La guerra a Gaza appesantisce il giogo israeliano sull’economia palestinese

Una crisi economica senza precedenti, preludio del “disastro finale”

Fonte: Arabic Version

A. F. B.  21 Aprile 2024, Gerusalemme

Immagine di copertina: Palestinesi in un mercato a Ramallah, 11 maggio 2024

Le condizioni economiche della Cisgiordania occupata, a seguito della guerra su Gaza, peggiorano e divengono sempre più precarie e dipendenti dalle manovre economiche israeliane. La guerra ha fatto precipitare ulteriormente l’enonomia dei territori occupati, già da anni in crisi.

L’analista economico palestinese Adel Samara dichiara: “Concettualmente, vorrebbero che non esistesse un’ “economia palestinese” sotto l’occupazione israeliana. Ciò che si realizza così è uno scambio impari, mentre la nostra economia è solo un’estensione dell’economia israeliana, sottoposta alle forze armate.

A definire i termini entro cui si muove l’economia palestinese oggi è il Protocollo di Parigi, firmato nel 1994 da Israele e dai rappresentanti dell’OLP, nella cornice degli accordi di Oslo, i cui lavori si conclusero tra il 24 e il 28 Aprile del 1995 per dare inizio all’esodo palestinese verso la Cisgiordania e verso la striscia di Gaza. Le leggi economiche del Protocollo di Parigi avrebbero dovuto rimaner valide per un periodo temporaneo di cinque anni, durante i quali l’esodo si sarebbe concluso così come le negoziazioni circa la ridefinizione finale dei territori palestinesi. Nella realtà dei fatti, l’economia palestinese resta ad oggi governata da quello stesso Protocollo.

I livelli di produzione permessi sono limitati all’interno dei territori palestinesi, – continua l’economista Samara – questo porta all’assenza di opportunità di lavoro per la manodopera palestinese, costretta così a cercare possibilità lavorative a servizio degli israeliani. Tutto ciò si è fermato il 7 Ottobre 2023, con lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas. Con questo, “la nostra economia è implosa”.

Il Protocollo di Parigi definisce la relazione di forza da parte di Israele sull’economia palestinese in 6 ambiti principali, quali le dogane e le tasse doganali, la manodopera, l’agricoltura, l’industria, il turismo, l’import-export. Esso stabilisce che Israele detenga pieni potere sul controllo dei confini, sull’imposizione delle tasse d’importazione e sul plus-valore. I rapporti commerciali palestinesi avvengono ovviamente attraverso porti ed aereoporti israeliani, o attraverso quei valici tra Stati (tra i territori palestinesi e la Giordania, o ancora tra territori palestinesi ed Egitto), che sono anch’essi sotto totale controllo e gestione israeliana. Senza dimenticare che la moneta in uso nei territori palestinesi è lo shekel israeliano.

 

Una crisi economica senza precedenti

Secondo una stima dell’agenzia France Press, basata sui numeri riportati da Israele, l’inaudito attacco del 7 Ottobre sferrato da Hamas da Gaza avrebbe causato circa 1170 vittime, la maggior parte delle quali civili israeliani. Così, dal giorno successivo all’attacco, Israele ha smesso di versare la parte di ricavi sulle esportazioni e sulle dogane spettante all’Autorità Palestinese, giustificando la decisione adducendo che tali guadagni sarebbero andati a finanziare il movimento della resistenza palestinese, Hamas, che governa su Gaza dal 2007, ed è considerata da Israele “organizzazione terroristica”.

In segno di protesta, il presidente dell’AP Mahmoud Abbas avrebbe rifiutato le cifre ribassate proposte da Israele: a mediare la disputa è intervenuto il governo norvegese. Israele ha dovuto quindi consegnare circa 115 milioni di dollari, ma la crisi non è stata sedata.

In passato, più di una volta Israele, a seguito di scontri e disordini, avrebbe ritenuto di bloccare l’invio dei compensi statali all’AP, un flusso di denaro equivalente a circa il 60% degli introiti dell’AP, necessario per quest’ultima per il pagamento dei suoi impiegati e per il saldo delle spese governative.

Secondo le parole del Primo Ministro dell’AP, Muhammad Mustafa, “le contingenze economiche palestinesi preannunciano il disastro totale. La crisi economica è inedita ed ha raggiunto livelli davvero fatali: i debiti e i pagamenti sospesi del governo ammontano a 7 miliardi di dollari, oltre un terzo del netto della produzione interna.”

A seguito della guerra in corso, Israele ha revocato “per ragioni di sicurezza” 130 mila permessi di lavoro ai palestinesi della Cisgiordania, lasciandoli senza alcuna fonte di reddito. Il tasso di disoccupazione nei territori occupati della Cisgiordania è così passato dal 14% precedente alla guerra, al 30% odierno. L’economista ha descritto ciò come una “strategia studiata”, che porterebbe i palestinesi a non vedersi di fronte alcuna alternativa se non la ricerca di lavoro dentro Israele. Continua Samara: “In una vera economia statale di un qualsiasi Stato, devono esistere quei siti di produzione economica, industriale, agricola, che garantiscono il lavoro ai cittadini di quello Stato.”

 Una punizione collettiva

L’analista d’economia israeliano Michael Milchan afferma che negare i permessi di lavoro all’interno di Israele ai palestinesi, in aggiunta alla revoca dei compensi all’AP e al rifiuto di consegnare loro i guadagni delle dogane, è tutto parte del piano per far crollare il governo dell’AP, considerato nemico di Israele. Si tratta di una vera e propria “punizione collettiva” dei palestinesi. “Secondo dati israeliani, fino al 7 Ottobre, un terzo del reddito della Cisgiordania proveniva dal lavoro in Israele di 193 mila palestinesi. Questo, mentre solo 8 mila palestinesi risultavano lavorare legalmente in Israele.”

Milchan aggiunge poi che alcuni politici israeliani come Biny Gantz e Gadi Eisenkot vorrebbero che fossero concessi i permessi di lavoro in Israele ai palestinesi, per evitare che le condizioni di sicurezza in Cisgiordania siano compromesse. Questo costituirebbe una pressione insostenibile sull’esercito israeliano, impegnato in una guerra terribile sul fronte di Gaza e schierato alla frontiera con il Libano pronto a rispondere ad un eventuale attacco di Hezbollah.

Afferma l’analista Nasser AbdelKarim che Netanyahu intende fare massima pressione sui palestinesi e far passare il messaggio che le chiavi dell’economia palestinese siano tutte in pugno al governo israeliano, liberissimo di far cadere il potere dell’AP in qualsiasi momento, capace di dargli la vita così come di annientarla a suo piacimento. Questa situazione di estrema debolezza economica dei palestinesi, porterà sicuramente il loro governo a rinunciare ai propri diritti, in politica, per il bene della sopravvivenza. “Ciò che il governo israeliano non vuole è un’Autorità Palestinese forte, che possa assumersi il suo ruolo cruciale nelle trattative al termine della guerra.” Attraverso l’annientamento economico gli israeliani intendono portare la Palestina alla rinuncia al proprio ruolo nella politica. Essi dicono ai palestinesi: “Rinunciate alla vostra terra se volete mantenere in vita un minimo d’economia.”

Purtroppo, un’economia ancora in vita ed un minimo di sicurezza non portano la pace: sarebbe la pace a poter realizzare la vera sicurezza ed un’economia vitale.

 

Traduzione di Mila Alaimo “Aggiunger vita ai giorni, e non giorni alla vita” -Invictapalestina.org