Durante la pausa estiva si è sparpagliato su più fronti, ma si sta preparando a tornare nel campus per il nuovo anno scolastico.
Fonte: English version
di Ahmad Ibsais* – 27 luglio 2024
Immagine di copertina: Manifestanti pro-palestinesi protestano, nel giorno del discorso del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a una riunione congiunta del Congresso a Capitol Hill, a Washington il 24 luglio
2024 [Reuters/Nathan Howard].
I campus universitari di tutti gli Stati Uniti sono tranquilli dopo la fine dell’anno scolastico, avvenuta più di un mese fa: la maggior parte degli accampamenti è stata sgomberata, le proteste nei campus sono state interrotte e i media tradizionali hanno quasi dimenticato le manifestazioni degli studenti.
Lo spirito e la causa, tuttavia, sono ancora vivi. E questo perché il movimento degli accampamenti non è stato l’inizio della lotta per la liberazione della Palestina, né la sua fine. È stato piuttosto un passaggio cruciale, in quanto ha reso il grande pubblico consapevole della complicità dei funzionari eletti e delle istituzioni pubbliche nel genocidio israeliano del popolo palestinese. Inoltre, ha ampliato e solidificato la rete di solidarietà del movimento palestinese ben oltre i suoi sostenitori abituali.
Mentre prima le proteste pro-palestinesi erano frequentate prevalentemente da palestinesi e altri arabi, ora c’è un’intera comunità di nuovi alleati che sono stati introdotti alla causa palestinese e si presentano agli eventi.
Gli americani di ogni estrazione socioeconomica e razziale ora credono che la vita dei palestinesi abbia un valore, che non sia antisemita parlare di Palestina e che i palestinesi – come tutti gli altri popoli – abbiano diritti inalienabili alla vita e all’autodeterminazione.
Dato che l’impatto degli accampamenti studenteschi è andato ben oltre i confini dei campus universitari, non può essere annullato con la soppressione delle proteste. L’azione pro-palestinese è proseguita per lo più fuori dai campus e ha assunto una varietà di forme diverse: dalle proteste locali agli incontri didattici e alle conferenze, fino a varie modalità di mobilitazione, anche online.
Alla fine di maggio, proprio mentre l’anno scolastico si stava concludendo, il Movimento giovanile palestinese, insieme ad altre organizzazioni, ha tenuto una conferenza di tre giorni a Detroit, nel Michigan.
Migliaia di persone si sono riunite per saperne di più sul ruolo della tecnologia nell’apartheid, sulla solidarietà con i sindacati e sull’importanza dei media nel modificare la narrazione palestinese.
“Saremo qui, nelle strade, nei campus, nelle aule, nei luoghi di lavoro, ogni giorno fino a quando il sionismo non sarà sconfitto e fino alla liberazione totale e al ritorno del nostro popolo”, si leggeva nella dichiarazione finale della conferenza.
Pochi giorni dopo, circa 100.000 persone – molte delle quali studenti e giovani – si sono riunite a Washington per denunciare il sostegno incondizionato dell’amministrazione Biden a Israele. I manifestanti hanno issato uno striscione rosso lungo 2 miglia che simboleggiava l’inesistente linea rossa del presidente Joe Biden, che ha permesso al governo e all’esercito israeliano di commettere atrocità inimmaginabili a Gaza.
Recentemente, migliaia di giovani, studenti e alleati si sono riuniti nuovamente a Washington per protestare contro la visita negli Stati Uniti e il discorso del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu al Congresso degli Stati Uniti.
Nonostante sia l’architetto di un genocidio e un criminale di guerra con un
probabile mandato di arresto da parte della Corte penale internazionale, il suo discorso è stato accolto dagli applausi dei membri del Congresso di entrambi i partiti. Mentre Netanyahu vomitava bugie sulla sua guerra genocida a Gaza, i giovani americani hanno espresso chiaramente il loro rifiuto di questa farsa
politica e della complicità del governo statunitense nel genocidio palestinese.
C’è stata anche una mobilitazione per difendere e sostenere coloro che sono ancora sotto accusa per la loro partecipazione agli accampamenti e alle occupazioni. Secondo The Appeal, un’agenzia di stampa no- profit, più di 3.000 studenti sono stati arrestati per il loro coinvolgimento nelle proteste nei campus contro il genocidio dei palestinesi. Mentre in molti casi le accuse sono state ritirate, in altri i procuratori locali hanno deciso di portarle avanti, con gravi conseguenze per gli accusati.
Il modo in cui ciò è avvenuto ha anche mostrato come la questione palestinese sia legata a vari livelli di ingiustizia all’interno degli Stati Uniti e perché così tanti non arabi si siano uniti alla nostra causa. Nel caso delle 22 persone arrestate alla City University di New York (CUNY) e accusate di reati penali, gli osservatori hanno subito sottolineato che coloro che erano stati arrestati nella più ricca Columbia University in circostanze simili avevano dovuto affrontare solo accuse minori.
