Guerra a Gaza: come il 7 ottobre ha distrutto per sempre il mito dell’invincibilità militare israeliana

Per i suoi alleati e nemici, la disastrosa risposta di Israele all’attacco di Hamas ha minato il suo futuro di egemone regionale e persino la sua stessa sopravvivenza.

English version

di Sami Al-Arian, 5 luglio 2024

Il 22 settembre 2023, due settimane prima dell’attacco al-Aqsa Flood del 7 ottobre, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu si rivolse all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite parlando di “un nuovo Medio Oriente”. Si vantò del potere di Israele e del suo status di garante della sicurezza regionale. Brandì una mappa che mostrava una linea che andava dall’India attraverso il Golfo Persico, gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita e la Giordania, per poi raggiungere la città portuale israeliana di Haifa e infine terminare in Europa. Questo grande progetto è stato battezzato Corridoio India-Medio Oriente-Europa (Imec), un’iniziativa sponsorizzata dagli Stati Uniti per contrastare la Belt and Road Initiative (BRI) cinese.

Da almeno un decennio, gli Stati Uniti stanno cercando di riorientare la loro strategia di sicurezza nazionale globale per concentrarsi sulle sfide geopolitiche più importanti, ovvero una Cina in ascesa e una Russia ri assertiva.  Ma in Medio Oriente, che è una delle regioni più vitali per gli interessi degli Stati Uniti, hanno scelto di ridurre la loro presenza militare e di assegnare il ruolo di garantire i loro interessi e mantenere la stabilità a due dei loro alleati più fidati: Israele e Arabia Saudita.  Si tratta di una politica simile alla Dottrina Nixon, adottata all’inizio degli anni ’70 e nota come “Pilastri Gemelli”.

Questa politica è stata concepita per riposizionare le forze statunitensi ed esternalizzare il compito di proteggere la sicurezza e gli interessi economici degli Stati Uniti in Medio Oriente alle potenze regionali.

Sconfitta strategica

Dopo aver mediato gli accordi di Abramo tra Israele e diversi Paesi arabi, durante il suo ultimo anno di mandato, l’amministrazione Trump ha deciso di spostare Israele da alleato non membro del comando militare europeo (Nato) e di incorporarlo nella struttura del CentCom, il comando militare statunitense incaricato di salvaguardare gli interessi degli Stati Uniti in quella regione critica che si estende dall’Egitto all’Afghanistan.

Questa politica è stata abbracciata con entusiasmo dall’amministrazione Biden quando è entrata in carica nel gennaio 2021. Il giorno del suo insediamento, il nuovo presidente ha nominato Brett McGurk per l’attuazione di questa politica, in qualità di principale responsabile della regione di Mena in seno al Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti.  Da allora, McGurk, che è fortemente pro-Israele e ha una mentalità colonialista, ha lavorato diligentemente a un accordo di normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita, che si prevedeva sarebbe stato raggiunto all’inizio del 2024.

Con questo accordo, Israele sperava di proiettare il suo potere nella regione, migliorare il suo status nel mondo islamico e affermare la sua auto-percezione di egemone regionale. Ma il piano si è dissolto all’indomani dell’attacco di Hamas del 7 ottobre.   Sin dai primi giorni della guerra israeliana a Gaza, il regime sionista e l’amministrazione Biden erano determinati a ripristinare l’immagine di invincibilità dell’esercito israeliano, gravemente offuscata dall’attacco del 7 ottobre.

A tal fine, i leader politici e militari israeliani hanno deliberatamente scatenato una guerra genocida per devastare Gaza, rendendola invivibile e punendo duramente la sua popolazione, soprattutto donne, bambini e anziani.  Ma nonostante l’ incalcolabile devastazione che ha avuto luogo a Gaza negli ultimi nove mesi, con un numero senza precedenti di feriti e morti palestinesi e una distruzione a un livello che non si vedeva dalla fine della Seconda guerra mondiale, Israele ha subito una grave sconfitta strategica, con l’erosione della sua dottrina militare. Questa dottrina consiste in diversi imperativi militari su cui lo Stato sionista ha fatto affidamento per la sua sopravvivenza e sicurezza sin dalla sua fondazione, più di sette decenni fa.

