Quando i “profeti” diventano meme: l’ascesa e la caduta di Benjamin Netanyahu

Netanyahu non conta più, fatta eccezione per alcuni politici statunitensi in lizza per la rielezione.

Fonte: English version

Di Ramzy Baroud – 31 luglio 2024Immagine di copertina: Cittadini israeliani marciano verso la Knesset (Parlamento) chiedendo le dimissioni del governo del Primo Ministro Netanyahu e elezioni anticipate a Gerusalemme ovest il 20 maggio 2024 (Saeed Qaq – Agenzia Anadolu)

I grandi oratori della storia non sarebbero stati riconosciuti come tali se le loro parole non avessero avuto valore. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu non è un grande oratore, né il suo discorso davanti alla sessione congiunta del Congresso del 24 luglio ha avuto un valore reale. Era un’espressione della sua disperazione, se non della sconfitta, su tutti i fronti.

Questa non è una novità. Per anni Netanyahu ha ricoperto il ruolo di meme sui social media. Durante il suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre 2012, il leader israeliano ha mostrato il disegno di una bomba per alimentare il fuoco di un’altra guerra in Medio Oriente. Anche la sua altrettanto bizzarra mappa del “Nuovo Medio Oriente”, che ha tenuto in alto durante un altro discorso sempre all’Assemblea Generale il 22 settembre 2023, ha suscitato scherno.

In entrambe le occasioni, però, come altre volte, la strategia di Netanyahu non è mai stata intesa come umorismo. Le sue rappresentazioni teatrali sono state realizzate con la consapevolezza che i media globali non avrebbero perso l’occasione di evidenziare la sua performance con molto interesse.

Ciò che effettivamente diceva in tali occasioni spesso rimaneva incontrastato.

Inoltre, fino al 7 ottobre, i possibili fattori di rischio di Netanyahu, derivanti da ciò che a noi può sembrare un comportamento oltraggioso e stravagante, erano piuttosto minimi. Al contrario, per il suo collegio elettorale israeliano, apparire sulla scena mondiale con tale clamore mediatico è sempre stato motivo di ulteriore maggiore approvazione. Per i suoi seguaci, Netanyahu ha ricoperto il ruolo di “moderno profeta”.

“Sono rimasti pochissimi leader in Israele o nel mondo con la capacità di cogliere e articolare pienamente la rilevanza storica e profetica di ciò che sta accadendo in Israele, in Medio Oriente e nel mondo oggi”, ha scritto David Lazarus il 9 ottobre, 2020, quasi esattamente tre anni prima dell’operazione di Hamas nel Sud di Israele e della guerra israeliana più distruttiva che ne è seguita.

Tuttavia, il presunto visionario non è riuscito a leggere tutti i segnali, non solo nel periodo precedente la guerra, ma anche riguardo all’impatto disastroso del Genocidio che le sue truppe stanno commettendo, che perseguiterà il suo Paese per molti anni a venire. Secondo numerosi sondaggi d’opinione, ormai la maggioranza degli israeliani ha abbandonato il proprio profeta.

Eppure Netanyahu sembra imperturbabile. Ha parlato al Congresso degli Stati Uniti con una quasi totale mancanza di consapevolezza della nuova realtà derivante dalle sue politiche fallite e dalla lettura pasticciata della storia.

Per chi non lo sapesse, Netanyahu si vende agli israeliani anche come intellettuale. Il suo intelletto implica “smascherare l’inganno” della centralità della Causa Palestinese in Medio Oriente, o la cosiddetta “teoria della centralità palestinese”. Per contrastare questa “grande bugia”, Netanyahu si dedica al concetto di “inversione della causalità”, sfidando l’idea che Israele, vale a dire l’Occupazione israeliana della Palestina e di altre terre arabe, sia la causa principale dei problemi in Medio Oriente.

Fino a poco tempo fa, le teorie di quest’uomo hanno raccolto molta popolarità, abbastanza, infatti, da marginalizzare temporaneamente la Causa Palestinese e da investire in nuovi modi per dare forma ad un “nuovo Medio Oriente”, dove la Palestina semplicemente non è sulla mappa. Queste illusioni, tuttavia, continuano a sgretolarsi. Invece di Netanyahu, a premere il pulsante di ripristino che avrebbe modellato il Medio Oriente, secondo le priorità e gli interessi israeliani, sono stati i palestinesi a spingerlo.

Questa volta Netanyahu non aveva teorie, soluzioni reali, visioni profetiche, nemmeno una ridicola mappa o una bomba disegnata per salvargli la vita o la carriera.

Così, isolato da gran parte del mondo, si precipitò nell’unico posto dove si sarebbe sentito al sicuro, dove la gente lo avrebbe applaudito incondizionatamente, anche prima che dicesse una parola: il Congresso degli Stati Uniti. E, in effetti, lo applaudirono; 39 volte, di cui 23 ovazioni, per un totale di 10 minuti e 55 secondi per l’esattezza. Ma nemmeno l’allegro gruppo di rappresentanti statunitensi che hanno accettato di prendere parte a quella tragica farsa salverà Netanyahu.

Qui è necessaria una breve pausa, in segno di apprezzamento per coloro che si sono rifiutati di assistere al discorso mendace ​​di Netanyahu, e in ammirazione per la deputata statunitense-palestinese Rashida Tlaib, che ha tenuto un cartello durante l’intero evento, ricordando a noi, e al mondo, che Netanyahu è un “Criminale di Guerra” e “Colpevole di Genocidio”.

Netanyahu non è un bugiardo patologico, come spesso sostengono i suoi nemici e detrattori, in Israele e altrove. Mente, però, perché, a volte, non dire la verità è conveniente, soprattutto quando non si ha alcuna responsabilità per aver mentito, più e più volte.

Nel suo discorso al Congresso, tuttavia, Netanyahu ha fatto molto più che semplicemente mentire. Ha avuto l’audacia di chiamare milioni di americani che protestavano contro la sua guerra “utili idioti dell’Iran”, perpetuando al tempo stesso il linguaggio estremista sullo “scontro tra barbarie e civiltà”.

Sebbene alcuni siano rimasti davvero colpiti, anche i suoi alleati più stretti lo stanno abbandonando. L’ex Portavoce della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi ha descritto il suo discorso come “di gran lunga la peggiore presentazione di qualsiasi dignitario straniero invitato e onorato del privilegio di parlare al Congresso degli Stati Uniti”. Molti altri lo trovarono poco credibile, compresi i suoi stessi sostenitori.

Quando Netanyahu contava, i suoi discorsi spesso portavano a guerre o a gravi instabilità regionali. Ma Netanyahu non conta più, fatta eccezione per alcuni politici statunitensi in lizza per la rielezione.

Il leader israeliano sperava di premere il pulsante di ripristino e tornare alle sue sciocche teorie sull’irrilevanza della Palestina per il Medio Oriente e per il mondo. È stato smentito, ancora una volta, esponendosi come un falso profeta e un leader fallito.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione di Beniamino Rocchetto  -Invictapalestina.org