Cosa possiamo fare noi artisti palestinesi di fronte alla nostra carneficina?

Credevo che l’arte potesse cambiare il mondo. Ora sembra come una scatola nera di un aereo: non guiderà l’atterraggio, può solo documentare lo schianto.

Fonte:English version

Di Tamer Nafar, 11 luglio 2024

Immagine di copertina: Tamer Nafar (per gentile concessione dell’autore)

Alla fine del dicembre 2023, mentre la guerra a Gaza si avvicinava al terzo mese, diversi cantanti palestinesi in Israele hanno affrontato aspre critiche online dopo aver promosso le loro esibizioni per Natale e Capodanno sui social media. Questo ha scatenato un ampio dibattito tra i loro concittadini palestinesi.

“Come potete parlare di feste mentre il nostro popolo a Gaza viene massacrato davanti ai nostri occhi?” alcuni hanno chiesto. “È il loro lavoro, lasciali guadagnare,” altri hanno risposto. “Siamo stanchi delle notizie e meritiamo una pausa.”

In quel periodo, avevo temporaneamente smesso di postare sui social media, concentrando le mie energie sulla scrittura di articoli di opinione. Ero anche prudente, dopo che molti dei miei colleghi artisti erano stati arrestati per aver scritto innocue affermazioni online, inclusa la famosa cantante Dalal Abu Amneh, che aveva semplicemente postato “Non c’è vincitore se non Dio” il 7 ottobre. Nel frattempo, artisti ebrei-israeliani di spicco chiedevano di “trattare la maggior parte di loro [palestinesi a Gaza] come complici” dell’attacco guidato da Hamas del 7 ottobre, e cantavano “Che il vostro villaggio bruci!” — ma la legge in Israele non si è mai preoccupata tanto di ciò che viene detto, quanto dell’identità della persona che lo dice.

Tuttavia, vedendo così tante persone coinvolte in questo dibattito online, soprattutto in mezzo a una repressione senza precedenti sugli utenti palestinesi dei social media, ho deciso di condividere la mia opinione. Era un’opinione che alla fine mi ha fatto perdere molti amici tra i colleghi artisti, anche se è stata generalmente accettata dal più ampio pubblico palestinese.

Il cantante israeliano Idan Raichel si esibisce dal vivo per i soldati in una base militare nel sud di Israele, 31 ottobre 2023. (Chen Schimmel/Flash90)

Il post, pubblicato il 16 dicembre, era intitolato “Spegnete la musica — è irrispettoso,” e recitava come segue:

“Quando avevo 15 anni, mi comportavo come se il mondo girasse intorno a me. Un giorno, mentre un corteo funebre passava nel nostro quartiere, ero seduto nella mia stanza e suonavo musica a tutto volume. Improvvisamente, mio padre irruppe nella stanza e mi urlò “Spegni la musica — è irrispettoso!” Abbassai il volume, cercando di spiegargli che stavo attraversando un periodo difficile e avevo bisogno di musica per tirarmi su di morale. “Altre persone stanno piangendo un loro caro,” rispose. “In questo momento, non si tratta di te. Puoi mettere le cuffie e affrontare la tua tristezza senza annunciarla.

E questo è il mio sentimento ora riguardo agli spettacoli di Capodanno: come artista, capisco che questo è il vostro lavoro e il vostro reddito, ma ci sono 20.000 funerali — 20.000 persone ai quali i familiari non possono nemmeno partecipare, quindi non si tratta di noi in questo momento. Non abbiamo la possibilità di aiutarli, proteggerli o nemmeno protestare per loro, quindi il minimo che possiamo fare è essere tristi. Per favore, spegnete la musica, è irrispettoso.

E a proposito, anche io non ho alcun reddito in questo momento e non mi sto esibendo. Ma ho un tetto sopra la mia testa, cibo sul tavolo e nessuno sta bombardando il mio quartiere, quindi sacrificare qualche spettacolo non mi sembra molto. Sinceramente non vi sto attaccando, ma per favore, spegnete la musica e lasciateci essere tristi insieme”.

Alla fine, tutti i concerti sono stati cancellati. Ma nei mesi successivi, il numero di morti a Gaza ha continuato a crescere, con intere famiglie cancellate dalla mappa, migliaia di case distrutte e sopravvissuti che affrontano una fame di massa.

Come rapper palestinese, la mia espressione creativa è sempre stata radicata nella nostra oppressione e nei nostri traumi collettivi. Ma negli ultimi nove mesi sono stato costretto a mettere in discussione lo scopo e il potenziale della mia arte — e, in effetti, della mia intera esistenza. Qual è il valore di una canzone che costa qualche migliaio di dollari per essere prodotta, quando si scontra con i miliardi di dollari che Israele riceve per bombardare una popolazione assediata? Che potere abbiamo noi come palestinesi dentro Israele, quando il nostro denaro delle tasse viene utilizzato per uccidere i nostri fratelli e sorelle a pochi chilometri di distanza?

