 274 persone sono morte nel campo profughi di Nuseirat e altre 698 sono rimaste ferite. Le immagini dei convogli di ambulanze, auto private e carri trainati da asini che trasportavano centinaia di feriti e cadaveri all’ospedale completamente sopraffatto di Deir al-Balah furono tra le più difficili della guerra.
Israele ha scelto di nasconderli, di cancellarne la memoria, di negare la loro esistenza, come se, se nascosti e ignorati, non fossero morti. Israele si è avvolto nella gioia; per tutta la settimana, canti di lode, per l’audace operazione, che è stata davvero intrepida, per il coraggio dei soldati che hanno liberato gli ostaggi, che sono stati davvero eroici, per l’ufficiale che è stato ucciso e da cui l’operazione prenderà il nome, si sono succeduti in costante ripetizione, e senza dire una parola su cos’altro è accaduto a Nuseirat nel corso dell’operazione.
Quando Daphna Liel di Canale 12 Notizie descrive l’operazione come “perfetta”, cosa intende dire? Che 300 morti sono la perfezione? E se fossero state uccise 1.000 persone, Liel avrebbe ancora pensato che l’operazione fosse perfetta? Decine di migliaia di cadaveri avrebbero oltrepassato la linea di perfezione di Liel? Quale numero avrebbe oltrepassato il limite per gli israeliani? Mille bombe sganciate su Nuseirat avrebbero sollevato interrogativi? È molto dubbio.
Quando il Comandante della Polizia di Frontiera, il Maggiore Generale Itzhak Brik, l’eroe del momento, le cui forze hanno liberato gli ostaggi, dice che hanno effettuato un’operazione “chirurgica” e che erano guidati da “valori”, a cosa si riferisce? Come sarebbe uccidere le persone in un modo non guidato dai valori? 300 morti sono un’operazione “chirurgica”? Come sarebbe un omicidio Genocida? Quando nessuno dice il contrario o corregge tali affermazioni, quando nessuno esprime riserve o addirittura aggiunge un asterisco per non rovinare la gioia delle masse sulle spiagge del Paese, qui c’è qualcosa di molto malato.
Ovviamente il commovente salvataggio avrebbe dovuto essere festeggiato. Gli israeliani meritano un momento di gioia nell’inferno in cui vivono da mesi, che non è ancora finito. Ma non si può, non si deve, ignorare il prezzo pagato dai palestinesi, anche se ci sono persone che credono che il prezzo fosse inevitabile o addirittura del tutto giustificato.
Una società che ignora così sfacciatamente il prezzo pagato da decine di migliaia di persone, con le loro vite, corpi, anime e proprietà, per il salvataggio di quattro dei suoi ostaggi e per un momento di gioia per i suoi membri, è una società a cui manca qualcosa di vitale. È una società che ha perso la coscienza.
Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo ultimo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org