I continui attacchi ad al-Mawasi e ad altre “zone sicure” chiariscono che l’intenzione di Israele non è quella di distruggere Hamas, ma di eliminare l’esistenza palestinese.
Fonte: English version
Di Ghada Ageel – 8 luglio 2024
Immagine di copertina: I palestinesi raccolgono oggetti recuperabili dopo un bombardamento israeliano nell’area di al-Mawasi, a Nord-ovest della città di Rafah, il 29 giugno 2024, nel mezzo del conflitto in corso tra Israele e il Movimento Militante Hamas. (Foto di Eyad BABA/AFP)
Al-Mawasi era un luogo di rara bellezza sulla costa altrimenti sovraffollata della Striscia di Gaza. Si estendeva per circa 12 km tra Khan Younis e Rafah ed era una delle più magnifiche zone costiere, con ondulate dune di sabbia dorata. Il suo bellissimo paesaggio, i tramonti mozzafiato e la rilassante brezza marina ne hanno fatto un luogo popolare per le famiglie.
Ma al-Mawasi, la tranquilla spiaggia, non esiste più. Il Genocidio di Israele l’ha trasformata da un’area di svago a un’area di orrore senza fine.
Alla fine di ottobre, mentre gli aerei israeliani lanciavano bombe e missili su tutta la Striscia di Gaza, le Forze di Occupazione Israeliane (FOI) hanno designato al-Mawasi come una “zona sicura” dove i civili palestinesi in fuga dall’aggressione israeliana avrebbero potuto trovare sicurezza. I comandanti israeliani avrebbero poi affermato di considerarla una “zona sicura permanente”.
Sebbene ad al-Mawasi non ci fosse quasi nessuna infrastruttura e le agenzie umanitarie avessero avvertito che non era adatta per un campo per sfollati, centinaia di migliaia di palestinesi da Gaza Città, Khan Younis, la mia città natale, e più tardi da Rafah si sono riversati lì, non avendo altro posto dove andare. Molti allestiscono rifugi improvvisati con teli di plastica o coperte, a malapena in grado di proteggere la dignità delle proprie famiglie. La vita nel campo era miserabile, con fame, malattie e sete che affliggevano i suoi abitanti.
Ben presto divenne chiaro che la “zona sicura permanente” non era affatto sicura.
A febbraio, le FOI hanno attaccato al-Mawasi, inclusa una casa sicura per il personale e i familiari di Medici Senza Frontiere, uccidendone due e ferendone sei, tra cui donne e bambini.
Alla fine di maggio, le FOI hanno nuovamente bombardato la zona, uccidendo almeno 21 palestinesi, tra cui 12 donne. L’attacco è venuto pochi giorni dopo la Corte Internazionale di Giustizia aveva ordinato a Israele di fermare la sua Offensiva Genocida su Rafah.
Il 21 giugno, le FOI hanno nuovamente attaccato al-Mawasi, uccidendo almeno 25 palestinesi e ferendone 50.
Questi sono solo alcuni esempi dei continui attacchi delle Forze di Occupazione Israeliane, ai quali i media occidentali hanno prestato poca attenzione e sui quali hanno offerto pochi dettagli al di là delle smentite israeliane.
Il 27 giugno mi sono svegliata con un messaggio di un medico della mia famiglia. Il mio cuore è sprofondato mentre leggevo la sua descrizione dell’ennesimo attacco ad al-Mawasi. Questa volta, le FOI avevano preso di mira al-Shakush e le aree del parco regionale.
“Queste aree sono piene di sfollati, accampamenti di tende, tende a pergola e rifugi temporanei. Le persone vivono una sopra l’altra”, lessi nel messaggio. “I carri armati sono entrati, senza preavviso, investendo alcune tende e aprendo il fuoco indiscriminatamente. Ho visto persone fuggire terrorizzate. Alcuni sono riusciti a prendere alcuni dei loro effetti personali, mentre altri se ne sono andati senza nulla, scappando per salvarsi la vita”.
“Molti rimasero distesi a terra lontani dagli spari. Altri si rifugiarono in qualsiasi rifugio disponibile, mentre alcuni sedevano in strada, aspettando che quello che sembrava un incubo senza fine finisse.
“Oggi sono andato all’ospedale e ho visto un gran numero di feriti provenienti da quella zona”, continua il messaggio. “Questo incessante processo di inseguimento, persecuzione e caccia di persone da un posto all’altro, simile ai mostri che cacciano le prede, va oltre la mia comprensione”.
Il giorno seguente ho ricevuto la testimonianza di un altro medico, anche lui testimone di quanto accaduto ad al-Shakush.
Stava tornando dal suo turno in ospedale quando i carri armati israeliani hanno cominciato ad arrivare da diverse direzioni, sparando indiscriminatamente senza alcun preavviso. È corso a salvare la sua famiglia, riuscendo a tirarli fuori. È scoppiato un incendio, trasformando la scena in un inferno vivente.
In preda al panico, le persone hanno abbandonato tutti i loro averi e alcuni anche i propri figli, dai quali sono tornati per riprenderli, fuggendo terrorizzati. Lungo la strada e durante la corsa, il medico ha aiutato le persone a caricare i morti e i feriti sui carri trainati dagli asini, ma non ha potuto offrire alcun aiuto medico. Come altri, ha corso per la sua vita e quella della sua famiglia. Non appena raggiunsero quello che pensavano fosse un luogo sicuro, sua moglie svenne per il terrore.
