I Cristiani Palestinesi criticano una dichiarazione del Consiglio Ecumenico Mondiale per aver ignorato il contesto degli attacchi del 7 ottobre e per essersi rifiutato di denunciare il Genocidio di Gaza in corso.
Fonte: English version
Di Mark Braverman – 21 luglio 2024
Immagine di copertina: Persone ispezionano un edificio distrutto appartenente alla Chiesa greco-ortodossa a Gaza a seguito di un attacco aereo israeliano, il 20 ottobre 2023. (Credito fotografico: © Mohammad Abu Elsebah/dpa via ZUMA Press APAimages)
I Cristiani Palestinesi stanno perdendo la pazienza. A giugno, il Comitato Esecutivo del Consiglio Ecumenico Mondiale (WCC), riunito a Bogotà, in Colombia, ha pubblicato una “Dichiarazione sulla crescente crisi a Gaza”. In risposta, il Consiglio Direttivo di Kairos Palestine, un Movimento Cristiano Palestinese, ha pubblicato una “Lettera Aperta al Comitato Esecutivo del Consiglio Ecumenico Mondiale”. Il testo inizia rispettosamente: “Confidiamo che la dichiarazione sia stata rilasciata con grande preoccupazione e con l’urgente necessità di porre fine agli atroci Crimini a Gaza”. E a prima vista, la dichiarazione del Consiglio sembra tenere pienamente conto dell’orribile sofferenza di Gaza e della responsabilità di Israele per la sua risposta vergognosamente sproporzionata all’attacco del 7 ottobre. Fa appello al Diritto Internazionale e sottolinea l’urgenza di porre fine al Massacro.
Ma i palestinesi vedono ciò che manca. Sentono ciò che manca. “Come Palestinesi, come Cristiani e come vostri fratelli”, continua la Lettera Aperta, “vorremmo portare alla vostra attenzione i seguenti punti”. Non usano mezzi termini, arrivando al nocciolo della questione nel primo punto:
Riteniamo che il titolo: “Crisi Crescente a Gaza”, non sia né accurato né adeguato. La “Crisi” prolungata è il risultato di 8 mesi di incessante aggressione militare su larga scala da parte di Israele, che equivale ad atti di Genocidio, prima dei quali Gaza è stata strangolata da un blocco durato 17 anni che ha costretto 2,3 milioni di persone a diventare dipendenti dagli aiuti e estremamente vulnerabile alla carestia e alla fame. Non solo il termine Genocidio è assente dal titolo, ma è marginalizzato nel corpo della dichiarazione invece di essere l’essenza di ciò che la dichiarazione condanna. Non può essere accettabile che Crimini di tale portata, commessi deliberatamente per oltre 8 mesi, siano ridotti alla definizione di “Crisi”.
I palestinesi procedono quindi direttamente a contestualizzare l’attacco di Hamas del 7 ottobre, spostando il quadro dalla “Crisi Umanitaria” e dai “Diritti Umani” alla storica e sistematica negazione dell’esistenza del popolo palestinese da parte di Israele:
Deploriamo che la Dichiarazione non menzioni il Regime Coloniale israeliano che dura da settant’anni, l’Apartheid e l’Occupazione prolungata con totale impunità come causa principale e contesto che ha gettato le basi per gli eventi del 7 ottobre e il conseguente Genocidio contro i palestinesi a Gaza e la grave recrudescenza delle atrocità di Israele in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est.