A giugno, il procuratore distrettuale di Manhattan ha ritirato le accuse di reato contro 12 studenti e personale della CUNY, ma ha portato avanti i casi di 10 membri della comunità, per lo più neri e appartenenti alla classe operaia. La gente si è mobilitata in loro difesa, cercando di attirare l’attenzione su
questa ingiustizia e sul chiaro tentativo delle autorità di colpire i più vulnerabili tra noi.
Molto si sta facendo anche su altri fronti, non solo nei campus universitari e nelle strade. Un’area di particolare rilievo è quella del boicottaggio. Sappiamo che storicamente i boicottaggi hanno avuto successo nell’esercitare pressioni politiche sui Paesi occupanti: hanno contribuito allo smantellamento
dell’apartheid in Sudafrica, hanno aiutato gli algerini durante la loro guerra di indipendenza contro i francesi e hanno esercitato pressioni sull’economia olandese durante la rivoluzione nazionale indonesiana contro il dominio imperiale olandese.
Il movimento Boycott, Sanctions, Divestment (BDS) ha registrato una crescita significativa negli ultimi nove mesi e i suoi sforzi stanno dando frutti. Abbiamo assistito a un significativo crollo delle vendite globali delle società incluse nella lista di boicottaggio, che ha influito sulla loro valutazione. Le azioni di McDonald’s sono scese di oltre il 7% e quelle di Starbucks del 17%.
In alcuni Paesi, i boicottaggi sono stati così efficaci da mandare in fibrillazione le aziende. In Bangladesh, dopo un calo delle vendite del 23%, la Coca-Cola ha pubblicato un annuncio pubblicitario che negava qualsiasi legame con Israele, con uno spettacolare contraccolpo.
In città statunitensi come Dearborn, dove la popolazione araba rappresenta la metà della città, luoghi come Starbucks e McDonald’s sono praticamente vuoti, mentre le imprese locali sono sostenute come mai prima d’ora.
In altre parti degli Stati Uniti, dove le comunità musulmane e arabo-americane sono più esigue, gli studenti e i giovani sono in prima linea nel movimento BDS, diffondendo la parola attraverso i social media e promuovendo attivamente il boicottaggio delle aziende complici dell’occupazione israeliana della Palestina.
Gli studenti conoscono anche il potere del voto e del non voto. Dall’inizio del genocidio, l’anno scorso, sono state messe in atto diverse strategie politiche per garantire che le nostre richieste siano ascoltate. Le campagne “Abandon Biden” e “Listen to Michigan” sono state lanciate per convincere gli elettori
rispettivamente a non votare o a inviare un voto di “avvertimento” a Biden votando senza impegno.
Molti giovani e studenti hanno partecipato a queste campagne e ora che si stanno ricalibrando per la probabile nomination democratica di Kamala Harris nella corsa presidenziale, continuano a parteciparvi attivamente.
Si sta inoltre diffondendo il riconoscimento del fallimento del sistema bipartitico nel riflettere la volontà popolare. Molti studenti sono coinvolti in dibattiti su come cambiare questo status quo.
Anche gli sforzi e la pianificazione di una nuova mobilitazione all’interno del campus non si sono fermati.
Se non verrà indetta una tregua entro l’inizio dell’anno scolastico, gli studenti torneranno dalle vacanze estive pronti a sconvolgere lo status quo. Le manifestazioni non si fermeranno.
Se viene chiesto un cessate il fuoco, il movimento di protesta degli studenti continuerà. Anche se ibombardamenti di Israele su Gaza si fermeranno temporaneamente, la Palestina sarà ancora occupata e il suo popolo continuerà a soffrire.
Negli ultimi nove mesi è emerso con chiarezza che Israele non sta conducendo una guerra per liberare isuoi ostaggi e “difendersi”. Al contrario, sta perseguendo la distruzione totale di Gaza per liberarla dallasua popolazione indigena.
C’è una profonda convinzione che attraversa il movimento: dobbiamo continuare fino alla liberazione, indipendentemente dalla forza usata contro di noi.
Non ci faremo arrestare per sottometterci. Con ogni arresto, ogni sospensione e ogni tentativo di metterci a tacere, le autorità locali e le istituzioni educative non hanno fatto altro che ampliare il sostegno alla causa palestinese. Quindi, come persone che hanno il privilegio di parlare per la Palestina, non dobbiamo
lasciarci intimidire da chi ha il potere e sceglie di monopolizzare la violenza. Dobbiamo continuare a chiedere il cessate il fuoco, la fine dell’occupazione e una Palestina libera, dove i bambini non siano condannati a vedere i loro genitori morire sotto le bombe pagate dalle nostre scuole e dal governo.
*Americano palestinese di prima generazione e studente di legge
Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org