I palestinesi devono iniziare a discutere di soluzioni radicali per porre fine all’occupazione, all’apartheid e al colonialismo israeliano.
Fonte: English version
di Haidar Eid*, 28 giugno 2024
Immagine di copertina: Parenti di Eyad Hegazi, un bambino palestinese di 10 anni morto per malnutrizione a causa dell’assedio israeliano su Gaza, piangono davanti all’ospedale dei Martiri di Aqsa a Gaza il 14 giugno 2024 (AFP)
L’amara realtà per i palestinesi di Gaza è che siamo soli, accerchiati, sotto assedio e abbandonati anche da coloro che dovrebbero essere i nostri fratelli.
Quasi nove mesi di barbari massacri hanno causato la morte di oltre 37.000 palestinesi, molti dei quali sono donne e bambini. Tra le vittime ci sono medici e infermieri in servizio negli ospedali, studenti universitari e persone che svolgono attività domestiche.
Intere famiglie sono state massacrate in pieno giorno, tra la distruzione sistematica di migliaia di case a Gaza da parte di Israele. Altre 10.000 persone sono disperse, ritenute morte e sepolte sotto le macerie.
Eppure, gli Stati Uniti continuano a incolpare i palestinesi, mentre criticano i tribunali internazionali che cercano di chiedere conto a Israele del genocidio in corso.
I palestinesi sono stati lasciati soli a difendersi dall’assalto di uno Stato sostenuto dal più grande esercito del mondo. Gli Stati Uniti hanno fornito a Israele miliardi di dollari in armi, tra cui bombe e jet da combattimento, per prolungare la guerra.
Nel frattempo, la tragedia umanitaria a Gaza ha raggiunto livelli inimmaginabili. I pochi ospedali rimasti stanno lottando per far fronte all’afflusso di civili feriti. I regimi arabi vicini non hanno fatto altro che rilasciare timide dichiarazioni di condanna, mediando tra oppressori e oppressi.
In effetti, i regimi arabi hanno deluso i palestinesi fin dal 1948, per una combinazione di codardia e ipocrisia. Non sono riusciti a porre fine all’assedio israeliano su Gaza, che dura da 17 anni, e nemmeno a offrire una solidarietà significativa al popolo palestinese, che sta subendo la brutale offensiva militare di Israele.
Aiutare l’oppressore
Da Gaza ci chiediamo come, in assenza di democrazia, le timide espressioni di sostegno nelle strade e nelle capitali delle nazioni arabe possano essere trasformate in azioni concrete. Ci chiediamo se i popoli arabi che vivono sotto il dominio di regimi autoritari possano cambiare questi regimi in modo non violento.
Ci siamo esauriti nel cercare di capire quali siano i modi possibili per ottenere un cambiamento politico democratico. Mentre il genocidio di Gaza si trascina, non abbiamo visto alcuna traduzione pratica da parte degli Stati arabi della solidarietà dimostrata da alcuni dei loro popoli nei confronti della Palestina.
L’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu una volta ha detto: “Se sei neutrale in situazioni di ingiustizia, hai scelto la parte dell’oppressore”.
Ancora una volta, la comunità internazionale, le Nazioni Unite, l’Unione Europea e i leader arabi sono rimasti in gran parte in silenzio sulle continue atrocità di Israele. Questo li pone dalla parte di Israele.
Migliaia di cadaveri di donne e bambini non sono riusciti a convincerli della necessità di agire. I palestinesi hanno capito di avere una sola opzione percorribile: il potere popolare, che è l’unica forza in grado di affrontare l’enorme asimmetria di potere nel conflitto palestinese-israeliano.
Negli ultimi 17 anni, le due scelte per i palestinesi di Gaza sono state quelle di morire lentamente in mezzo al blocco soffocante di Israele, oppure di lottare per la dignità – la propria e quella delle generazioni future. Molti hanno scelto di combattere, abbandonando anni di autoinganno che dipingevano la sottomissione all’occupante come un fatto compiuto.
In questo contesto, le iniziative di cessate il fuoco proposte non tengono conto degli obiettivi di Israele nella guerra di Gaza: eliminare il maggior numero possibile di palestinesi prendendo di mira case e infrastrutture civili, e rimuovere ogni potenziale fonte di resistenza all’occupazione israeliana nel campo di sterminio a cielo aperto che conosciamo come Gaza.
Cause profonde
Invece, le iniziative presentate equiparano la resistenza palestinese al regime israeliano di oppressione sistematica, apartheid e colonialismo. Sembra che il mondo si aspetti che i palestinesi accettino semplicemente la loro lenta morte senza alcuna forma di ribellione.
Ma i palestinesi, a Gaza e altrove, non lo faranno.
Qualsiasi accordo che non porti a un immediato cessate il fuoco, alla revoca del devastante blocco imposto da Israele e alla riapertura permanente di tutti i valichi di frontiera in modo da consentire l’ingresso di carburante, medicinali e altri beni di prima necessità, non sarà accettabile per la popolazione di Gaza. L’accordo deve anche prevedere il ritiro immediato delle forze israeliane.
L’attuale guerra non può essere vista in modo disgiunto dalle cause profonde della situazione a Gaza: L’impresa coloniale di Israele, l’occupazione, l’apartheid e la pulizia etnica. Questo conflitto deve essere collocato all’interno della nostra richiesta del diritto palestinese al ritorno nelle terre da cui centinaia di migliaia di persone sono state cacciate nel 1948. Due terzi della popolazione di Gaza sono rifugiati che hanno questo diritto secondo il diritto internazionale.
Da Rafah, a Nuseirat, a Jabalia e nel resto di Gaza, abbiamo raggiunto un momento cruciale nella storia palestinese. Gaza desidera una leadership all’altezza della situazione, che riconosca l’idea di Palestina dal fiume al mare.
Qualsiasi discorso sul miglioramento delle nostre condizioni di oppressione – e anche questo è considerato troppo per noi – alla luce dei grandi sacrifici che sono stati fatti, è un tradimento dei martiri di Gaza. Dobbiamo iniziare a discutere di soluzioni radicali per superare lo status quo e adottare uno slogan chiaro: porre fine all’occupazione, all’apartheid e al colonialismo. Se questo accadrà, tutte le vite perse a Gaza non saranno state perse invano.
*Haidar Eid è professore associato presso il Dipartimento di letteratura inglese dell’Università Al-Aqsa, Striscia di Gaza, Palestina.
Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org