È scioccante che sia stato necessario chiamare il Consiglio a rispondere di questo fallimento. L’organismo ecclesiastico mondiale ha al suo attivo decenni di coinvolgimento diretto con la Palestina, con missioni e programmi sul campo che affrontano le conseguenze del Progetto di Espropriazione e Pulizia Etnica in corso da parte di Israele. È possibile che i membri del Comitato Esecutivo del Consiglio non vedano la causa principale della Resistenza Palestinese, soprattutto nel caso dell’assedio di Gaza che dura da quasi due decenni? È altrettanto difficile comprendere perché dovrebbe essere necessario che i palestinesi sottolineino che “la Dichiarazione sembra riservare l’uso di un linguaggio forte e diretto agli atti commessi da Hamas, descrivendoli come ‘le forme più estreme e disumane di uccisione, tortura e altri orrori, compresa la violenza sessuale’. Nessun linguaggio del genere viene utilizzato per descrivere gli atti atroci di Israele a Gaza”. Infatti, continua la Lettera, “la Dichiarazione continua a schierarsi dalla parte della ‘violenza’ e della richiesta di responsabilità, nonostante le nette differenze nelle dinamiche di potere”.
“Entrambe le parti” appunto. Persino il New York Times e il Washington Post hanno del tutto abbandonato la pratica di lunga data di un resoconto “equilibrato”, impossibile da mantenere anche per la stampa convenzionale di fronte alle notizie che arrivano da Gaza. Eppure la Lettera prosegue denunciando il Consiglio per aver “messo sullo stesso piano i 37.000 palestinesi uccisi durante il Genocidio israeliano a Gaza e i 1.200 israeliani uccisi il 7 ottobre”. È sorprendente che, anche oggi, abbiano dovuto spiegare pazientemente come “la Dichiarazione oscura di riflesso la massiccia asimmetria dei poteri in gioco da un lato, e la Colonizzazione della Terra Palestinese durata 7 decenni e l’Oppressione del suo popolo”.
Sfida alla Chiesa
Cosa sta succedendo? Nella storia recente gli organismi mondiali della Chiesa si sono dimostrati capaci di un’azione profetica quando i tempi lo richiedevano. Dov’è il Consiglio Ecumenico Mondiale che, in risposta alla sfida di James Baldwin alla Quarta Assemblea del Consiglio Mondiale a Uppsala, in Svezia, nel giugno 1968, ha istituito il Programma di Lotta al Razzismo (PCR)? Le parole di Baldwin all’Assemblea parlano con la stessa forza di quasi 60 anni fa: “Il Cristianesimo ha ancora il potere di muovere il mondo, se lo vorrà. Ha ancora il potere di cambiare la struttura del Sudafrica, di impedire l’assassinio di un altro Martin Luther King, di costringere il mio Paese a smettere di lanciare bombe sul Sud-Est asiatico”. Fondato nel 1969, il PCR ha svolto un ruolo molto visibile nell’opposizione al dominio della minoranza bianca in Sudafrica, sostenendo la Resistenza tra le chiese locali e fornendo sostegno finanziario diretto ai Movimenti Armati di Liberazione Nazionale in tutto il continente africano. Attraverso il PCR, il Consiglio Ecumenico Mondiale è stato un sostenitore delle campagne internazionali di sanzioni economiche che alla fine hanno fatto cadere il Regime di Apartheid del Sudafrica. Queste azioni hanno lasciato il Consiglio esposto alle accuse da parte delle chiese aderenti di sostenere il “terrorismo” e la violenza. Ma non ha vacillato. Ciò contrasta con lo stesso Consiglio che nella sua Assemblea Generale del 2022 a Karlsruhe in Germania ha affermato nella sua dichiarazione sulla “Ricerca di giustizia e pace per tutti in Medio Oriente” che sulla questione di Israele come Regime di Apartheid: “Non siamo della stessa opinione sulla questione”.
Dove si trova oggi la Comunione Mondiale delle Chiese Riformate, l’organismo che nel 1982 (allora Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate) riunitosi a Ottawa in Canada definì l’Apartheid un’eresia e si dichiarò in Status Confessionis, sospendendo l’appartenenza alla Chiesa Riformata Olandese Bianca del Sudafrica? Queste azioni furono responsabili di coinvolgere le chiese mondiali nella lotta, di superare la resistenza dei governi occidentali alle sanzioni e di mettere in moto azioni globali che nel giro di un decennio avrebbero portato il governo dell’Apartheid al tavolo delle trattative. Si tratta della stessa Comunione Mondiale delle Chiese Riformate che nel 2017 ha approvato una Risoluzione nella sua Assemblea Generale a Lipsia in Germania stabilendo che, nella questione della Palestina “è in gioco l’integrità della fede e della prassi cristiana” e decidendo di portare la consapevolezza della Lotta per la Liberazione Palestinese alle sue 230 confessioni aderenti in 108 Paesi. Sette anni dopo, non ha ancora dato seguito a tale impegno.