 

Confini sicuri non più

Uno dei principali pilastri della dottrina di sicurezza nazionale di Israele è il concetto di “confini sicuri”. Nel corso della sua esistenza, il regime israeliano ha sempre cercato di creare zone cuscinetto intorno ai suoi confini e di garantire che i regimi circostanti fossero deboli e disponibili a servire gli interessi israeliani e occidentali. Le invasioni israeliane della penisola egiziana del Sinai nel 1956 e nel 1967 erano state concepite per trasformarla in una zona cuscinetto. Anche quando il regime egiziano accettò di firmare un “trattato di pace” con Israele nel 1979, l’accordo trasformò di fatto il Sinai in una zona cuscinetto, limitando la sovranità e la presenza militare egiziana.

Allo stesso modo, il regime israeliano ha occupato le alture siriane del Golan nel 1967 e le ha annesse nel 1981 con il pretesto di stabilirvi una zona cuscinetto. Un anno dopo, nel 1982, Israele invase il Libano per assicurarsi una zona cuscinetto che si sarebbe estesa fino al fiume Litani, che si trova a circa 27 km oltre i suoi confini settentrionali.  Dopo 18 anni di occupazione militare, nel 2000, Israele ha dovuto ritirarsi dalla sua zona di sicurezza dichiarata di circa 850 kmq dopo aver subito centinaia di perdite sotto la feroce resistenza guidata dal gruppo libanese Hezbollah.  Con la stessa logica, Israele continua a insistere sul fatto che la Valle del Giordano debba essere sempre sotto il controllo israeliano per fungere da zona cuscinetto con la Giordania.

Quando Netanyahu ha insistito su questa posizione durante i negoziati con Jared Kushner nell’ambito dell'”accordo del secolo” di Trump nel 2020, la versione finale del piano incorporava la Valle del Giordano come parte dei territori che Israele avrebbe potuto mantenere.

Tuttavia, ciò che gli attacchi del 7 ottobre e le successive guerre su più fronti hanno dimostrato è che il concetto di confini sicuri per Israele è un mito. Grazie ai recenti sviluppi della tecnologia militare avanzata, tra cui razzi a lungo raggio, missili balistici e droni altamente precisi, i gruppi della resistenza sono stati in grado di colpire obiettivi sensibili a volontà, anche nelle profondità dello Stato israeliano.

Un fallimento colossale

La dottrina militare israeliana si basa su sei principi: attacchi preventivi, sistemi di allarme rapido, deterrenza efficace, difesa forte, risoluzione rapida e dominio dell’escalation.  Tutti questi elementi sono stati indeboliti o minati dal 7 ottobre. Durante i suoi numerosi conflitti, Israele ha fatto affidamento sul fatto di colpire per primo i suoi nemici con attacchi preventivi.

Con l’eccezione della guerra del 1973, Israele ha sempre istigato il conflitto con attacchi a sorpresa o invasioni, come nel 1948, 1956, 1967, 1982 e 2006, oltre alle quattro guerre iniziate a Gaza tra il 2008 e il 2021.

Tuttavia, gli attacchi del 7 ottobre hanno sconvolto il regime sionista per la loro portata e per l’impatto che hanno avuto, in quanto Hamas ha lanciato il suo audace raid contro diversi obiettivi israeliani, tra cui basi militari, il quartier generale dell’intelligence che supervisiona Gaza e diversi insediamenti vicini.

Nel giro di poche ore, l’attacco ha paralizzato diverse unità militari israeliane, scuotendo la fiducia dell’opinione pubblica israeliana nei confronti della leadership militare e politica.