Ironia della sorte, quel sentimento di impotenza di fronte alla tragedia di Gaza mi ha riportato in studio per collaborare con mio fratello minore Djamil, un DJ e produttore musicale. Quello che ne è uscito è stato una canzone chiamata “Tuzz Tuzzen,” meglio tradotta come “Qualunque cosa,” che abbiamo pubblicato a maggio.

La canzone parla dell’impotenza che noi cittadini palestinesi di Israele sentiamo mentre lo stato a cui paghiamo le tasse massacra il nostro popolo a pochi chilometri di distanza; vediamo letteralmente gli aerei da combattimento israeliani volare sopra le nostre teste diretti a bombardare Gaza, e poi vediamo i video e le immagini delle loro vittime. Come affrontiamo quell’impotenza?

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Lasciamo questo mondo senza nulla,

Guadagna 100 dollari e l’IRS ne morde 200

Bombarda Gaza con 100 e il resto, sai dove lo infilano

E qui sono bloccato nella mia testa

A volte scappo, a volte rimango fermo.

Anche se questa difficoltà è più di quanto posso sopportare

Rimango qui, ostinato

A volte mi arrendo, a volte tengo la testa alta

A volte scappo, a volte rimango fermo

Anche se non capisco la politica

Rimango ostinato, perché qualunque cosa.

Catturare il momento

Per la maggior parte della mia vita, ho stupidamente creduto che l’arte esista per cambiare il mondo. Ora, penso all’arte più come la scatola nera di un aereo: non guiderà l’atterraggio; è qui per documentare lo schianto. E mentre assistiamo a questa seconda Nakba, ci sono diverse nuove canzoni che credo catturino al meglio il momento che stiamo vivendo. Questa è la mia Black Box Playlist.

Il gruppo egiziano Cairokee è stato formato nel 2003, ed è forse meglio conosciuto per la sua canzone del 2011 “Sout al-Horeya” (“La Voce della Libertà”) che è diventata la colonna sonora della rivoluzione egiziana. A novembre, Cairokee ha pubblicato “Telk Qadeya” (“Questa è una causa”), una canzone che critica la retorica dei valori liberali in Occidente, mentre i suoi governi continuano a sostenere la guerra israeliana a Gaza. Ha rapidamente accumulato milioni di visualizzazioni su YouTube e sui social media, dove è stata frequentemente ripostata dai palestinesi a Gaza.

Preoccupati per le tartarughe marine

Massacrano “animali umani”

Ma questa è una causa, e quella è un’altra.

Un’altra canzone proviene da BiGSaM, un palestinese di Gaza nato nel Golfo Arabico. In “Law Mara Bas” (“Se Solo Una Volta”), pubblicata a marzo, nella quale descrive la sensazione di vedere da lontano la sua terra natale distrutta.

Se solo una volta

Potessi riposare nella mia anima stanca

Se solo una volta

Colui che ha dormito nella tua terra trovasse pace

Se solo una volta

Tu potessi trovare  sollievo dalla brutalità dei nemici

Se solo una volta

Sacrificassimo per te il nostro possesso più prezioso

Ma la canzone che svetta nella mia Black Box Playlist è “Cast Off Your Sandals, Moses,” pubblicata a maggio dalla cantante palestinese Rola Azar di Nazareth.

Mosè, togliti i sandali

E sali sul Monte Sinai

Lancia i fiori di gelsomino

Sulle pianure della Palestina

Anche le sue rose resistono

Come fanno i suoi ulivi e i suoi fichi

Mosè, togliti i sandali

Consola il bambino prigioniero

Onora i santuari profanati

E le bare oltraggiate

Anche la bara resiste

Quella stessa bara, quella di Shireen

Quell’ultima riga, ovviamente, si riferisce alla defunta reporter di Al Jazeera Shireen Abu Akleh, uccisa da un cecchino israeliano mentre stava trasmettendo un servizio nel campo profughi di Jenin nel 2022. Abbiamo assistito al suo omicidio, proprio come abbiamo visto la polizia israeliana attaccare i portatori della sua bara durante il corteo funebre.

Quando ho sentito per la prima volta la canzone di Rola, mi ha scatenato emozioni — mi sembrava di vedere di nuovo il funerale di Shireen e di assistere all’eroismo degli uomini che rifiutavano di lasciare cadere la sua bara, circondati da decine di poliziotti armati di manganelli. Credo che anche questo sia il ruolo dell’arte, anche in tempi di tragedia: catturare un momento e conficcarlo nella tua anima.

“Nei tempi bui ci sarà anche il canto?” scrisse il famoso drammaturgo e poeta tedesco Bertolt Brecht. “Sì, ci sarà anche il canto. Sui tempi bui.”

Ma cosa succede se non porterà luce?

Allora, qualunque cosa — Tuzz Tuzzen.

Tamer Nafar è un rapper, attore e sceneggiatore palestinese di Lydda.

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzeinti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org