Perché gli israeliani non sono in grado di attuare un cessate il fuoco

Nonostante i vuoti colloqui di cessate il fuoco, il fallimento degli Stati Uniti e di “Israele” rivela una triste realtà: il sogno sionista si sta sgretolando in una guerra perpetua e in un collasso economico.

Robert Inlakesh  (*)
Fonte: Al Mayadeen English
16 ago 2024 16:29

9 Minuti di lettura

Si è di nuovo dato molto valore a inutili negoziati di cessate il fuoco presumibilmente volti a porre fine alla guerra a Gaza, nonostante Hamas abbia rifiutato il coinvolgimento nel processo della ruota del criceto che  Stati Uniti presentano al mondo come un serio sforzo diplomatico. In realtà, è già stato aperto un conflitto regionale, il mondo pre-7 ottobre non tornerà mai più e il futuro dell’Entità sionista è quello di rimanere in uno stato di guerra perpetua.

Sia chiaro, se il governo degli Stati Uniti avesse voluto un cessate il fuoco, sarebbe già avvenuto o sarebbe stato annunciato all’improvviso. Il quadro è già lì, un accordo potrebbe essere implementato e ogni israeliano detenuto a Gaza verrebbe alla fine scambiato con una grande quantità di detenuti palestinesi. Non dobbiamo tornare molto indietro per dimostrare che un tale cessate il fuoco e uno scambio di prigionieri sono possibili, una tregua più piccola e uno scambio di prigionieri si sono verificati a novembre dell’anno scorso, il che ha dimostrato che Hamas avrebbe implementato un tale accordo. Tuttavia, né gli Stati Uniti né i loro alleati israeliani cercano un cessate il fuoco significativo e giocano con questa nozione solo per scopi politici.

Alla fine ci sarà bisogno di un cessate il fuoco a Gaza, probabilmente a seguito di una grande escalation nella regione dell’Asia occidentale, ma anche nel caso in cui ciò avvenga prima piuttosto che dopo, la guerra continuerà altrove.

Il livello di estremismo genocida che è presente a ogni livello della società israeliana non è ignorabile. Non stiamo più parlando di politici intelligenti, richiami razzisti e retorica asettica del passato, questa è etno-supremazia cruda e sfacciata. Itamar Ben Gvir è il ministro della polizia israeliano e Bezalel Smotrich è il ministro delle finanze dell’entità, non sono una specie di elementi marginali del movimento dei coloni in Cisgiordania, controllano direttamente la politica del regime.

Non ci sono forze politiche israeliane degne di nota che si oppongono alla guerra a Gaza e nessuna manifestazione anti-guerra degna di nota da parte degli ebrei israeliani, persino i  palestinesi che vivono nei territori occupati sono spesso troppo intimiditi per osare di tenere manifestazioni, nonostante il loro dolore per ciò che sta accadendo a Gaza. Le manifestazioni che si svolgono frequentemente contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sono motivate dalla preoccupazione per i prigionieri israeliani tenuti a Gaza e per i soldati che muoiono per mano della resistenza, non c’è preoccupazione per i civili palestinesi.

I liberali occidentali hanno presentato l’argomento che gli israeliani sono stufi di Netanyahu e che verrebbe cacciato dal potere all’improvviso se ci fossero delle elezioni, per suggerire che in qualche modo c’è una voce della ragione che si oppone all’attuale leadership. Ciò si basa su sondaggi obsoleti, l’ultimo dei quali suggerisce che il premier israeliano rimane attualmente il politico più popolare e che, nonostante le proiezioni secondo cui non potrebbe assicurarsi una coalizione, supererebbe comunque la sua opposizione. Tuttavia, questo è irrilevante, poiché il problema che molti israeliani hanno con Benjamin Netanyahu non è che stia conducendo una guerra genocida che sta massacrando decine di migliaia di bambini. Lo sappiamo perché tutti i sondaggi suggeriscono che la stragrande maggioranza del pubblico sionista ritiene che nella Striscia di Gaza venga usata abbastanza o non abbastanza forza, mentre il numero di coloro che credono che sia stata usata troppa forza rimane nelle basse cifre singole (in percentuale).

Perché sottolinearlo? Perché il sogno sionista è stato infranto a tutti i livelli. Siamo ormai ben oltre l’idea di una “capacità di deterrenza” israeliana, per non parlare dell’espansionismo, è diventato evidente a chiunque abbia gli occhi che il regime sionista non ha modo di affrontare le minacce poste da Libano, Yemen, Siria, Iran e Iraq, oltre ad aprire una guerra regionale più ampia. L’esercito del regime sionista non è riuscito a sconfiggere la resistenza palestinese nella Striscia di Gaza e ora non ha altra via d’uscita se non una guerra regionale più ampia o un cessate il fuoco.

Se osserviamo lo stato dell’economia israeliana, il turismo è morto, 46.000 aziende hanno dichiarato bancarotta, le importazioni e le esportazioni sono crollate, gli investitori si stanno ritirando, progetti multimiliardari stanno fallendo, il porto di Eilat è fallito, il valore dello Shekel è crollato e la lista continua. Nel nord della Palestina occupata, l’industria è morta, gli insediamenti sono stati evacuati e sono stati/sono bombardati da missili, droni e razzi, mentre oltre 100.000 sfollati non hanno nessuno a cui rivolgersi.