Il secondo elemento su cui si è basata la dottrina militare israeliana è la sua capacità di proteggere il Paese attraverso i suoi sistemi di allerta precoce.

Per decenni Israele si è vantato delle sue impareggiabili reti di intelligence umana, in grado di penetrare e neutralizzare i suoi nemici, e dei suoi avanzati sistemi tecnologici di sorveglianza, attrezzati per bloccare infiltrazioni e violazioni della sicurezza.

Tuttavia, il colossale fallimento delle agenzie di intelligence israeliane il 7 ottobre, così come la loro incapacità di riconoscere la portata delle reti di tunnel di Hamas, i sistemi d’arma avanzati di Hezbollah o le capacità balistiche dell’Iran, indicano una significativa erosione di questo imperativo.

Guerra di logoramento

Il terzo elemento, forse il più cruciale, della dottrina militare israeliana è la deterrenza efficace. In larga misura, la strategia militare di Israele si è storicamente basata sulla capacità di dissuadere i suoi nemici dall’osare attaccarlo per paura di una risposta schiacciante e devastante.

Questo imperativo può, in parte, spiegare la ferocia e la brutalità che il regime sionista ha scatenato a Gaza dopo gli attacchi di Hamas, in violazione delle leggi di guerra e delle convenzioni umanitarie internazionali.

People look at a damaged car at a site hit by rockets fired from southern Lebanon in the northern Israeli city of Kiryat Shmona near the Lebanese border on May 5, 2024 amid ongoing cross-border tensions as fighting continues between Israel and Palestinian Hamas militants in the Gaza Strip. (Photo by Jalaa MAREY / AFP)

FOTO: Un’auto distrutta colpita da razzi lanciati dal Libano meridionale nella città israeliana settentrionale di Kiryat Shmona, 5 maggio 2024 (Jalaa Marey/AFP)

 

Eppure, nonostante il suo comportamento spietato e la sua crudeltà, nessuno è stato scoraggiato, certamente non i gruppi di resistenza a Gaza, che continuano a combattere in una feroce guerra di logoramento.

Israele non solo non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi dichiarati a Gaza, come sradicare i gruppi di resistenza, liberare i suoi prigionieri o sloggiare Hamas, ma non è nemmeno riuscito a dettare alcun termine per porre fine alla guerra, nonostante l’enorme pressione militare e politica esercitata sui gruppi di resistenza da Israele, dagli Stati Uniti e da altri attori internazionali.

Allo stesso modo, né Hezbollah in Libano né gli Houthi in Yemen sono stati scoraggiati. Per la prima volta nella sua storia, Israele si trova ad affrontare parti belligeranti che continuano a colpirlo, a dissanguare le sue forze e a diminuire la sua capacità di intimidire e spaventare i suoi nemici, una caratteristica su cui ha sempre contato fin dalla sua fondazione.

Il quarto elemento dell’insieme degli imperativi militari israeliani è una forte difesa. Fin dalla sua fondazione, Israele ha presentato il suo esercito come invincibile, disciplinato e più forte di tutti i suoi nemici messi insieme.

Questa immagine non è stata accolta solo dai cittadini israeliani, ma è un’opinione condivisa anche da molti Paesi del mondo, soprattutto perché gli Stati Uniti hanno sempre più fornito allo Stato sionista i loro sistemi d’arma più avanzati e condiviso con esso le informazioni di intelligence più sensibili.

Eppure, dal 7 ottobre, i cittadini israeliani non si sono mai sentiti così vulnerabili. Centinaia di migliaia di coloni israeliani hanno dovuto essere evacuati dal nord e dal sud per più di otto mesi e trasferirsi al centro, non potendo ancora tornare nei loro insediamenti.  In realtà, oltre mezzo milione di israeliani ha lasciato il Paese negli ultimi nove mesi a causa dell’incertezza e del deterioramento della sicurezza in tutto il Paese.

