Sono sopravvissuto al massacro di Nuseirat, ma l’eco di quel dolore si riverbera dentro di me.
Fonte: English version
di Hamza N. Ibrahim, 8 agosto 2024
Immagine di copertina: Un’umile festa di compleanno tra le ombre della guerra. Foto: Hamza Ibrahim
7 agosto 2024: oggi ho un anno in più.
Il mio compleanno era un momento di gioia, di riflessione e di nuovi inizi. Un anno fa vivevo senza la paura e l’orrore che ora mi affliggono. Potevo dormire tranquillamente senza essere tormentato dai bombardamenti che mi tenevano sveglio tutta la notte e mi facevano tremare i denti per la paura.
Ora i bombardamenti incessanti, gli attacchi missilistici e la lotta quotidiana per assicurarsi il cibo e l’acqua di cui la mia famiglia ha bisogno per sopravvivere gettano una nube cupa sulla mia vita.
Non pensavo che le cose potessero peggiorare. Poi ho vissuto il massacro di Nuseirat.
I ricordi di quel giorno mi perseguitano. In quei momenti terrificanti ho percepito la fragilità della vita; ogni secondo sembrava un’eternità mentre mi chiedevo se sarei sopravvissuto.
Gli echi di quel dolore riverberano dentro di me. Mi ricordano costantemente le vite e i sogni infranti che definiscono la mia esistenza.
“Correte e nascondetevi, o morirete”.
La mattina dell’8 giugno, l’atmosfera era tesa mentre la mia famiglia si stringeva nella casa di mio nonno nel campo di Nuseirat, dove avevamo cercato rifugio dai bombardamenti in corso. Alle 11.30 eravamo seduti sul divano mentre scorrevo disperatamente le notizie sul mio telefono.
La speranza di una tregua o di un cessate il fuoco pesava molto sulla mia mente, mentre cercavo qualsiasi segno di sollievo dal caos esterno. La luce fioca del sole penetrava dalle finestre, proiettando ombre lunghe e inquietanti nella stanza.
La calma temporanea fu infranta da un’esplosione assordante: un missile pesante colpì il nostro quartiere sovraffollato. I proiettili di artiglieria iniziarono a piovere dagli aerei da guerra e dagli elicotteri. Sentivo che stavamo tutti per morire.
Il terrore mi attanagliava mentre guardavo due elicotteri che si libravano nelle vicinanze, con il loro fuoco mortale puntato sul vivace mercato di Nuseirat, uccidendo e ferendo molti innocenti. I quadricotteri uccidevano senza pietà chiunque si muovesse per strada; l’aria era piena di spari pesanti e casuali, di terrore e del suono di oltre una dozzina di esplosioni assordanti. “Correte, correte e nascondetevi, o morirete”, ha gridato un uomo dalla strada dove stava cercando di fuggire con il figlio ferito.
“È la fine del mondo?”, gridò mio fratello minore, con la voce tremante di paura mentre si aggrappava a me. “Ho tanta paura. Cosa ci succederà?”.
Poi un missile colpì e frantumò una torre di fronte alla nostra casa, facendo diventare l’aria bianca e spargendo fiamme ovunque. Mi si sono rizzati i capelli per lo shock quando ho visto la fiamma del razzo. Intorno a noi scoppiavano proiettili. Il fuoco soffiava intorno a noi dall’artiglieria. Le mie gambe furono colpite da vetri in frantumi e iniziarono a sanguinare.
“Non ho mai visto un tale orrore in vita mia”, la voce di mio padre tremava mentre cercava di proteggerci dal terrore. L’aria era densa di fumo e rendeva difficile vedere chiaramente. Stordito, mi ritrovai a mormorare: “Sono in paradiso? Sono morto?”.
Cercavamo disperatamente di sfuggire al fuoco e ai bombardamenti. Con mio fratello più piccolo aggrappato a me e la nostra piccola famiglia di cinque persone raggruppata, abbiamo afferrato rapidamente alcuni oggetti essenziali e ci siamo fatti strada, guidati dalle urla e dalle grida di altre famiglie in fuga.
Nella fretta e nella paura, abbiamo finito per indossare l’uno le scarpe dell’altro: io le scarpe di mio padre, mio padre quelle di mio fratello e mio fratello quelle di mia madre. Siamo fuggiti dalla casa di mio nonno, affrontando una corsa straziante di due chilometri fino a una scuola dell’UNRWA, dove abbiamo cercato rifugio.
Dopo un’ora di intensi bombardamenti, era finita. Miracolosamente, eravamo sopravvissuti.
Era l’ottava volta che venivamo sfollati dall’inizio della guerra. “Non voglio morire, non voglio morire, mamma”, singhiozzava il mio cuginetto. “Non abbiamo preso i giocattoli dalla nostra casa”.
Secondo Al Jazeera, gli elicotteri israeliani che ho visto sparare su tutto ciò che si muoveva facevano parte di un’operazione a sorpresa per liberare degli ostaggi israeliani. Mentre l’esercito israeliano è riuscito a salvare quattro ostaggi, il loro attacco ha ucciso più di 250 persone innocenti, tra cui diversi ostaggi israeliani, e ne ha ferite altre 500.
Dopo aver trascorso una settimana nella scuola dell’UNRWA, siamo tornati a casa di mio nonno, solo per trovarla in gran parte distrutta. Probabilmente saremmo stati uccisi se fossimo rimasti lì durante l’assalto: i muri erano gravemente danneggiati, le finestre in frantumi e il tetto era crollato. Tutto era coperto di polvere e detriti.
Ora viviamo in una stanza senza finestre al piano terra, l’unica stanza abitabile rimasta nella casa.
Un desiderio di compleanno
Mentre rifletto sul mio 23° ventitreesimo compleanno, l’eco persistente del dolore mi divora lo spirito.
Il peso delle cose difficili che ho passato mi fa desiderare la pace e una vita normale. Il mio unico desiderio di compleanno è che la guerra finisca presto.
Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org