È tempo che le chiese del mondo, in ogni regione, confessione e nazione e da ogni pulpito, siano concordi su questa questione e chiedano conto ai loro leader e alle loro istituzioni. È tempo che le chiese passino dalle parole ai fatti. La Lettera Aperta da Kairos Palestine lancia la sfida alla Chiesa in modo inequivocabile:
Crediamo che la Comunità Cristiana abbia un contributo speciale da dare. La richiesta di un cessate il fuoco immediato deve essere solo un primo passo per porre fine a questo straziante Genocidio, ma non l’obiettivo finale: porre fine alla Colonizzazione delle Terre Palestinesi e all’Oppressione contro il Popolo Palestinese che durano da 76 anni.
L’obiettivo finale. Il Cristianesimo è nato come Movimento di Resistenza Popolare all’Impero. Ha tradito quell’eredità nell’aperta complicità della Chiesa con l’Impero e nel fornire la giustificazione teologica al colonialismo nel corso della storia. Oggi la Chiesa è chiamata a parlare ad alta voce e senza riserve per condannare il Progetto Coloniale Israeliano e, per estensione, tutte le ideologie di dominio. Come sostenuto in modo convincente nella Lettera palestinese, deve spostare il dibattito sulla Palestina dall’assistenza umanitaria e dalla difesa dei diritti umani al confronto con la struttura di dominio razzializzato che è la causa della sofferenza palestinese e della discesa di Israele nel fascismo e nella barbarie.
“La Chiesa non dovrebbe aspettare che la comunità internazionale descriva e condanni ufficialmente l’Apartheid di Israele” si legge nella Lettera Aperta. “No, una chiesa profetica dovrebbe plasmare e guidare la comunità internazionale”. Questo è il contributo speciale della Chiesa di cui parlano i palestinesi. È il suo mandato, il suo vero ruolo. “C’è stato un tempo in cui la chiesa era molto potente”, ha scritto Martin Luther King Jr. in Letter from Birmingham Jail (Lettera dalla Prigione di Birmingham). “Non era semplicemente un termometro che registrava le idee e i principi dell’opinione popolare; era il termostato che trasformò i costumi della società”.
La Lettera palestinese si chiude con queste parole tratte dal documento Kairos Palestine del 2009, ricordando alla Chiesa di essere fedele alla sua missione. Così facendo, come hanno fatto ripetutamente nel corso dei decenni, i palestinesi si rivolgono ancora una volta non solo alle chiese, ma alla coscienza del mondo.
“La missione della Chiesa è profetica, per diffondere la Parola di Dio con coraggio, onestà e amore nel contesto locale e in mezzo agli eventi quotidiani. Se si schiera, è dalla parte degli oppressi, per stare al loro fianco, come Cristo nostro Signore è stato al fianco di ogni povero e di ogni peccatore, chiamandolo al pentimento, alla vita e al ripristino della dignità loro conferita da Dio e che nessuno ha il diritto di togliere”.
Mark Braverman è il Direttore Esecutivo di Kairos USA e fa parte del Comitato di Coordinamento Internazionale della Coalizione Globale Kairos per la Giustizia. Tra la scrittura e l’organizzazione, lavora con gioia in una fattoria multigenerazionale nella penisola olimpica con sua moglie, suo figlio e suo genero. È co-organizzatore della “Stones Cry Out Delegation” (Delegazione delle Pietre Urlanti).
Traduzione di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org