Quando l’Iran ha attaccato in aprile come rappresaglia per l’attacco israeliano alla sua ambasciata in Siria, Israele ha avuto bisogno dell’aiuto di importanti Paesi, tra cui Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e persino Giordania, per respingere l’attacco, che era stato annunciato pubblicamente e non mirava a causare perdite umane o materiali.

Esercito e società demoralizzati 

In breve, anche se Israele possiede la più recente e avanzata tecnologia militare statunitense ed europea, gli scontri degli ultimi mesi su più fronti hanno dimostrato che questo principio è stato drammaticamente indebolito, poiché Israele non può più affermare di essere in grado di difendere efficacemente i propri cittadini da qualsiasi minaccia.

Inoltre, Israele sta pagando un prezzo pesante in termini di perdite militari che, nel tempo, diminuiranno la sua capacità di proiettare una difesa forte o di vantare un esercito competente. La richiesta di arruolare studenti religiosi nell’esercito è diventata più forte, mentre le comunità religiose sono irremovibili sul fatto di non servire in un’istituzione laica.

Nel frattempo, un ex ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, ha dichiarato che Israele ha già perso un’intera brigata a Gaza, il che potrebbe significare tra i 2.000 e i 5.000 soldati. Tuttavia, i portavoce militari possono ammettere pubblicamente solo meno di 600 soldati uccisi. Secondo il Ministero della Difesa, Israele ha avuto anche circa 9.000 soldati disabili a causa di questa guerra.

Si tratta di un numero significativo da sopportare in pochi mesi, se si considera che il numero totale di soldati inabili nelle guerre precedenti, nel corso di decenni, è stato di circa 61.000 unità. Il quinto principio che l’esercito israeliano è stato in grado di utilizzare con successo nelle guerre precedenti è una risoluzione rapida.  In tutte le guerre precedenti, Israele era solito proclamare la propria capacità di raggiungere gli obiettivi in pochi giorni o settimane. Ma dopo nove mesi di guerra genocida e distruttiva, Israele non è riuscito a raggiungere nessuno dei suoi obiettivi militari o politici.  Questo fallimento ha portato a una forte polarizzazione della classe politica e a un’ulteriore demoralizzazione dell’esercito e della società israeliana.

Vittoria sfuggente

Il sesto e ultimo principio è il dominio dell’escalation.

Questo imperativo significa che quando Israele si trova sotto un attacco impegnativo, si intensificherà militarmente senza limiti fino a quando i suoi nemici saranno sopraffatti e si sottometteranno ai suoi dettami.  Questa volta, però, Israele ha incontrato un’opposizione determinata. Nonostante le massicce distruzioni e le vittime civili subite a Gaza, Israele non è stato militarmente in grado di eliminare o mettere a tacere la resistenza a Gaza o in Libano.  Inoltre, quando l’Iran ha lanciato diversi missili balistici che hanno raggiunto gli obiettivi militari prefissati, la reazione israeliana è stata così poco incisiva da non rispondere.

Allo stesso modo, Israele non è stato in grado di rispondere alla sfida degli Houthi né nel Mar Rosso né nel Mediterraneo e ha chiesto aiuto alle forze navali statunitensi e britanniche, con scarso successo.

Con la dottrina militare israeliana significativamente indebolita a causa della guerra di Gaza in corso, molti degli Stati regionali che erano pronti a cedere il compito di mantenere la regione stabile e sotto l’effettivo controllo di Israele inizieranno a mettere in dubbio il suo valore e la sua capacità di sopravvivere, per non parlare di essere l’egemone regionale.

Netanyahu e il suo gabinetto di guerra si sono scatenati dopo gli attacchi del 7 ottobre, alla ricerca di una vittoria sfuggente. Tuttavia, la loro strategia errata e il loro comportamento sconsiderato hanno minato ogni elemento della loro dottrina militare.  In questo processo, si sono assicurati il loro fallimento dimenticando l’idioma di Sun Tzu secondo cui “chi è destinato alla sconfitta prima combatte e poi cerca la vittoria”.

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org