Perché molti di noi continuano ad usare un linguaggio cauto quando si parla dell’orribile Genocidio israeliano a Gaza?
Fonte: English version
Di Ramzy Baroud – 25 luglio 2024
Immagine di copertina: Un uomo piange mentre i corpi dei palestinesi, che hanno perso la vita in seguito all’attacco israeliano a Khan Yunis orientale, vengono portati all’Ospedale Nasser a Khan Younis, Gaza, il 22 luglio 2024. (Hani Alshaer – Agenzia Anadolu)
Perché molti di noi continuano ad usare un linguaggio cauto quando si parla dell’orribile Genocidio israeliano a Gaza?
Gli strati di censura imposti alle voci palestinesi e filo-palestinesi nei media corporativi e nei social media sembrano aver offuscato il giudizio di alcuni. Continuano a parlare di “conflitto”, chiedendo a “entrambe le parti” di usare “moderazione” e, in parte, incolpando la Resistenza Palestinese per i continui massacri israeliani.
Sebbene tale linguaggio sia quello che ci si aspetta dai pochi “moderati” dei media convenzionali, ci sono quelli che sono considerati intellettuali, giornalisti e attivisti “filo-palestinesi” che spesso usano un linguaggio simile.
Nel corso degli anni, il pensiero comune è che, affinché una voce pro-Palestina possa essere pubblicata sui principali giornali americani e occidentali, dovrebbe aderire a un certo insieme di regole ed evitare certi aggettivi per descrivere Israele, anche se tale vocabolario è perfettamente coerente con il buon senso, il Diritto Internazionale o il giudizio delle principali organizzazioni per i diritti umani.
“Mitigando il linguaggio” si guadagna presumibilmente maggiore credibilità e quindi spazio per essere ascoltati o pubblicati.
È altrettanto vero che è praticamente vietato difendere il diritto internazionalmente riconosciuto del popolo palestinese di utilizzare ogni forma di Resistenza, o di sostenere le sue scelte democratiche, perché i risultati di questo, forse, non sono coerenti con il pensiero occidentale tradizionale.
Alcuni hanno addirittura paura di usare il termine “Resistenza”. Ma se ai palestinesi viene negato il loro più elementare diritto di resistere, essi vengono privati di qualsiasi potere umano, per non parlare della rilevanza come attori politici. Questa logica suggerirebbe quindi che i palestinesi possano svolgere solo il ruolo di vittime e nient’altro. Questo non solo è falso e condiscendente, ma è anche totalmente fazioso.
Tutto questo mitigare quello che avrebbe dovuto essere un linguaggio chiaro sulla Palestina, ha un prezzo. Quando la verità è mascherata o nascosta, si apre lo spazio per bugie, inganni e quasi-verità.
In questo spazio alternativo, Israele è, nella migliore delle ipotesi, altrettanto colpevole della “guerra” in Palestina quanto gli stessi palestinesi; e, nel peggiore dei casi, l’esercito israeliano si sta semplicemente impegnando in un’azione di autodifesa.
Inoltre, controllando strettamente il dibattito sulla Palestina, l’Occidente ha danneggiato i propri interessi. Di fatto, marginalizzando le autentiche voci palestinesi, l’Occidente ha perso la sua capacità di capire il contesto dietro l’attuale guerra israeliana a Gaza, di accettare o di gestire la propria parte di responsabilità nel Genocidio e di svolgere un ruolo significativo nel porre fine alle atrocità.
Il risultato è un’inevitabile dissociazione cognitiva, in cui i governi occidentali stanno violando le stesse regole che avevano creato, opponendosi alle leggi che hanno sancito e investendo in un Genocidio israeliano a Gaza, mentre criticano la guerra altrove.
Dubito che l’Occidente riuscirà mai a rivendicare una qualsiasi autorità morale, a recuperare la credibilità perduta o a costruire una fiducia duratura con palestinesi, arabi, musulmani o con il Sud del Mondo. Lo sterminio del proprio popolo dà diritto a una persona a un certo grado di disdegno.
Per smascherare ulteriormente la doppiezza occidentale a Gaza, tuttavia, dobbiamo imparare a parlare senza riserve, indipendentemente dalle restrizioni sulla voce filo-palestinese o dalla censura sui social media.
Naturalmente non tutti i palestinesi e le voci filo-palestinesi sono d’accordo su tutto. C’è chi è disposto a rischiare tutto e chi vuole dire una verità senza rischiare di perdere i propri privilegi, la propria carriera o la propria posizione nella società.
Sono quelli del primo gruppo che meritano la tribuna e devono essere celebrati per il loro coraggio.
Uno degli esempi più virtuosi sono i giovani studenti delle università statunitensi e occidentali che hanno rischiato il proprio futuro, ad esempio venendo espulsi dalle università o vedendosi negare la laurea, per aver svolto manifestazioni di sensibilizzazione sul Genocidio israeliano a Gaza.
Quegli studenti sono il vero motore dei movimenti di solidarietà basati sulla giustizia, ora e in futuro.
Hanno capito che, a causa della censura senza precedenti delle autentiche voci palestinesi su tutte le piattaforme mediatiche, le loro azioni nelle università, nelle strade e in ogni luogo disponibile sono cruciali.
I rischi che hanno corso parlando a favore delle vittime del Genocidio di Gaza serviranno come una nuova soglia di coraggio che ispirerà i giovani di questa e delle generazioni future.
Altrettanto importante è che questi studenti si siano rifiutati di scendere a compromessi sul loro linguaggio, sulle loro richieste e sulle loro priorità semplicemente per adattarsi, per essere pubblicati o per usare un Genocidio come un’opportunità per costruire una carriera.
Per quanto riguarda coloro che hanno sfruttato la sofferenza palestinese a proprio vantaggio, né la storia né il resto di noi perdoneranno il loro opportunismo e timidezza intellettuale.
Coloro che sono ben intenzionati, ma “mitigano” il loro linguaggio per aggirare la censura, alla fine fanno poca differenza, perché ci sono alcune verità che non possono essere ammorbidite o alleggerite.
Infatti, non esiste altro modo onesto di definire ciò che sta accadendo a Gaza se non come un Genocidio, del quale solo Israele, uno Stato Militare Occupante e di Apartheid, può essere incolpato.
Gli unici palestinesi che meritano colpa o condanna sono quelli che collaborano con Israele per garantire che l’esito della guerra rimanga coerente con i loro interessi, la loro situazione finanziaria e i loro falsi titoli. Nessuna somma di denaro o prestigio potrà mai riscattare la credibilità o l’onore di tali individui.
“In tempi di inganno dire la verità è un atto rivoluzionario”, diceva George Orwell. Purtroppo viviamo in questi tempi. È altrettanto vero che, in tempi di Genocidio, non dire la verità è l’atto più spregevole di tutti.
Per favore continuate a parlare apertamente; siate radicali; siate rivoluzionari e non mettete mai sullo stesso piano coloro che commettono il Genocidio e coloro che vi si oppongono, anche se a rischio di non realizzarvi.
Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org