L’esercito israeliano è esausto e ha sparso i suoi soldati sui fronti di Gaza, Cisgiordania e Palestina occupata nel nord, mentre si occupa della mancanza di carri armati e mezzi corazzati per il trasporto del personale nel caso in cui scoppiasse la guerra nel nord. I loro soldati mal addestrati, indisciplinati e oberati di lavoro sono chiaramente incapaci di combattere gente come Hezbollah.

Tutto questo è ovvio e questa debolezza ha fatto emergere il peggio degli israeliani che avevano già adottato un’ideologia di apartheid. In fondo, vorrebbero tutti tornare al mondo razzista e delirante in cui vivevano prima del 7 ottobre, ma non è possibile. Il mondo non dimenticherà mai ciò che è stato fatto e i sopravvissuti non abbandoneranno mai la loro lotta per l’autodeterminazione.

L’idea che la loro colonia di coloni razzisti possa esistere in prosperità a spese dell’intera regione è minacciata, una minaccia esistenziale, e con questa, lo è anche l’egemonia americana. Ecco perché né Washington né Tel Aviv faranno marcia indietro dalla loro posizione di perseguire la “vittoria”. Per Benjamin Netanyahu personalmente, è circondato da una coalizione di pazzi estremisti che ha contribuito a far crescere al potere, un progetto iniziato nel 2005. Dietro di lui c’è anche un pubblico israeliano che vuole che i propri prigionieri vengano restituiti e potrebbe fare qualche pressione in tal senso, ma vuole anche vedere Gaza cancellata dalla mappa per sempre.

Quindi non c’è alcun incentivo per lui a porre fine alla guerra a Gaza dagli Stati Uniti o a livello nazionale, dal momento che le forze di resistenza in tutta la regione sono le uniche che possono esercitare una pressione reale.

Se si vuole una buona indicazione di come la pensa la società israeliana, in seguito alla dichiarazione del procuratore capo della Corte penale internazionale (CPI), Karim Khan, che chiedeva un mandato di arresto contro il premier israeliano, il sostegno a Netanyahu è aumentato nei sondaggi in quel momento. Oppure, guarda il fatto che era del tutto accettabile che la questione dello stupro di gruppo di un prigioniero palestinese indifeso, morto per le ferite e trattenuto senza accusa, fosse dibattuta nella Knesset israeliana, con un membro del partito Likud di Netanyahu che difendeva appassionatamente gli stupratori di gruppo. Uno degli stupratori di gruppo è stato persino invitato in televisione israeliana per sostenere le azioni da lui commesse e a seguire dai soldati, nonostante ci fosse un video che mostrava l’orribile episodio.

Ci sono state persino proteste scoppiate a favore di 10 soldati accusati di coinvolgimento nel caso di stupro di gruppo, che Ben-Gvir ha definito eroi, e un’organizzazione israeliana di rappresentanza legale di quattro degli accusati ha sostenuto che lo stupro di gruppo è avvenuto per legittima difesa.

Che si guardi all’élite politica israeliana, all’esercito, alla polizia, all’intelligence, alla società o ai media, vediamo una mania genocida. Questo perché la loro ideologia suprematista narcisistica sta crollando sotto i loro occhi, stanno iniziando a rendersi conto che mantenere l’apartheid non è più praticabile.

L’opportunità per gli israeliani di attuare l’unica soluzione che avrebbe permesso loro di continuare la loro esistenza è passata. Se il regime sionista fosse stato davvero serio riguardo agli Accordi di Oslo e avesse semplicemente accettato il diritto internazionale come consenso per una cosiddetta soluzione a due stati, avrebbe potuto forse procedere e mantenere effettivamente il suo regime. Tuttavia, consentire al popolo palestinese di ottenere l’accesso ai diritti umani fondamentali solo nel 22% della Palestina storica non era possibile per loro in base  alla loro ideologia espansionista razzista.

Stiamo ora raggiungendo la fase finale di questo progetto coloniale e gli israeliani hanno capito che mantenere il loro regime etno-suprematista di privilegio assoluto significherà sterminare e fare pulizia etnica di chiunque si trovi  sulla loro strada. Sono così immersi nella loro forma collettiva di narcisismo, in cui si vedono sia come vittime che come eroi della storia, che fermarsi ora è impossibile. Questo è anche il motivo per cui la società israeliana è divisa a metà sulla questione di quale tipo di regime etno-suprematista cercano: se sarà un regime laico o religioso in futuro.

Pertanto, con il pieno sostegno degli Stati Uniti stanno lentamente commettendo un suicidio nazionale. Questo potrebbe essere un processo che subirà un certo ritardo se si raggiungesse un cessate il fuoco a Gaza che impedisca la fine immediata del regime con mezzi militari, ma la guerra continuerà in altri modi. La Cisgiordania probabilmente finirà per diventare il loro sacco da boxe finché non potranno di nuovo intensificare altrove e l’unica promessa che può essere fatta al loro popolo è un futuro di guerra perpetua.

(*) Robert Inlakesh

Political Analyst, Journalist, and Documentary Filmmaker.

Le opinioni menzionate in questo articolo non riflettono necessariamente l’opinione di Al mayadeen, ma piuttosto esprimono esclusivamente l’opinione del suo autore.

Trad. Rosario Citriniti –  Invictapalestina