Perché la politica americana di Netanyahu fallirà

Molti analisti politici ritengono che il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu stia guadagnando tempo a Gaza e in Libano nella speranza che Donald Trump ritorni alla Casa Bianca dopo le elezioni presidenziali americane di novembre. Che sia così o meno, un Trump vittorioso difficilmente, questa volta, influenzerebbe gli esiti della guerra o altererebbe il destino di Israele.

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Di Ramzy Baroud – 8 luglio 2024

Molti analisti politici ritengono che il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu stia guadagnando tempo a Gaza e in Libano nella speranza che Donald Trump ritorni alla Casa Bianca dopo le elezioni presidenziali americane di novembre. Che sia così o meno, un Trump vittorioso difficilmente, questa volta, influenzerebbe gli esiti della guerra o altererebbe il destino di Israele.

La politica estera statunitense sembra essere governata da due prospettive diverse: una dedicata al mondo intero e l’altra solo a Israele. La prima è guidato dalla famosa e spesso ripetuta citazione dell’ex Segretario di Stato americano Henry Kissinger secondo cui “l’America non ha amici o nemici permanenti, ma solo interessi”. Israele, tuttavia, rimane l’eccezione e la guerra israeliana in corso contro Gaza ha dimostrato ancora una volta la verità di questa affermazione.

Sebbene Washington condivida pienamente gli obiettivi militari di Israele, è fondamentalmente in disaccordo con il concetto di lunga guerra e “vittoria totale”, come sostenuto da Netanyahu. Le guerre prolungate in Afghanistan e Iraq hanno insegnato agli americani che né la longevità delle guerre né le aspettative elevate e irrealistiche alterano gli inevitabili risultati. Infatti, molti funzionari statunitensi, generali militari e analisti hanno cercato di mettere in guardia Netanyahu, ma senza alcun risultato.

Destabilizzare il Medio Oriente in questo specifico momento storico è semplicemente negativo per gli Stati Uniti. Ciò avviene in un momento in cui l’Ucraina soffre di una grave carenza di armi, con conseguenti perdite territoriali, e quando gli Stati Uniti e i loro alleati europei stanno lottando sotto il peso della crisi economica e politica.

Poiché le relazioni USA-Israele sono governate secondo un modello di politica estera unico, l’amministrazione Biden continua a sostenere Israele in ogni modo possibile affinché possa continuare una guerra persa.

La guerra, ovviamente, avviene a spese degli oltre 125.000 palestinesi che finora sono stati uccisi o feriti a causa degli attacchi israeliani, dei bombardamenti e delle esecuzioni di massa. Coloro che muoiono di fame o malattie devono ancora essere pienamente contabilizzati.

Washington non è turbata dal Genocidio di Gaza in sé, ma dall’impatto della guerra sui piani statunitensi in Medio Oriente e sul futuro delle sue forze in Iraq e Siria. È anche preoccupato per la sua influenza geostrategica nella regione a causa dell’instabilità senza precedenti del Mar Rosso.

Tuttavia, il Presidente Joe Biden continua ad armare Israele e a fornire una rete di sicurezza per la sua economia in declino. Ad aprile, Biden ha approvato un decreto per fornire 26,3 miliardi di dollari (24,3 miliardi di euro) in assistenza a Israele. Inoltre, massicce spedizioni di armi continuano a fluire senza ostacoli. Queste armi non stanno solo distruggendo l’intera Gaza, ma stanno distruggendo anche ogni possibilità che gli Stati Uniti possano riconquistare un minimo di credibilità in Medio Oriente. Quel che è peggio è che il cieco sostegno degli Stati Uniti a Israele ha scosso anche la posizione di Washington a livello internazionale.

Quindi, cosa potrebbe fare Trump che Biden non abbia già fatto?

La politica di Trump è sfacciatamente machiavellica. Durante il suo mandato tra il 2017 e il 2021, ha ricoperto il ruolo del genio americano, esaudendo ogni desiderio di Israele, anche se tutte queste richieste erano flagranti violazioni del Diritto Internazionale. Le politiche filo-israeliane di Trump includevano il riconoscimento di tutta Gerusalemme come capitale di Israele, l’annessione delle Alture del Golan e il riconoscimento di tutti gli insediamenti illegali di soli ebrei israeliani in Cisgiordania.

Ma Netanyahu è anche machiavellico, un fatto che ha infastidito Trump dopo la sua umiliante uscita dalla Casa Bianca. “Non gli parlo da allora”, ha detto Trump in un’intervista nel dicembre 2021.

Ora, però, entrambe le parti stanno cercando di riaccendere il loro idillio. Il candidato Repubblicano alle presidenziali deve essere soddisfatto delle critiche pubbliche di Netanyahu all’amministrazione Biden. In cambio, Trump è pronto a “finire il lavoro”, come ha dichiarato nel primo dibattito presidenziale il mese scorso.

Tuttavia, il ritorno di Trump alla Casa Bianca non cambierebbe nulla delle disgrazie di Israele dal 7 ottobre, perché i problemi di Israele non hanno origine a Washington.

La crisi di Israele è multiforme. Non è in grado di vincere la guerra a Gaza, nonostante la tragedia e la distruzione di massa che ha creato lì. Inoltre, non riesce a cambiare le regole di ingaggio in Libano a causa della forza dei suoi nemici, e del fatto che le sue forze armate non sono in grado di combattere e vincere su un fronte, per non parlare di più fronti.

Anche un’altra dimensione della crisi israeliana è interna: le profonde divisioni nella società israeliana, nell’apparato di sicurezza e tra i politici. Nemmeno Trump potrebbe porre fine alla polarizzazione, che probabilmente si approfondirà in futuro.

Anche sul fronte internazionale è probabile che Trump si riveli altrettanto inefficace, semplicemente perché l’amministrazione Biden ha sfidato il consenso internazionale su Israele fin dall’inizio della guerra. La Camera degli Stati Uniti è arrivata addirittura ad approvare una legislazione per sanzionare i funzionari della Corte Penale Internazionale dopo che il suo Pubblico Ministero aveva richiesto mandati di arresto per i leader israeliani.

Se Netanyahu pensa che Trump gli offrirebbe un accordo migliore di quello di Biden, si sbaglia. Biden ha dimostrato di essere il più grande sostenitore americano di Israele nei 76 anni di storia del Paese.

Ironia della sorte, il sostegno incondizionato degli Stati Uniti a Israele potrebbe essere un fattore che contribuisce alla sua caduta. “Può essere pericoloso essere nemico dell’America, ma essere amico dell’America è fatale”, diceva Henry Kissinger. Non sbagliava.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org