Le Nazioni Unite hanno riferito di “decine di vittime” e di almeno 5.000 sfollati a causa del nuovo assalto israeliano ad al-Mawasi. Fonti mediche parlano di almeno 11 morti e 40 feriti.
Pochi giorni dopo il massacro di al-Mawasi, il 1º luglio, la scena della devastazione e dell’orrore si è spostata nella parte orientale di Khan Younis, quella che era una delle zone più pittoresche della Striscia di Gaza. Alle città di Abasan, Bani Suhaila, Khuza’a e al quartiere di al-Fukhari, che ospita l’Ospedale Europeo, è stato ordinato di evacuare.
Gli ordini delle FOI sono arrivati la sera, senza lasciare il tempo ai residenti di fare le valigie. Tra le rovine delle loro case distrutte e delle tende di fortuna, le persone hanno dovuto affrontare un’angoscia così immensa che un parente ha descritto l’esperienza come se vivessero “il giorno del giudizio”.
Secondo le Nazioni Unite, le FOI hanno costretto 250.000 persone a lasciare Khan Younis. Anche l’Ospedale Europeo ha dovuto evacuare e molti dei suoi pazienti sono stati trasferiti dalle famiglie su carri trainati da asini al devastato Ospedale Nasser, che è stato anch’esso teatro di un recente massacro.
Nell’esodo, che ricorda i precedenti sfollamenti di massa degli ultimi nove mesi, le persone si sono riversate ad al-Mawasi, che era ancora scosso dagli attacchi israeliani. Molti stavano effettivamente tornando ad al-Mawasi, dopo essere partiti settimane prima verso le rovine delle loro case a Khan Younis per fare spazio al flusso di persone in fuga da Rafah. Il ritorno a Khan Younis è stato motivato dalle stesse affermazioni delle FOI secondo cui era sicuro per i residenti di Rafah in fuga dirigersi lì, così come ad al-Mawasi.
Come per ogni spostamento, le persone hanno sopportato il tormento di cercare i propri familiari, vivi o morti, mentre cercavano un nuovo rifugio temporaneo e assicuravano acqua, cibo, servizi igienici e altre necessità.
I miei fratelli, e le loro famiglie, anch’essi sfollati ad al-Mawasi da dicembre, mi hanno descritto i volti spaventati di bambini, donne e uomini, malati e anziani, che vagavano per le strade senza meta.
Oggi, nove palestinesi su dieci a Gaza sono stati costretti a fuggire dalle proprie case in cerca di sicurezza, spostandosi da un posto all’altro, da una tenda all’altra, solo per essere attaccati e costretti a fuggire di nuovo. L’intera popolazione della Striscia di Gaza, più della metà della quale bambini, è sottoposta a livelli di crudeltà inimmaginabili, ma fin troppo reali.
Gli attacchi sistematici e costanti contro i palestinesi nelle cosiddette “zone sicure”, insieme alla distruzione delle loro infrastrutture, non hanno senso dal punto di vista militare. Sembra che il loro unico obiettivo sia uccidere e terrorizzare quanti più civili possibile.
Mia sorella mi ha detto che ora aspettano tutti di morire e sono mentalmente preparati a qualsiasi tipo di morte, “ma probabilmente la più dura è morire per l’oppressione”.
Sì, i palestinesi muoiono a causa delle bombe israeliane, dei proiettili israeliani, ma anche per il senso di oppressione. È quella sensazione insopportabile che provi quando sei testimone del Genocidio in corso, ora dopo ora, sai che il turno tuo e della tua famiglia sta arrivando e non sei in grado di fermarlo. È la sensazione insopportabile che si prova sentendo le grida dei feriti che muoiono in agonia, vedendo bambini senza arti e sapendo di non poterli aiutare. È la sensazione insopportabile che si prova sapendo che il mondo osserva il Genocidio da nove mesi e non ha fatto nulla per fermarlo.
I palestinesi credono che le FOI mirino a distruggere “al-Bashar wa al-Hajar wa al-Shajar”, gli esseri umani, le pietre e gli alberi, cioè tutto. A nove mesi dall’inizio di questo Genocidio, è più che evidente che questa aggressione non è contro il Movimento di Resistenza Islamica Palestinese, noto anche come Hamas. È una guerra totale contro l’esistenza palestinese.
Questa conclusione è stata confermata anche da esperti di Diritti Umani. “Questo Genocidio non è altro che la distruzione della vita palestinese”, ha detto l’avvocato sudafricano Adila Hassim alla Corte Internazionale di Giustizia durante un’udienza sul caso di Genocidio di Israele a gennaio.
L’inazione e la complicità del mondo occidentale, la mancanza di indagini adeguate su questi Crimini e il trascinamento di procedure presso organismi internazionali, incluso il ritardo nei mandati di arresto per il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il Ministro della Difesa Yoav Gallant presso la Corte Penale Internazionale, riflettono un grave disprezzo per la responsabilità e la giustizia. Il deliberato attacco alla vita palestinese non è solo una palese violazione del Diritto Internazionale Umanitario, ma un attacco ai fondamenti stessi dei principi umanitari e della dignità umana.
La Dottoressa Ghada Ageel è una rifugiata palestinese di terza generazione ed è attualmente professore ospite presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Alberta, con sede ad amiskwaciwâskahikan (Edmonton), territorio del Trattato 6 in Canada.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org